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Questa notte mi ha aperto gli occhi: la sceneggiatura

di Roberto Carvelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblichiamo di seguito la sceneggiatura originale di “Questa notte mi ha aperto gli occhi”, l’audiodocumentario andato in onda per “Tre Soldi” di Radio 3 (che ringraziamo per la concessione), ascoltabile qui. Roberto Carvelli l’ha tratta dal suo racconto “Questa notte mi ha aperto gli occhi” (Arcana, 2025)

PRIMA PARTE –  STANZETTE TUTTE PER SÉ

L’io c’ero di ogni concerto 

Io: C’è qualcosa di strano e meraviglioso nei primi concerti di una band giovane con due, massimo tre dischi all’attivo. Per chi vi assiste c’è la spiccata consapevolezza di partecipare ad un evento storico irripetibile. Un’atmosfera da massoni, affiliati di una setta segreta, fratelli di un nuovo culto. Così nuovo che ancora non si è creata una casta, non sacerdoti, nessun lignaggio. Spiritualità in purezza. Ci si prepara per giorni, si compie il rito di un percorso che sa di catechesi ed esercizi spirituali. Senti i dischi per ore e giorni. Solchi su solchi, la puntina cerca di avvantaggiarsi sul live. Come in una macumba, le tracce anticipano la scaletta della serata. Provano a prevederla. Come in un rituale anticipatorio la lista dei brani viene evocata, suggerita da una voce non tua che parla per te. Dentro te.
Ogni volta che ho provato a pensare e a scrivere del primo concerto a cui ho assistito degli Smiths il 14 maggio 1985 mi sono uscite fuori parole religiose anche se non mi definirei un fan, né uno che sa tutto, un esperto. Ma voglio raccontare quanto quella sera la mia vita sarebbe cambiata e come. Anche se non sapevo che quella serata che mi avrebbe aperto gli occhi – come ho intitolato il mio libro che la racconta citando una canzone degli Smiths non eseguita in quella serata – sarebbe stata l’unica per chi in Italia avesse voluto ascoltarli in concerto, dal vivo. L’Io c’ero di ogni concerto è spesso simile per tutti ma quell’Io c’ero sarebbe rimasto unico e irripetuto. Senza che lo sapessimo. Per me e per quei circa 2mila 3mila dentro un tendone da circo sulla via Cristoforo Colombo a Roma. A oggi ancora, per varie ragioni, irripetibile. 

La parabola degli Smiths ancorché breve come appariva allora, fu oltremodo corta anche considerando il dopo. Tra il 1982 e fino al 1987 contando tutti i prodromi e gli abboccamenti mal riusciti successivi tra i due leader principali del gruppo, Morrissey il cantante-paroliere e Marr, il chitarrista e autore delle musiche, le cose si avvicendarono a colpi di vinili singoli, che diventeranno una marca tipica del gruppo, album o raccolte nel giro di pochi anni. Anni in cui i tour italiani sarebbero stati rimandati e poi annullati, cancellati e, infine, resi impossibili dallo scioglimento della band. Rimane questa unica data. Roma 14 maggio 1985. Sarebbe interessante, mi rendo conto, per molti trovare delle ragioni plausibili di quella fine. Individuare colpevoli, fare un’eziologia dello scioglimento, robe da avvocati divorzisti. In fondo, gli Smiths non erano una boy band messa su per ragioni commerciali da qualche produttore scaltro e tenuta in vita a forza di soldi. Alle prime o seconde crisi nessuno ha detto “andiamo avanti almeno per ragioni economiche”. Si sono separati e basta, come succede a una coppia e qui il semplice cognome Gli Smiths – dai noi avrebbe avuto il suono di un I Rossi, o la Famiglia Conti – è suonato come una profezia non di lunga vita. Eppure, a 40 anni esatti da quel concerto e 3 in più dalla nascita del gruppo siamo ancora qui a parlarne. Alberto Campo è stato uno dei primi esegeti degli Smiths, a partire dalla rivista Rockerilla che in quegli anni cerco spasmodicamente tra le edicole romane. Volevo sentirlo e mi sono messo all’inseguimento e, in fine, ho trovato il suo numero di cellulare e sono riuscito a raggiungerlo. 

Alberto Campo racconta la sua scoperta degli Smiths e la prima versione tradotta dei loro testi per Arcana.

