L’incidente

di Simone Redaelli
“E non ami un’altra?”
La mia cagnolina non è un’altra. È una cosa.
Io amo un’altra cosa. Amo la mia cagnetta e amo Miranda.
Se Miranda non fosse allergica non ci sarebbero problemi.
PETER CAMERON, Il cane segreto
Quel giorno avevo chiesto al mio capo un aumento. Ricordo precisamente l’espressione vinta sul suo volto, la cupa rassegnazione di un uomo di potere con le mani legate. L’azienda andava bene, da sempre. Ma da sempre, era a corto di personale. Io ne ero perfettamente consapevole e quella volta avevo sfruttato il momento. Il mio capo non poteva permettersi di perdermi. Non aveva mai voluto espandersi, aumentare il numero di dipendenti, strutturarsi meglio. Aveva preferito lavorare di più e far lavorare di più chi lavorava per lui. Allora io avevo trovato il coraggio.
Quel giorno uscii dall’ufficio e camminai lungo il solito marciapiede di viale Cassala. Proprio mentre ripensavo al mio successo, proprio mentre sorridevo di gusto per aver saputo sfruttare il momento, un tizio in moto sfrecciò a un passo da me. Fu un attimo: il mio sguardo incrociò il suo, poi lui perse l’equilibrio, invase la corsia opposta e fece un frontale con un’altra moto. Mi gettai subito in strada. Come molti altri passanti, con le mani chiedevo alle macchine di fermarsi, ma non mi avvicinai troppo ai due motociclisti. Erano entrambi a terra, i corpi immobili. Chiesi a qualcuno di chiamare un’ambulanza e un istante dopo vidi una donna che parlava al cellulare. Intuii che si trattava dei soccorsi. C’era davvero tanta gente, per strada, insieme a me. Dopo poco pensai che era assurdo perché eravamo in troppi, lì fermi, a guardare e ad aspettare. Solo quando vidi sopraggiungere una volante della polizia, decisi di andarmene.
Tre ore dopo ero a casa con mia moglie davanti al televisore.
“Ti darà quell’aumento quindi” disse lei.
Davanti a noi correvano mute le immagini del telegiornale. “È strano” dissi invece io.
“Strano?”
“Alza il volume.” Un inviato era sul luogo di un incidente stradale. Riconobbi le due moto a terra, le sagome disegnate dai tratteggi di gesso bianco. “È successo prima. Io ero presente.”
“Cosa c’è di strano in un incidente stradale? Ne succedono a decine a Milano, tutti i giorni.”
“Me lo merito questo aumento?”
“Se lo hai chiesto è perché te lo meriti.”
Non riuscivo a dormire. Mi alzai dal letto senza svegliare mia moglie e sedetti alla scrivania. Poi accesi il computer e la luce fioca della lampada.
“Incidente moto Milano viale Cassala” digitai su Google. Lessi il primo articolo. Ripeteva quello che già avevo sentito dire al giornalista.
Ne aprii un altro sul Corriere Milano: “Ricoverati al Policlinico d’urgenza, i due uomini in fin di vita”.
Nella penombra della camera da letto, i miei occhi mettevano a fuoco le parole per poi perdersi nel riflesso del mio viso sullo schermo. Prima le parole, poi il mio viso. Poi ancora le parole. Poi ancora il mio viso.
A un certo punto mi ridestai, spensi il computer e la lampada e tornai a letto.
La mattina seguente, invece di andare al lavoro, presi un permesso e andai al Policlinico.
“Come prego?” mi chiese la ragazza che lavorava all’accoglienza dell’ospedale.
“Ero sul luogo dell’incidente.”
“È un familiare?”
“No, ma ho visto quello che è successo.”
“Lei non è un familiare e le due persone ricoverate sono in prognosi riservata. È un giornalista per caso?”
Uscii dal Policlinico e mi misi a camminare verso il luogo dell’incidente. A un certo punto, mi squillò il cellulare.
“Mi stai lasciando?” Era la voce del mio capo.
“Ero all’ospedale.”
“Ieri mi chiedi un aumento, stamattina non ti presenti in ufficio. Ti hanno fatto un’offerta da un’altra parte, non è così?”
“Due persone hanno avuto un incidente.”
“Chi ti ha fatto l’offerta?”
Nessuno mi aveva fatto un’offerta. C’erano due uomini in fin di vita, questo era il problema. Se i due uomini non fossero in fin di vita, io sarei sul luogo di lavoro, pensai. E chiusi la chiamata.
Nel frattempo, ero arrivato sul luogo dell’incidente: riconobbi la stessa volante della polizia che il giorno prima si era materializzata poco dopo lo scontro. Le lampeggianti accese, un poliziotto dentro la vettura e uno poggiato sulla carrozzeria.
“Agente?”
“C’è stato un incidente. Due moto, un frontale. Una delle due ha invaso la corsia opposta.”
“Lo so, ero presente.”
“Ne succedono a decine a Milano, tutti i giorni.”
“Agente?”
“Mi dica.”
“Cosa succederà qui?”
“Nulla. Se ripassa stasera, sarà come non fosse successo niente.”
In ufficio non trovai il mio capo e mi concentrai sul lavoro. Nel frattempo, a intervalli di 5 minuti, ricaricavo la pagina di cronica del Corriere Milano quasi in automatico.
A un certo punto, mi squillò il cellulare per la seconda volta quel giorno.
“Pronto.”
“Sì salve, mi dispiace se prima l’ho scambiata per un giornalista.”
Avevo lasciato il mio numero alla ragazza che lavorava all’accoglienza del Policlinico. “Aveva detto che non poteva richiamarmi.”
“Beh, guardi, lei è l’unico che s’è fatto vivo… Nessun parente. Insomma, ho pensato che se qualcuno si interessa di qualcun altro, alla fine, è giusto fargli sapere qualcosa, no?”
“È molto gentile, ma ero solo presente sul luogo dell’incidente.”
“È la prima volta che le capita?”
Sentii un vociare di sottofondo.
“Mi scusi, devo tornare al lavoro. Volevo solo dirle che è normale. Insomma, ci sente così. Ogni volta.”
Sentii distintamente qualcuno richiamare la ragazza.
“Mi scusi, devo proprio andare.”
Ripresi a lavorare e a ricaricare la pagina del Corriere.
Erano le 17:59 quando nella home comparve un aggiornamento sull’incidente di viale Cassala: “In seguito allo scontro frontale, i due motociclisti sono deceduti…”
“Quanto ti hanno offerto?” La voce giunse alle mie spalle, era quella del mio capo. “Ti offro di piú! Dimmi solo quanto ti hanno offerto. Dimmi una cifra!”
I miei occhi mettevano a fuoco, in alternanza, le parole dell’articolo proiettato a schermo e il riflesso del mio capo nel monitor.
“Non voglio più un aumento.”
“Dimmi quanto ti hanno offerto.”
“Sono rammaricato, davvero, ma non lo voglio più l’aumento. Va bene così.”
“Non lo vuoi più?” Era fuori di sé, alle mie spalle. “Non lo vuoi più?”
Il mio capo sputava parole e saliva sullo schermo. E io iniziai a piangere.
“Piangi?” Nel riflesso dello schermo lo vidi piegarsi in avanti, portare la sua bocca a un palmo dal mio orecchio. Poi sussurrò: “Tu stai lasciando me, e tu piangi?”
