➨ AzioneAtzeni – Discanto tredicesimo: Lisa Ginzburg

Azione Atzeni – Discanto Tredicesimo: Lisa Ginzburg     Discanto Tredicesimo*

Aleni la coga non le ha guardato la mano l’ha guardata negli occhi e ha detto Sei una donna fortunata
[…]
la terza a dare i soldi alla coga è stata una del 47 B e Aleni ha detto Quel che hai sofferto soffrirai sarai felice quando meno te l’aspetti

da Bellas mariposas di Sergio Atzeni

 

Ai casoni

di

Lisa Ginzburg

    Annetta la trovavi dietro le vigne, casa sua l’aveva fatta nel ripostiglio, cinque metri quadri con il soffitto alto. Ai tempi quando la Villa ancora era Villa il signor Bascuri là ci teneva i fucili, ora Annetta invece alla rinfusa i suoi pochi vestiti e le carte, quei mazzi di carte colorate e imbevute di futuro. Sul serio, non esagero: come fosse una burattinaia, i fili del futuro li teneva lei. E li teneva stretti. Che fosse brava a leggere le carte ora lo sapevamo tutti. Si era sparsa la voce: tornata dalla Francia (da Tolosa), ai Casoni adesso ci viveva con quel suo lavoro strambo, ma un lavoro – e chi lo avrebbe mai detto, cinque anni prima quando se n’era andata via, raminga e senza pace, che si sarebbe saputa reinventare così, con tanta forza e stranezza. Piccola di statura e mingherlina, Annetta, la bandana intorno alla testa a tenere i capelli. Già ingrigiti cinque anni prima quand’era partita, i capelli.

Maurizio lo aveva appena perso, come se anziché con le lacrime potesse e volesse piangerlo così, con quel biondo scuro dei capelli scolorito via di botto. Annetta incenerita dal dispiacere: non che si fosse fatta vecchia, ma aveva preso nell’arco di pochissimo un’aria fulminata, di bambina cresciuta improvvisamente, e troppo in fretta. Per i cinque anni che era stata via, ai Casoni di Annetta non s’era parlato più, o comunque di rado; si sarà riaccoppiata vedrai, magari con uno meglio di Maurizio, diceva qualcuno. Maurizio, alto, massiccio, il sorriso scanzonato e buono nella foto plastificata incollata sul palo contro cui era andato a schiantarsi con la moto. Annetta è bella, guizzante, agile, piace ai maschi; sì ma quando mai lo ritrova, uno come lui.

Poi eccola Annetta ritornare, selvatica e pellegrina, gli occhi grandi e lucenti, la bandana a tenerle indietro i capelli ingrigiti, il borsone a tracolla con dentro i mazzi di carte. Non un solo mazzo, no: diversi. Mica si è fatta pubblicità, la voce si è sparsa dopo che l’hanno vista farsi le carte da sola, sul masso vicino al torrente, a gambe incrociate, china su quei tarocchi colorati, i ricciolini che le cadevano a pioggia sul viso, concentrata tanto che solo l’arrivo del cane husky di Gianluca l’aveva distolta. Così si era saputo. La prima ad andare era stata Erminia, e pochi giorni dopo, Filippo. Chiusi nella casa ripostiglio, ognuno ci si era trattenuto più di un’ora, noi altri fuori curiosi, in attesa, Gianluca il più nervoso, lì a dire ma quando finisce, e invece niente, non finiva, Filippo un poco meno, ma Erminia proprio non la lasciava andare. Precisa, accurata Annetta. Lei che sempre è stata caotica, sciatta, adesso meticolosa. A ognuno doveva aver detto qualcosa di importante, perché entrambi sia Filippo che Erminia tornati indietro parevano diversi, un po’ rannuvolati un po’ contenti.

Come coppia avrebbero retto, Erminia però il suo bambino perduto se lo doveva dimenticare, finché continuava a piangerlo, incinta di nuovo non sarebbe rimasta; lavare doveva, lavare il dolore e giù al torrente gettare sassi e un vestitino di quelli cuciti per il bambino quando lo aspettavamo, lei e Filippo, ma anche tutti noi. La corrente dà, la corrente toglie, Erminia è giovane e potrà rinascere con l’acqua, lo dicono le carte, lo dice Annetta con il suo sorriso innocente di bambina cresciuta presto fulminata dal suo lutto, lo riferisce a noi Erminia, a me e Martina specialmente, le sue amiche più vicine. Filippo è turbato, “pare una maga” dice pallido quando torna indietro, una maga proprio qui, ai Casoni dove la magia non s’è fatta entrare mai, e cosa avrebbe detto Maurizio. A certe cose lui, Filippo non ci crede, e proprio perché non vuole crederci ci crede più di tutti, gli è uscito il Matto con un tre di bastoni, deve stare attento a non voler sedurre il mondo, così gli ha sentenziato Annetta, e Filippo sa bene chi è che non deve sedurre, anche se lo tiene per sé. Il suo capo, ecco chi, quel Guerrazzi del cazzo che minaccia di non dargli più altro spazio se Filippo pubblicherà il testo che ha in mente di pubblicare. Esporsi, quello anche è sedurre.