Io: All’epoca non avevo comprato il libro di Alberto con la traduzione dei testi ma uno strano contenitore di fascicoli delle parole in italiano dei primi dischi che, peraltro, avevo già provveduto a tradurre anche io da solo e male, una carpetta come la chiama Pier Vittorio Tondelli in un suo pezzo-saggio. In copertina aveva la mitica foto di Dennis Stock della Magnum di James Dean con le mani nelle tasche del cappotto lungo Times Square. Tondelli è stato un grande estimatore degli Smiths e i suoi pezzi su Rockstar ora raccolti in Un weekend postmoderno ne portano traccia. Anch’io come Pier Tondelli scelgo gli Smiths con forza religiosa (forse confessionale, sarebbe il modo più giusto per definire questo canale diretto) ma non proprio “per tifo sportivo” e sì per la “voce sensuale, strascicata e maledetta” di Moz “l’unica un po’ perversa che questi primi anni ottanta – obsoleti, invece, di falsetti e mezzeseghe – ci abbiano dato” – sono parole sue. Tondelli aveva vissuto Meat is Murder il disco uscito appena prima del concerto come un tradimento “mediocre” della genialità dei primi due dischi. Anche io avevo un po’ patito lo strappo ma ho da sempre avuto simpatia per le opere seconde (quella di fatto lo era, essendo i primi due dischi una sorta di spin off interno dello stesso periodo creativo). È dal disco numero due che si vede dove va un gruppo e quanto è capace di aprirsi al nuovo rinunciando alla ripetizione pedissequa di un successo o un modo fortunato e già testato.
NOTE INIZIALI LIVE
Ma adesso scusate il concerto sta per iniziare devo chiedervi di mettervi in ascolto con me. Saranno le 21 circa ed è una morbida serata primaverile romana. Oggi sappiamo tutto. Molti siti conservano addirittura memoria del meteo di parecchi anni addietro e di quella sera dicono che la temperatura media fosse di 16.9 °C. In quella serata se pure avesse fatto fresco la temperatura non sarebbe mai scesa sotto i 13 °C, mentre nei momenti più caldi della giornata era arrivata a 22 °C. Il gruppo sta per uscire sul palco e, come consueto, lo annunciano le note di Prokofiev, quelle della Danza dei cavalieri del Romeo e Giulietta quella che spesso in quella stagione apriva non solo i concerti della band di Manchester ma pure di altri gruppi anglosassoni.
NOTE INIZIALI LIVE
Buio, fumo e poi, a salire l’alzarsi di una scossa, la nostra, quella di noi che eravamo lì. In quel Dandan-dadadandandan una traccia della classicità trionfale, con cui un gruppo con alle spalle pochi dischi e pochi anni di servizio diventerà e rimarrà poi nel tempo il gruppo più influente della storia della musica rock non solo inglese. Non sono esagerazioni mie ma classifiche di testate altrettanto influenti come NME del 2002.
WILLIAM, IT WAS REALLY NOTHING
In molte canzoni degli Smiths l’amore o è triste o non è. In quegli anni adolescenziali – nel tempo della carriera del gruppo io passo dai 14-15 ai 19 anni e quindi dall’imbarazzo e la paura della scoperta al lampo iniziale e ingannevole della conoscenza – l’amore non può che essere accompagnato da una ragionevole distanza dolorosa da quello che ti eri immaginato nella tua stanza e dal punto di vista del tuo orizzonte sentimentale costruito su libri e film eccessivamente ottimisti sul tema. L’amore deludente e offeso delle prime uscite in versi del paroliere non sono diversi dalle nostre prove tecniche o poetiche di trasmissione. Qualunque orientamento possiamo aver scelto.
NOWHERE FAST
Io: Nowhere Fast, Velocemente verso il nulla il concerto avanza trascinando la sua energia rivoluzionaria. Un’energia che non si ferma davanti a nulla e noi ci facciamo travolgere. È una malinconia che non risparmia nessuno. I’d like to drop my trousers to the world … I’d like to drop my trousers to the Queen. Gli Smiths sono nostalgia estrema e sofferta, una camera tutta per sé, quella del Morrissey giovane, che racconta vi si fosse recluso per mesi a scrivere, e quella nostra altrettanto penitenziaria ma meno creativa. Ma gli Smiths sono pure rabbia punk che non risparmia le più alte cariche della monarchia e del governo inglesi. Per quanto proviamo o possiamo provare a tradurre il fenomeno-Smiths in una formula di riuscito successo non riusciamo a capire la portata della loro influenza stavolta personale su ognuno di noi qualcosa che per ognuno di noi ha avuto un peso diverso a seconda della storia. Un altro che c’era e l’ho scoperto cercandolo in rete in un commento sotto al video del concerto su YouTube era Gaudi allora tastierista di una band cesenate di rara, raffinata e originale new wave all’italiana, i Violet Eves.
Gaudi racconta il suo arrivo a Roma per ascoltare il concerto.
NOWHERE FAST

Io: Riascolto la registrazione e ritrovo nel ricordo dei gridi garrenti di qualcuno lì in mezzo a noi in qualche angolo della platea. Sostenevano il crescendo di un brano, salutavano l’annuncio di un altro. Uno che c’era al concerto come Gaudi e a differenza di Alberto Campo era Alberto Piccinini, a cui devo in quel periodo storico una vera e propria presentazione catechistica via etere alla serata impartita dai 97.7 in modulazione di frequenza da cui trasmetteva Radio Città Futura. Una radio nata, come si diceva, “libera” che in quel periodo aveva alle spalle persino un’irruzione-attentato dei NAR con pistole e feriti contro una trasmissione femminista.  Nei giorni precedenti al concerto del gruppo di Manchester, Alberto avrebbe tenuto una sorta di preparazione all’evento. Per me era stata come una specie di ritiro – spirituale appunto – e lo avevo persino registrato. Ma poi la cassetta tra i traslochi che hanno accompagnato questi 40 anni si è persa. Lo incontro in via Buonarroti, 47 non lontano da piazza Vittorio a Roma lì dove aveva sede la radio.

