Il principe

di Silvano Panella
Ero stato chiamato alla reggia per ricevere una proposta di lavoro. Il precettore del principe, un anziano accademico spagnolo, mi venne incontro nella grande sala adorna di muqarnas1.
«Dios os dé buenos días»2, egli mi disse, per saluto.
Mi spiegò che aveva consigliato al maragià di assumermi come insegnante aggiunto per suo figlio, il principe. Cosa potevo insegnare al principe? Avrei potuto restituirgli quello che gli altri insegnanti, di acclarata fama, avevano perduto tra una lezione e l’altra? Lo chiesi al precettore. L’uomo sorrise, lievemente tossì, mi fece segno, mi accompagnò nella residenza del principe mormorando in spagnolo nella penombra, al riparo dalla mia curiosità – avrei tentato di leggere le sue vecchie, sottili labbra seminascoste dai baffi.
Entrammo nella residenza del principe, ricca di statue danzanti, tappeti e lucerne – fiammelle ardevano in segreto restituendosi sotto forma di ombre sulle pareti. Il principe sedeva sul suo piccolo trono dorato. Vestito in vermiglio, grondante di perle, era composto e taciturno, imperturbabile, eppure gli occhi tradivano la sua vivacità giovanile. Il precettore si inchinò e io lo imitai. Mi presentò come “hombre aventurero muy ingenioso”3 e questo mi fece intuire due cose: che il ragazzo parlasse lo spagnolo e che io ero stato chiamato per infondergli una maggiore dimestichezza nel vivere al di fuori della reggia non come un povero suddito ma come uno scopritore di impenetrabili dettagli.
«Ci vuole tempo. Tempo e pratica. E non tutti vi sono portati», dissi.
Il precettore mormorò il suo disappunto. Il principe non sorrise né si arrabbiò ma si sporse in avanti. Quello sporsi in avanti zittì il precettore e introdusse le prime parole del ragazzo, pronunciate con voce tinnula ma florida.
«A quanto pare sarebbe opportuno per me iniziare a conoscere le cose che dimorano sulla terra bruna. Finora ho conosciuto soltanto il palazzo e il suo giardino. E ho appreso dai libri nozioni raramente utili, talora dilettevoli. Credete sia giusto mettere in pratica le nozioni dei libri o sarebbe uno sgarbo portato ai libri, alla terra bruna?»
Il principe si era rivolto a me, attendeva la mia risposta, ma il precettore mi aveva anticipato citando frammenti di sapere. Quella memoria, quella intelligenza si erano addensate troppo, impastate di passaggi e di cavilli, e il loro proprietario non riusciva a dare risposte concise. Abituato a eludere gli agguati degli animali, le astuzie degli uomini, dissi:
«Certo, metteremo sotto verifica i libri e la terra bruna, ma saremo noi a rischiare. Quindi nessuno sgarbo.»
Il principe annuì una sola volta, convinto. Il precettore si destò, punto da quella che riteneva un’offesa, e disse:
«Dovrei essere presente quando vi troverete insieme. Ne trarrei un manuale e anche una serie di storie.»
«Accordato», il principe disse.
Il precettore fu di nuovo felice e iniziò a discorrere di geometria assieme al principe. La cosa mi incantò perché non disegnarono alcuna figura. Parlavano di formule e problemi. E di lati, di angoli. Parlavano senza tirare alcun segno su alcuna superficie. Alfine, chissà perché, discussero di un chiliagono. Quella figura dai mille angoli, dai mille lati a cosa serviva? Magari al buon governo? Ne dubitavo. Dovevo trarre via il principe da questo gioco al massacro di cervelli. Eppure, era a suo agio. A suo agio sul piccolo trono dorato, perle che ballonzolavano sul turbante e sul vestito vermiglio, la noia celata nel distacco emotivo. Ma era spontaneo, mai affettato. Era se stesso ma non si lasciava andare. Come è possibile che si riesca a essere così perfetti quando si è ancora immaturi? Avrebbe potuto essere femmina, ciò non avrebbe cambiato minimamente né il suo aspetto né la sua personalità. Per quanto tempo ancora? Poco, troppo poco. Il precettore, l’anziano accademico di fama, era appagato a disquisire di chiliagoni con un giovane che rispondeva sempre bene e aggiungeva persino spunti inediti alla discussione. Quest’uomo avrebbe potuto continuare la carriera di filosofo e matematico con esiti altissimi. Ma solo ora si sentiva compiuto, ora che si avvicinava alla morte, compiuto perché stava forgiando un essere vivente, stava trasferendo le sue conoscenze in un ragazzo che da grande sarebbe divenuto un monarca illuminato.
Quel viso di politezza, una scultura levigata più e più volte. Parlava da labbra più vermiglie del suo abito screziato. L’abito screziato mi rimandava chissà perché alla sua sprezzatura di principe gradevolmente distaccato. Che ci fosse davvero un nesso? Avrei voluto chiedere all’accademico ma mi fermai in tempo, sarei stato giudicato troppo indiscreto. Mi limitai a dire al principe qualcosa che potesse essere parimenti problematico:
«Il coraggio. Credo sia questo che vogliono svelare in voi. Il coraggio.»
Il precettore ritrovò il turbamento e sul suo viso io ritrovai le pennellate di El Greco. Il principe si alzò dal trono e, anziché i suoi passi, udii due spade estratte nell’anticamera, udii tintinnii, le buccole delle ancelle nascoste al di là dello jali4. Il principe mi scrutò da vicino. Era pronto a scoprire ogni cosa, ogni aspetto del mondo. Dovevo essere in gran forma perché gli comunicai fiducia. Infatti egli disse:
«Sono pronto. Quando andiamo a cercare le cose che si muovono sulla terra bruna?»
E io gli dissi:
«Domani.»
Il principe annuì e tornò sul trono, gli scappò un sorrisetto. Il precettore mi tirò via. Dovette usare tutta la forza fisica che aveva perduto in anni di inattività, il che era un paradosso per chiunque, non per lui. Bene, ero pronto per l’incarico.
Note
- “Muqarnas” (arabo): motivi ornamentali ad alveoli geometrici; la loro reiterazione induce alla contemplazione dell’infinito. ↩︎
- “Dios os dé buenos días” (spagnolo): “Che Dio vi doni liete giornate”. ↩︎
- “Hombre aventurero muy ingenioso” (spagnolo): “avventuriero di grande intraprendenza”. ↩︎
- “Jali” (hindi): grata di metallo o legno oppure parete perforata. ↩︎
