Monologo polifonico: su “Eco” di Cesare Sinatti
di Francesco Scibetta
Con Eco (Italo Svevo Editore, 2025), il suo secondo romanzo, Cesare Sinatti – vincitore della XXIX edizione del Premio Calvino con La splendente (Feltrinelli 2018) – conferma la propria capacità di unire erudizione, riflessione su grandi temi filosofici e una gestione sempre più consapevole del dato linguistico e stilistico.
Il romanzo inizia con il punto di vista di Resi che – alle porte del proprio esame di maturità – sogna. Sogna nel senso che immagina il proprio futuro ma anche nel senso che ha un’esperienza onirica ricorrente. È proprio il racconto e l’interpretazione di questo sogno il perno dell’intera narrazione. Seguiamo infatti la vita della protagonista sempre defilati di un passo, attraverso lo sguardo e la voce delle persone che la incontrano: una zia, un’amica, il fratello, un professore universitario. Gli otto capitoli del romanzo corrispondono a otto flussi di coscienza di personaggi di provenienza e caratteristiche eterogenee. Ognuno di loro vede Resi come una persona diversa, e al lettore non resta che ricostruirne l’identità e la storia a partire dai riflessi che crea in ciò che la circonda.
Lo spazio su cui si apre la narrazione è la provincia marchigiana, ma presto Resi e gli altri protagonisti se ne allontanano. È una caratteristica chiave di tutte le voci del romanzo, spinte da una mancanza di radici a una Wanderung eterna alla ricerca di qualcosa che, proprio come il senso del sogno di Resi, non fa che sfuggire. Il lettore viaggia dalla Siena universitaria, alla Roma dei giovani studenti fino alla Toronto degli italo-canadesi. Ma, come mostra chiaramente Orfeo – l’ultima voce del romanzo – con il suo ossessivo rimando alla vita e all’opera di Dino Campana, è proprio il moto centrifugo – che allontana dal nucleo emotivo e semantico del pensiero e dal centro dello spazio geografico – a permettere la “Poesia”.
Quello della letteratura è quindi un altro tema chiave del romanzo. Sinatti ha voluto riflettere sul rapporto che intercorre tra la vita, la scrittura e la scrittura “alla seconda”, ossia quella critica e non creativa. Anche in questo caso le interpretazioni variano in base alla voce che il lettore sta seguendo: dalla concezione sacralizzata della Resi studentessa di liceo a quella disillusa di Sam, wannabe sceneggiatore che non è mai riuscito a girare i propri film. Ma la riflessione più complessa è affidata a un dialogo dal sapore quasi platonico tra due professori universitari, che si trova nel cuore del romanzo e compone il capitolo numericamente più esteso (pp. 169-254). Potrebbe quasi sembrare un inserto teorico gratuito se non fosse che, attraverso un discorso che parla la lingua della filosofia letteraria, Sinatti riesce a delineare sottotraccia la psicologia e la storia dei due dialoganti.
È infatti questo il maggior pregio di Eco: una lingua polifonica al limite del metamorfico, che crea, nello sciogliersi del discorso dialogato e del monologo mentale, personaggi vivi e credibili. La penna di Sinatti riesce a spaziare dal linguaggio basso, quasi telegrafico, di un discorso da bar visto dagli occhi del fratello di Resi, fino al discorso alto e impostato, ma sempre orale, di una lezione universitaria. Da «Il ghiaccio nei bicchieri si è sciolto. Rimasugli di spritz annacquati. Il mio ancora da finire. Fa un caldo di Dio, anche qua fuori. Sembra di stare a Dar.» (p. 121); a «La seconda innovazione, che per noi è più rilevante, consiste in una maggior concentrazione sui caratteri dell’esperienza interiore dell’amore. Venendo a mancare il contesto sociale della corte, l’amore cessa di essere esperienza codificata» (p. 203). Ma quelli di questo romanzo sono personaggi sfaccettati e quindi il discorso di alcuni ragazzi al bar può, intriso di nostalgia quasi elegiaca, farsi lirico: «Se li ricordano anche i muri, i nostri discorsi del cazzo. Gridati da quando eravamo ragazzini fino alle quattro del mattino, tutti e tre, parlando di ragazze di futuro, riempiendo le stradine intorno coi nostri “eh” e i nostri “oh”» (p. 134). E la riflessione di un teorico della letteratura resta quella di una persona, e pertanto ha i suoi tratti prosaici: «Dovrei tornare in ufficio a riguardare gli appunti su Cavalcanti per la lezione di oggi, ma la mia costipazione non dà segni di volersi sciogliere» (p. 171). E questi sono solo due degli esempi possibili, perché ognuna delle otto voci ha una lingua e un orizzonte di valori propri, e reagisce – quasi chimicamente – a Resi e al suo sogno con effetti diversi, reinventandoli e reinterpretandoli secondo i propri filtri
Gli otto «piccoli romanzi fiume» di Eco potrebbero, data la tecnica scelta, essere destinati a lievitare a dismisura e a perdere l’equilibrio dell’insieme, e invece vengono sempre arginati da una scrittura in grado di dominarsi e di darsi una forma equilibrata e compatta. Un romanzo stilisticamente e tematicamente così centrifugo viene contenuto da una struttura architettonica strofica ma non cadenzata, ritmica ma non monotona. Insomma, con questo testo Cesare Sinatti dà prova di una grande maturità e di consapevolezza dei propri mezzi stilistici e tecnici.