Il tendastrisce un obituary e altre cose cimiteriali
I WANT THE ONE I CAN’T HAVE
Alberto Piccinini è in via Buonarroti 47 e racconta la Roma di metà anni 80 tra locali e la radio dove lavorava Radio Città Futura che ora non è più qua.
Io:
Il giorno in cui la mentalità avrà deciso di provare a mettersi in pari con la biologia forse non è arrivato ancora. Per me almeno. Ma – giuro – continua a dettare l’agenda almeno della mia vita. E di chi come me continua a desiderare quello che non può avere. O non può avere più. Quello di Radio Città Futura – che peraltro esiste ancora come radio nel web ma trasmette da un’altra sede – è solo uno degli obituaries insieme al Tendastrisce di questo nostro racconto che è disseminato di piccole lapidi. Non per forza, non tutte tristi. Spazi in cui siamo stati felici di vivere anche se non ci sono più. In fondo tutta la vita artistica degli Smiths ha un che di cimiteriale. Morrissey si è sempre fatto fotografare in mezzo alle tombe e in molte canzoni la parola cimitero ha un suo perché. Anche io in quegli anni lascio spesso le aule della mia facoltà di lettere alla Sapienza e approdo tra le lapidi del Verano portando panini e versi nelle tasche. Cimiteriale lo era anche io, insomma, in quegli anni. Non può mancare Wilde a quella selezione di letture se non altro per vicinanza alla band. Ma le tasche si sformano in letture sempre più complesse e articolate. Scopro che i libri tanto odiati possono traghettarmi in un altrove non morto, non lapidario.

Mi sento su YouTube ovvero Perso in una traccia sonora          
WHAT SHE SAID
Io: Ma torniamo al Tendastrisce. Ho con me un registratore AIWA, quello che un nome per una marca viene detto comunemente walkman. Non so come faccio ma riesco contemporaneamente a tenermi in piedi in equilibrio su degli schienali o braccioli di sedie di plastica e alzare un registratore tipo walkman come un pugno al cielo. Ogni tanto cado ma tengo in alto quel prolungamento della mia mano come se fosse un oggetto da salvare in una improvvisa mareggiata. Devo salvare una prova sonora di quel momento che è quella che ora mi sembra di ritrovare nella traccia sonora di questa registrazione su YouTube. Sembra la mia. D’altro canto, in quegli anni l’ho prestata spesso quella TDK, ha fatto il giro di amici e conoscenti e tra loro di qualche dj di radio. Poi traslochi e cambi ed è sparita con la sua cover, quella del biglietto rosa chiaro del concerto.
THAT JOKE ISN’T FUNNY ANYMORE
Il gioco non è più divertente, perché è troppo personale e volgare. Ogni tanto nel nastro mi sembra di sentirmi mentre batto le mani in un elementare tentativo di tenere il ritmo di qualcosa che, in realtà, mi travolge senza lasciarmi vie di fuga. Non so perché ma nella serata finirò per sentirmi spesso inadeguato. Talvolta come un fan qualsiasi, quello che non sono mai stato, talvolta come uno capitato lì per caso. Eppure, nel rapporto tra me e gli Smiths nulla è mai stato casuale. Nella registrazione risento me chiacchierare nelle pause e battere le mani scompostamente, facendo coretti fuoritempo, chiedendo un brano o dei bis. Sembra incredibile che  sia la stessa persona che si è chiusa nella sua cameretta ad ascoltarli per un paio d’anni nello struggimento della solitudine e dell’inadeguatezza. Se c’è una stanza tutta per sé l’ingresso del gruppo di Manchester ha reso meno gravoso l’isolamento. 
THAT JOKE ISN’T FUNNY ANYMORE
Io: Ma ripensare oggi a quella data è riaprire il ricordo di una rocambolesca avventura organizzativa. Chi li aveva portati lì a Roma e come aveva fatto? Si chiama Paolo Bedini l’organizzatore allora un 27enne di Sarzana.
Paolo Bedini racconta come ha portato in Italia il gruppo a furia di telex e telefonata a Londra.
Io: Ma rilasciamo il dato organizzativo e ritorniamo alle emozioni che ci hanno portano una sera a metterci in fila davanti a un tendone da circo davanti al quale della gente vende vino di Pitigliano col tappo a vite o birre. Tutte rigorosamente di vetro. Anche tutti questi possibili oggetti contundenti sono un altro segno dei tempi sparito insieme alle sigarette fumate al chiuso. Ma tutto per noi affiliati al culto di questa band era successo a casa nelle nostre camerette davanti a un giradischi. 

Dal vinile al virale, la nascita del mito Smiths (ovvero il culto dell’adolescenza maledetta)
HOW SOON IS NOW?
Io: Tutto, lo dicevo, parte da una condizione di continuità emozionale nel caso degli Smiths. Chi li ha scelti se ne è sentito scelto. Questo spiega perché molti si sono sentiti abbandonati quando sono entrati in crisi famigliare e poi si sono separati. Un fattore in ogni senso emotivo anche questo ma, crisi abbandoniche a parte, quel sentimento è ancora vivo. Questa storia dovrebbe intitolarsi Dal vinile al virale, la nascita del mito Smiths (ovvero il culto dell’adolescenza maledetta). Come se potesse esistere una ricetta precisa di un successo così longevo di un gruppo durato poco più di cinque anni ma la cui luce non si sarebbe mai spenta, per citare una loro canzone. Di certo c’è stata una storia e un periodo unico che per molti di noi ha coinciso con una delle fasi più complesse e contraddittorie dell’esistenza umana, spesso peraltro accompagnata da dolore e incomprensioni con persone vicine, famiglia, ruoli sociali e politici.