Ai Casoni andammo a stare tanti anni fa, tutti insieme. Convinti da Gianluca che coabitare si poteva ed era giusto, era sano, vivere in case (Casoni) separate, ma vicini: vicinissimi. Il terreno era spazioso, disponibile, al mutuo per la caparra e poi l’affitto Gianluca garantiva avrebbe pensato lui con il sostegno del Comune. Rispetto, sostegno, virtù della giusta distanza. Ci siamo riusciti, e non era scontato. Chi ha figliato e chi no, chi come Annetta ha conosciuto strappi, chi come Ettore ha strappato lui e se ne è andato via senza tornare più. Ce l’abbiamo fatta e ne siamo orgogliosi; ogni tanto arrivano giornalisti stranieri ai quali Gianluca con i suoi occhialini dorati sul naso spiega serio serio il progetto in ogni dettaglio, come era e come è diventato, perché il successo del nostro durare, la filosofia del cohousing come metafora del vivere civile, e bla e bla e bla. E quelli, i giornalisti, vanno via soddisfatti dopo il giro panoramico di rito, Casone per Casone, e dopo le rituali foto a noi, sempre le stesse, sempre fintamente naturali e invece in posa. Noi sorridenti sull’aia dietro al Casone tre, noi attorno alla tavolata lunga dove facciamo le cene sociali davanti al Casone due. Poi, quando escono gli articoli, ci spediscono i ritagli di giornale, “Such a beautiful cohousing” “How wonderful is cohabitation” “La joie de la cohabitation”, “Que bueno de vivir juntos” e altri titoli del cazzo così, e Martina con cura i ritagli di giornale li incornicia per fare contento Gianluca, e lui la ama per quello, perché Martina tutto quello che fa, lo fa per renderlo felice.

Abbiamo durato, sì, ognuno nel suo appartamento nel corrispettivo Casone, chi in coppia e chi scoppiato, vicini e lontani, sempre guidati dal sacro Nume tutelare della giusta distanza. Senza crisi vere mai. Ma adesso, quel ritorno di Annetta e le sue carte dalle figure multicolori era come rimescolasse tutte le carte. Era un salto nel vuoto, teso verso il futuro ma non si sapeva verso quale punto preciso del futuro. Ci intimidiva quella nuova Annetta, destabilizzanti i suoi strani vaticini insinuavano domande su tutte le nostre scelte, collettive e singole. Parlando del futuro, i suoi oracoli guardavano al passato, e nessuno ne aveva voglia, nemmeno Maurizio dalla foto plasticata appesa al palo. Ho esitato e sono stata l’ultima ad andare, nessuno mi aspettava fuori perché ormai la curiosità degli altri era scemata, persino Gianluca aveva avuto la sua lettura delle carte, poi riemerso esterrefatto e misterioso. Sono entrata nella casa ripostiglio ingrandita dai soffitti altissimi, stava per fare buio, alla luce di una lampada di ottone Annetta mi aspettava paziente, lisciando con le mani il panno di velluto steso sul tavolino; alla parete ho notato la fotografia di una piazza con i portici alla luce rosata di un tramonto, è Tolosa m’ha detto, e ho capito che aveva nostalgia.

Mi ha fatto mescolare tanto le carte, poi quando insieme a me le ha guardate disposte sul panno di velluto ha alzato il sopracciglio, selvatica, pellegrina, simpaticissima e non lo avevo mai ammesso, mai capito, mai abbastanza. Sarai felice, ancora non lo sai. La vita oltre i Casoni sarà meno facile, ma più buona con te. Il coraggio di andartene ancora non lo senti ma è già qui, lo dice la Ruota della Fortuna, e la Torre, e anche l’Eremita. Andrea ti pensa ancora, ma sarai felice se non ci fai caso. Meno fai caso, più ti verrà incontro il Caso. Capiscilo Lucilla, e vai contenta, molto futuro lontano da qua. Di notte quando sono rientrata a casa mia al Casone quattro, Flavia la figlia di Martina e Gianluca cantava con un suo amico che la accompagnava alla chitarra, la luna gialla vegliava su tutti, su tutto, ho bevuto vino rosso e quasi mi veniva da ridere, prima di dormire.

*Nota dell’autrice

Sergio Atzeni era molto incuriosito dai tarocchi. Nel 1987 tenne anche una rubrica a tema per una rivista locale di breve durata, che si intitolava Telecomando. La rubrica si chiamava Nove radici – gioco con gli arcani, ed era firmata con lo pseudonimo ‘Muto’. Ringrazio Gigliola Sulis che me ne ha informata quando il mio racconto era già in bozze. La letteratura, un po’ come un sentiero magico in un bosco, è costellata di sincronicità che sorprendono ma non spiazzano, invece orientano perché indicano strade.  

 

* Azione Atzeni- mode d’emploi

di

Gigliola Sulis e Francesco Forlani

‘E scoprirai quello che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui’. Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas. Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui? Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani. Assolutamente vietata l’agiografia, e ‘massima penalità per chi si prende troppo sul serio’, come scriveva Sergio in uno dei suoi ultimi articoli per “L’ Unione Sarda”. Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale. * Francesco Forlani ‘Nella Sardegna magica in cerca di Sergio Atzeni, “Reportage”, n.10, 2012, ripreso nel 2017 da Minima Moralia Gigliola Sulis, Chi era Sergio Atzeni?’, “Le parole e le cose”, 22 novembre 2012  

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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