Stili di vita e vita di stile ovvero come eravamo e come siamo grazie agli Smiths
STRETCH OUT AND WAIT
Io: Roma, via Cristoforo Colombo. 14 maggio 1985. Tendastrisce. È il primo concerto italiano degli Smiths. Ma nessuno di noi 2-3 mila sa ancora che sarà l’ultimo. Che potremo dirci i fortunati fedeli di quella cerimonia. “Tutte le bugie che inventi / Cosa ti passa per la mente?”. Il tema della bugia è un tema ricorrente nella produzione poetica di Morrissey. Spesso è l’inganno amoroso, talvolta la finzione dei benpensanti. Ed è spesso un tema che si lega a eroi della formazione di Morrissey che da scrittore, prima degli Smiths aveva dedicato un libretto allo James Dean più fragile. L’amore fragile è l’altro tema, la fragilità è l’altro tema. A Melody Maker nel 1986, Morrissey, citando il “God, how sex implores you” cercava di spiegare ad un intervistatore come abbia sempre difeso la libertà di non prendere posizioni che è qualcosa che molti gli hanno rimproverato rispetto alle battaglie per i diritti gay  che qui vengono peraltro citate a partire da da Men’s liberation dell’attivista gay americano Jack Nichol. Dice Moz al giornalista “ho avvertito di voler essere soltanto me stesso, il che significa a metà strada fra questo mondo ed il prossimo, a metà strada fra questo sesso ed il prossimo”. Un’altra delle cose che emergeva dalla mia piccola carpetta in cui Morrissey vaticina un “quarto sesso”, solitario e avulso che sembra anticipare molto di quello su cui poi il mondo delle relazioni convergerà.
STRETCH OUT AND WAIT
Questo è il brano, l’unico in definitiva su cui Moz si profonderà in chiacchiere. Si fa per dire. “I don’t really expect this so thank you”. Morrissey non si aspettava un’accoglienza così calorosa il 14 maggio 1985 e noi, dal canto nostro, non sapevamo cosa aspettarci proprio. Nessuno si aspettava nulla. Neppure le poche parole. Qualcuno, immaginava i gladioli dalle tasche dei jeans larghi attorno al corpo ossuto di Morrissey. Io non li ricordo. Qualcuno delle persone che ho sentito li racconta sul palco, alla fine, spampanati e forse lanciati da qualcuno. A me sfugge la fine tormentata della delicatezza. In generale, non mi aspettavo nulla o troppo per questo concerto degli Smiths. Se c’era un più o un meno alla fine della serata so solo che mi ha lasciato particolarmente felice.
STILL ILL
Se le canzoni degli Smiths fossero una classifica di wikiquote in
Still Ill se ne troverebbero parecchie di frasi citabili “I decree today that life  / Is simply taking and not giving / England is mine and it owes me a living” è una delle più quotate e quotabili, come si dice. Decretare che la vita è semplicemente prendere e non dare è un rivoluzionario “we want the world e we want it now” per dirla alla Doors. E guai a chiedere il perché, il poeta-cantante ti sputerà in un occhio.  Al minuto 41 circa del concerto un’altra delle frasi che più spesso mi ripeto a mente dopo aver ascoltato ossessivamente gli LP – così dicevamo o Long Playing – “Does the body rule the mind / Or does the mind rule the body?” viene interrotta da un fan che sale sul palco e ne interrompe la complessità filosofica. Chi comanda il corpo o la mente? Morrissey stesso che qui non fa in tempo a finire la frase si era affrettato a sottolineare “I don’t know”. Anche per me era quella la risposta giusta: non rispondere, non tentare neppure, dissolvere le certezze.
C’è un particolare modo di essere fan degli Smiths e di Morrissey fatto di un certo culto della persona un po’ discreto a parte la gara a strappargli un brandello delle camicie. Ancora oggi. Molti concerti degli Smiths si sono chiusi o interrotti già dagli esordi con un ‘tutti sul palco’. Esiste persino un film spagnolo che racconta questa fansitudine da occupazione del palco. Moz and I. Alberto Forni oltre a essere stato al concerto è stato l’italiano che ha creato la prima e unica fanzine italiana degli Smiths. Ask!
Alberto Forni racconra come nasce il mito italiano Smiths e della sua fanzine Ask!
MEAT IS MURDER
Io: “No no no, it’s murder”. Se c’è un motivo reale per cui ancora oggi ripenso agli Smiths come qualcosa di vivo, coinvolgente e politico è legato al vegetarianismo e alle sue conseguenze. Per due anni divento, sulla scorta di Meat Is Murder, come se fosse un mio manifesto personale, anche io vegetariano con sommo rincrescimento e confusione dietetica di mia madre che declassifica prosciutto, carne in scatola e pancetta come “non animali”.
Sono anni duri per un vegetariano gli anni 80 ancora poco seitan tofu e cibi fermentati. Sono anche gli anni delle prime amburgherie, fastfood, dei galletti, degli spuntini di carne spalmabile, dei wurstel e della reinassance della carne in scatola, un genere di conforto militare che ora allieta e abbrevia finalmente la vita domestica delle mamme di quell’epoca liberandole dalla dittatura delle ore passate ai fornelli. In una scuola normalizzatrice e privata, religiosa e convittuale come quella che frequento io – ecco un’altra sponda che trovo nel racconto scolastico di Morrissey –, dirsi vegetariano è, però, come dichiararsi strani. Eppure, esiste fuori dai banchi di scuola una scena vivace in cui non ci si sente soli. Locali dove le persone possono sentirsi originali senza sentirsi fuoriposto. Devi uscire dalla tua stanza tutta per te e incontrare il mondo.

 

SECONDA PUNTATA – IL MITO DELL’INTIMITÀ

Infrangere i rituali, cancellare i tabù, il mito dell’intimità
THE HEADMASTER RITUAL
Io: 14 maggio 1985. Roma, via Cristoforo Colombo. Tendastrisce. È il primo concerto italiano degli Smiths. Ma oggi tutti sappiamo che sarà l’ultimo.  A un calcolo veloce sono passati poco più di una trentina di minuti quando Morrissey intona The Headmaster Ritual, il rituale del Preside, e il pubblico s’infiamma come se il concerto fosse riniziato una seconda volta. C’è come una scossa che è partita, appena è partita la chitarra di Marr.
Mi rendo conto, parlando degli Smiths e di quella serata romana che mi escono fuori parole non solo spirituali ma intime. Non è solo il ricordo di una data ma di un’emozione. Non solo quella del concerto atteso e anticipato da desideri e attese febbrili di un adolescente. Ognuno di noi ci è arrivato con un carico di aspettative diverse. Una delle mie è il bisogno di lenimento di molte frustrazioni legate alla gestione concentrazionaria della mia scuola con un preside-padrone che approfitta del suo ruolo “geloso della giovinezza”, morbosamente geloso. La cosa che io e molti lì con me amiamo negli Smiths è legato a qualcosa che Paolo Bedini aveva già capito prima di portarli sul palco: la forte capacità di presa del gruppo sul pubblico. Un preludio della serata romana che ha un prima e un dopo come racconta Paolo, pieno di sorprese inattese e rocambolesche.  
Paolo Bedini racconta la storia di crescita del mito degli Smiths.
HAND IN GLOVE
Io: Eccomi, in un ooooo che sostiene il brano. Riconosco la mia voce. Forse con gli Smiths si registra nel grigiore un po’ patinato e luccicoso degli anni Ottanta una strenua resistenza alle paillettes e alle spalline e insieme una discontinuità rispetto al passato. Sarebbe assurdo riassumere qui un decennio. Mettere insieme boom economico, eredità della grande diffusione delle droghe, escalation dell’AIDS e stigma conseguente, la trasformazione del cittadino comune in consumatore medio. L’armonia di cui parla il primo grande successo degli Smiths sembra molto lontano da questa trasformazione che in quegli anni subiamo passivamente. Talvolta dolorosamente. Ma quel decennio trova nel gruppo un confortante esempio di cultura controrivoluzionaria eppure intima. Per chi in quegli anni aveva pochi stimoli e forse nessuno a cui guardare, Morrissey e la sua passione per Wilde e Shelagh Delaney sono stati una compagnia importante. Lo sono stati i suoi testi, i fotogrammi dei film che hanno battezzato le copertine di Singoli, EP e LP che sono un piccolo museo di materiali iconografici che non avremmo mai dimenticato. Non voglio risultare presuntuosamente vecchio in un “ai miei tempi” per quanto rockettaro ma allora una copertina di un disco valeva qualcosa.
HAND IN GLOVE
Io: C’è nel cortocircuito aperto dall’ascolto dei vinili del gruppo di Manchester e proseguito nella corrente di questa serata romana una positiva e rivoluzionaria infrazione dei rituali, la cancellazione di tanti tabù e insegnamenti incontrovertibili che abbiamo subito in eredità, qualcosa che ci riabilita e ci salva dalla ripetizione a loop di una strada che sappiamo sbagliata e che ci addolora scoprire quanto ancora sia segnata, calcata nella pietra. Ora sappiamo che nel nodo di senso di un piccolo gruppo di canzoni qualcosa ci renderà liberi. Non c’è più un preside-padrone che ci minaccia o un anziano insegnante di matematica che ci dà con le nocche un colpo in testa se abbiamo sbagliato un calcolo. Ora abbiamo scoperto in questo gruppo il mito dell’intimità. E dall’intimità poteva nascere un sogno e un viaggio come quello di Alberto Forni che da amante del gruppo di Manchester è diventato poi cultore e il concerto romano lo ricorda perfettamente.
Alberto Forni racconta il suo concerto.
HAND IN GLOVE
Chi di certo gli anni Ottanta li ha vissuti anche musicalmente e ha partecipato alla nascita e alla rivelazione di un fenomeno per allora davvero nuovo e oggi maggioritario, è Clive il veejay (un neologismo che facciamo partire da qui e forse proprio da lui e dal suo collega Rick) di Videomusic, uno degli sponsor che compare sul biglietto rosa della data romana degli Smiths. A Clive però anche nella sua immersione nel mondo italiano – vive ancora a Lucca – non è svanito l’accento british e la ricchezza dei ricordi di quegli anni in cui gli Smiths si impongono sulla scena musicale inglese.
Clive racconta cosa hanno rappresentato gli Smiths nella scena inglese.

Roma com’era (la scena underground romana)
HEAVEN KNOWS I’M MISERABLE NOW
Io:
“Nella mia vita / Perché concedo tempo prezioso / A gente cui non importa se sono vivo o morto?” Heaven Knows I’m Miserable Now. C’è scritto anche sulla maglietta che comprerò nel solito angolo del merchandising. Rappresenta stilizzata la cover della prima copertina del primo LP degli Smiths. Nell’in my life del pezzo rincontro col ricordo una delle tante mie amiche expat. Sara che dopo anni ad Amsterdam vive da anni a Berlino senza passare per il via il suo gioco dell’oca ha escluso subito Roma ma ha molti ricordi di quegli anni ad esempio al Uonna Club. Con il mitico Paolone sulla sua moto custom a fare da buttafuori o buttadentro. Quegli anni di una Roma vitale e in trasformazione li ricordo pieni di energia e di premesse di cambiamento anche se spesso immaginarie. Di certo, a proposito di expat, tanta gente voleva cambiare vita e partiva per stare un po’ indefinitamente nella Berlino Ovest, appunto, o a Londra. Magari per tornarsene con il chiodo o qualche altro giubbotto o vestito da Camden Town. O raccontare quella vita in un’exclave della Germania Ovest nel territorio della Germania Est che oggi sembra distopica ma che fino al 1990 è stata concreta.
HEAVEN KNOWS I’M MISERABLE NOW
Io: Questo è un sabato pomeriggio e sono, invece, davanti a quello che fu il luogo d’incontro di molti di noi in quegli anni. Disfunzioni Musicali. È un nome che in molti evoca ricordi accorati. E questo è uno dei tanti obituary che tempestano questo racconto. Oggi al suo posto c’è una libreria ma i proprietari non hanno potuto esimersi da segnalare l’origine di quel luogo e la continuità, in qualche modo, lo rispetta. Chi di noi ci andava ritrova le lunghe attese fruttuose in cui incontravi il vinile che cercavi e quello che non speravi di trovare. Su una bacheca qualcuno che voleva formare una band aveva attaccato un cercasi chitarrista o voce. Così erano nati in qualche modo gli Smiths e così nascevano i gruppi anche a Roma. Sentirsi ricchi con poco: lì funzionava. Bastava mettersi una cuffia e ascoltare un vinile che forse avrebbe cambiato la tua vita, quella emotiva almeno, e non era poca cosa.
HEAVEN KNOWS I’M MISERABLE NOW
Ma quello che successe qui è che – torno così al concerto – comprato un biglietto per me e uno per l’amico di mio fratello che verrà con me, un rettangolo rosa pallido che porta due marchi che segnano un’epoca. Di Radio Città Futura ho già detto. Video Music, la prima televisione tematica italiana con i primi relativi veejay, suona come un logo che ha segnato una generazione almeno quanto prima Mister Fantasy, la trasmissione di Carlo Massarini.
Clive racconta l’importanza di Videomusic negli anni 80.
Io: Roma in quegli anni era un universo in ricomposizione. C’era un mondo che cercava futuro in mezzo alle pagine polverose di una città poco disposta all’universalità se non quella più conformista del Dio, Patria e DC (il monocolore scudocrociato dei sindaci si era interrotto solo da poco, nel 1976, con lo storico dell’arte Argan, di sinistra per quanto Indipendente). Solo per dire. Ma il modo di ricomporre la sua galassia era largo e inclusivo. Roma non ha mai avuto uno stile preminente. E neppure una voce sola. Questo è stato il suo bello sempre: essere di tendenza senza essere una tendenza. Punk, Skin, Wavers, Mods, Metallari, Rockabilly: tutti albergavano in locali divisi per giornate dedicate nella città apparentemente più normalizzatrice in Italia.

Il nostro bisogno di consolazione ovvero come tenere vivo un ricordo per tenere in vita un’emozione
HANDSOME DEVIL
Io: Il nostro bisogno di consolazione – per parafrasare lo scrittore svedese Stig Dagerman – aveva bisogno di eroi diretti. Non dico semplici. Gli Smiths non lo erano. Eroi che venivano da un altro pianeta. Per questo bisognerebbe dire eterodiretti. Ma sani, più sani di un qualsiasi effetto massmediatico atteso. Non voglio fare nomi per non toccare sensibilità diverse ma c’erano gruppi così in quegli anni. Serviva qualcuno e qualcosa che scardinasse tutto, che depotenziasse la Kryptonite di tutto il resto e il diavolo affascinante degli Smiths lo era. Lo era a tal punto che quando si sciolsero ci fu persino uno che andò a blindarsi in una radio americana e la mise sotto sequestro facendole trasmettere brani ininterrottamente. Qualcosa in pochi anni era successo. Non si sarebbe potuto più tornare indietro.
Per noi la consolazione non è mai bastata. La panacea di un tributo, il miraggio di una reunion. Tutto è rimasto a Roma, al 14 maggio 1985 e ognuno è stato costretto a fare i conti con il proprio vuoto: quello lasciato dagli Smiths e quello rimasto in ognuno di noi a causa di quel sottrarsi. Per quel che riguarda me, quella storia si è chiusa lì e tutto quello che è venuto dopo – dischi e concerti di Morrissey, dischi e concerti di Marr – non hanno rappresentato altro che cover di quel sentimento che nel 1987 ha avuto un definitivo, lapidario e perciò cimiteriale THE END.

Come finisce questa storia (fine del concerto, reunion, litigi, morte di Rourke, cause)
THIS CHARMING MAN
Io: Come finisce questa storia ma soprattutto chi è quest’uomo affascinante di cui parla la canzone e che fine ha fatto in questi anni. Potremmo anche essere noi. Questa è una delle canzoni più attese al concerto, almeno quanto Hand In Glove e Still Ill. Poi ci sono le disattese. Ognuno ha le sue piccole delusioni dal concerto romano. La mia è non aver ascoltato Reel Around The Fountain una delle canzoni con cui ho consumato puntina e vinile. Ma l’uomo affascinante è solo “A jumped-up pantry boy / Who never knew his place”, che è una frase che Morrissey – raccontano gli esegeti dei versi Smiths – ha “rubato” a Sleuth, un film in cui Laurence Olivier minaccia Michael Caine con un’arma porge questa battuta, dandogli del parvenu o qualcosa di simile. Morrissey ha sempre detto che la canzone è piena di frasi famigliari come quella, presa della Delaney, in cui ammette di non andare alle feste per non avere nulla di decente da mettersi. Per molti la storia degli Smiths non è finita con gli Smiths e neppure è continuata con le attività soliste dei quattro membri del gruppo.
THIS CHARMING MAN
Io: Il concerto si avvia alla conclusione, così la nostra storia e il racconto della fine senza vera fine di questo gruppo. Una fine che io associo da sempre alla presentazione in un Sanremo rock a latere del festival della canzone italiana.
Carlo Massarini presenta l’ultima esibizione degli Smiths in un parallelo Sanremo  Rock e ha anche la fortuna di intervistare Morrissey e Marr.
https://www.youtube.com/watch?v=pBiSY6BTNkA
Io: Incontro Carlo davanti agli studi di via Teulada, uno degli atti mancati del gruppo, quello di DISCORING che abbandonano nella tre giorni romana senza registrare nessun brano. Ma sono pure gli studi della RAI dell’epoca cari a Carlo che qui era di casa col suo Mister Fantasy. Perché sono finiti gli Smiths e cosa invece non è mai finito e perché.
Carlo Massarini racconta il finale della storia degli Smiths e la loro importanza.
Io:
Si avvia al finale il concerto e si avvia al finale la storia del gruppo. Giorni fa ho richiamato Alberto Campo al telefono. Era a Torino, la sua città, gli ho chiesto il senso di questa parabola degli Smiths.
MISERABLE LIE.
Io: Eccola la bugia miserabile e un altro lungo ooooohhhh in falsetto. Questa è un po’ la canzone delle separazioni definitive “quindi, addìo, / rimani con quelli come te, ti prego / e io farò lo stesso”. Qualcuno ci ha voluto leggere dentro vicende private e scelte di orientamento sentimentale. Forse anche in questa storia del gruppo e del concerto ci sono o ci sono state delle bugie oltre che delle separazioni. Nell’intervista di Massarini a Sanremo Rock nello stesso anno della separazione, il 1987, alla domanda dove s’immaginava a 50 anni il suo “not here” era suonato quasi una profezia. Gli storici musicali hanno provato a capire cosa aveva fatto cadere il gruppo. Colpi d’interviste incrociate e fastidi a valle di queste. Dissidi sui comportamenti dei membri della band. Competizione tra le due menti forti e debolezza delle altre due figure. Da qui la battaglia delle royalties. Ma sono passati anni, nel frattempo, da quella primavera 1987 di Sanremo e dall’agosto in cui Marr dichiara di volersi prendere una pausa. Ed ecco intanto i primi obituary, veri. Quello per Andy Rourke che rende filologicamente impossibile una reunion a ranghi pieni della band. Persino il biografo del gruppo Johnny Rogan ha lasciato questa terra ed è strano che questo sia avvenuto nella solitudine della sua casa e con una scoperta molto tardiva del corpo, ben quindici giorni dopo. La solitudine ha un suo posto in questa storia di separazioni.

L’eterno ritorno delle canzoni ovvero il nulla che mai finisce    

YOU’VE GOT EVERYTHING NOW
Io: Ecco, ora è tutto. Il concerto sta davvero per finire e mi rendo conto che sono costretto a parlare del dopo ma non come ho fatto precedentemente. Non voglio dire cosa è successo al gruppo ma cosa è successo a noi e a quelle canzoni con noi e per altri.
14 maggio 1985: è come se ce ne fossimo andati alla spicciolata da quel tendone da circo e poi è iniziato questo viaggio che è diventato il viaggio di una vita. Spesso non è bello rivedersi nelle vecchie fotografie. Eravamo più giovani e questo non ci piace. Quasi tutti più belli o solo più sani ma spesso anche più ingenui. Allora ci emozionavamo per un concerto che stava per arrivare. Ora nulla ci sposta se non voyeuristicamente qualche caso di cronaca truce o un gattino su facebook o instagram. Non gridavamo cose sbagliate. Non tremavamo per le persone non adatte a noi. Ma poi la vita ha fatto un suo corso un po’ normalizzatore e non ci fa piacere riconoscerlo, né rivederlo. Raccontare questa storia per me forse è stato: decidere di accettare il buono. Ma credo non solo per me sia stato così.

Ma c’è anche un dopo del dopo concerto che nel caso di Morrissey riguarda in particolare proprio Roma. Non più la serata al Tendastrisce ma la città dove peraltro è tornato spesso e tornerà in concerto. Per una strana continuità l’ex-cantante del gruppo ci verrà a vivere per un po’ di tempo al De Russie via Frattina piazza del Popolo. La stanza – che si intravede fra l’altro in una intervista di Les Inrockuptibles – affaccia sul verde del Pincio. Il pavimento è di liste grandi di legno lavorate a spiga. Ha un letto grande e un divanetto. Alle pareti i toni del verde pistacchio chiaro e verde bosco scuro e del beige. Due specchi esagonali sormontano i comodini. Ai piedi del letto dalla testiera imbottita un divanetto chiaro a fiori.
Ma ora sono a Piazza Cavour Piazza Cavour, what’s my life for? Piazza Cavour, che senso ha la mia vita? https://www.youtube.com/watch?v=ChoEbSbeCU8 canterà in You Have Killed Me. In questo brano sboccerà il floriilegio delle sue passioni italiane e romane. Pasolini sono io, dirà e poi citerà la Magnani, Visconti e Accattone. Piazza Cavour. Sono qui forse anch’io per capire che senso ha avuto la mia vita in relazione a quel 14 maggio 1985. E in ogni caso sono qui per ricordare questo periodo romano come se fosse parte di quella fascinazione di Moz per la mia città che aveva portato il gruppo qui in quel maggio anni 80 a qualche giorno da un piccolo tour spagnolo. Il pretesto del trasferimento romano raccontano i biografi fu la registrazione a fine agosto 2005 dell’album Ringleader of the Tormentors, l’ottavo album in studio da solista di Morrissey. Sono stato ai Forum Studios a Piazza Euclide ai Parioli, e ho incontrato Marco Patrignani che mi ha raccontato del lavoro sulla traccia Dear God Please Help Me di cui ha curato la produzione aggiunta sugli archi scritti e arrangiati da Ennio Morricone.
DEAR GOD PLEASE HELP ME
https://www.youtube.com/watch?v=2ASVRQrT-pU
È un brano bellissimo che parte con un “I am walking through Rome” preso dalle angosce e dalla pena con la richiesta d’aiuto a dio e si chiude con la trasformazione di un “And now I am walking through Rome / And there is no room to move / But the heart feels free” e l’offerta di aiuto a dio. Non è facile la vita a Roma – dice che i ragazzi occupano tutto il marciapiede o vivere senza macchina è quasi impossibile – ma Morrissey che non ne può più della permanenza in una Los Angeles militarizzata e si sentirà libero nella città italiana al punto da decidere di trasferirsi a vivere qui. Proprio qui all’Hotel de Russie. Dove sentirà che la vita ha un nuovo senso.
DEAR GOD PLEASE HELP ME
Io: Sono passati 40 anni, per la quasi totale maggioranza del tempo per noi del concerto al Tendastrisce e per gli altri fan sono passati senza gli Smiths. Fa impressione sentire quanto questo vuoto non sia stato silenzioso né cimiteriale, almeno nel senso fermo della parola. L’adolescenza, l’intimità, il bisogno di consolazione. Tutte o quasi tutte le tessere, magari, certo, forse non per tutti hanno trovato un posto in questo disegno. E se qualcosa è ancora incompleto c’è da manifestare fiducia nell’eterno ritorno delle cose che spesso e senza che ce ne accorgiamo sigilla con le sfumature giuste il vuoto che rimane in mezzo.
Sì ormai abbiamo tutto. Non si tratta che raccontare questa storia. “È tempo – per parafrasare una canzone del gruppo – di raccontare la storia / Di come hai raccolto un bambino / E ne hai fatto un adulto”. L’adulto che sono, gli adulti che siamo.

NdR Roberto Carvelli ha tratto la sceneggiatura dell’audiodocumentario andato in onda per Tre Soldi (ascoltabile qui) dal suo racconto pubblicato da Arcana (2025) con il titolo “Questa notte mi ha aperto gli occhi. La storia dell’unico concerto italiano degli Smiths”. Un libro che partendo dalla scaletta di quella che sarà l’unica data italiana del gruppo di Manchester, finisce per raccontare la breve parabola della band come una storia musicale insieme personale e collettiva. In essa gli elementi di una stagione sottovalutata si fondono al racconto di sé e alla formazione intellettuale di una generazione.
In rete si trovano queste registrazioni del concerto:
https://www.youtube.com/watch?v=RAxVXAltI1Y&t=741s
https://www.youtube.com/watch?v=3S4Ryp8XOD0&t=1108s
https://www.youtube.com/watch?v=AHaWyjW9zbc&t=57s

 

 

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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