Guida all’installazione di un futuro me

Di Ugo Coppari

 

Hai cercato se il tuo libro è nella lista che hai letto sopra? Te lo chiedo perché se stai leggendo queste pagine è perché in qualche modo hai a che fare con il mondo dell’editoria, o come scrittore o come editore. O magari sei un parente di qualcuno che ha scritto uno di questi libri. Ad esempio una delle statistiche che più spesso ho cercato di estrapolare riguarda il numero delle persone viventi che possano ritenersi autori letterari, cioè che abbiano scritto attivamente e continuativamente negli ultimi dieci anni. Sappiamo ad esempio che ogni anno in Italia, perlomeno di recente, vengono pubblicati 80.000 titoli, di cui circa 5.000 sono romanzi. Di ogni opera, in media, vengono venduti 4.000 esemplari e le copie in eccesso finiscono al macero. Sappiamo anche che cinque italiani su dieci non leggono nemmeno un libro l’anno, quattro di loro ne leggono tra gli uno e i dieci e solo un dieci percento ne legge più di dieci. E quindi? Cosa ci dicono questi numeri?

A diciassette anni, per la prima volta, ho letto un libro senza che nessuno mi obbligasse a farlo. Titolo: On the road. Fino a quel momento avevo passato anni a leggere solo resoconti, aneddoti e statistiche che raccontassero il mondo del basket, in particolare quello americano. Altezza, peso, percentuali di tiro di tutti i giocatori che abitavano il mio mondo mitologico fatto di salti, competizione e sudore. «Superbasket», «American Superbasket », «I giganti del basket». Quando mio padre rientrava a casa, dopo una lunga giornata di lavoro, nel ritrovarmi disteso a letto a sfogliare quei giornali mi chiedeva perché non uscissi un po’ di più. Ma in quei numeri cercavo una forma per governare il caos, la misura di un mondo che adoravo. Anche i numeri di maglia erano diventati un codice segreto con cui io e mio fratello avevamo codificato una serie di punizioni che ci infliggevamo nei momenti di lotta (a dire il vero era lui che li infliggeva a me, vista la differenza di età, a mio sfavore): il 33 di Scottie Pippen, lo 00 di Kevin Duckworth, il 34 di Charles Barkley, ogni numero una tortura che solo noi potevamo capire in anticipo («sta arrivando un 33»). L’idea fisica di America era costruita sulla base dei nomi delle squadre, nomi che dicevano ben poco delle distanze che separavano le rispettive città. Così un giorno appesi una cartina degli Stati Uniti sulla testata del letto, per capire dove fossero ambientate queste gare NBA che guardavo a notte fonda o di cui leggevo le statistiche disteso a letto. Poi arriva questo Kerouac, che mi parla di un viaggio da costa a costa, attraverso quegli spazi che fino a poco prima erano senza nome. Da quel momento l’America era il vento nei capelli, una macchina che corre verso nuove destinazioni, l’idea di poter costruire il proprio futuro senza regole né restrizioni.

Negli ultimi anni del liceo ho preso una quadernetto, con rilegatura orizzontale, senza quadretti né righe, dove ho cominciato ad appuntare gli effetti che i primi amori producevano nella mia mente impressionabile, gli stravolgimenti dello spirito che le continue lotte ideologiche con mio padre trasformavano in verità inespugnabili. Ma allora anche io sono uno scrittore, mi sono detto. Passano gli anni e un giorno vengo a sapere che Alessandro Baricco sarebbe venuto in visita nella mia cittadina. Stava facendo un tour promozionale con cui far conoscere la sua scuola di scrittura, la Holden. Quel giorno si sarebbe presentato insieme al produttore Domenico Procacci. Finita la presentazione, mi sono avvicinato ai camerini dove Baricco avrebbe firmato i suoi libri o semplicemente avrebbe benedetto le sue ammiratrici. Mi sono messo in fila dietro a decine di signore in là con gli anni, in attesa che arrivasse il mio turno. Non ricordo quale suo libro avevo già letto, forse City o Oceano mare, ma poco importa. Quello che volevo chiedergli era questo: dovrei venire nella sua scuola per trasformare quei pensieri scriteriati in qualcosa di organico e sensato? Quei pensieri valgono qualcosa? Li penso solo io? Sono unico? Ma quando si apre la porta del camerino non vedo nessuno, perché era più basso di quanto mi aspettassi. Abbasso lo sguardo e vedo questo uomo molto riccio e molto educato che mi viene incontro. Alle mie domande si limita a rispondere così: vai per strada e osserva la gente. E così ho fatto.

In tutti questi anni di scrittura ho ripensato alle sue parole, come a un oracolo da cui tutto è partito. Avrebbe fatto bene a invitarmi a frequentare la sua scuola? O avrebbe potuto dirmi: fai ingegneria, cretino! In un modo e nell’altro è certo che ad avviarmi verso questa pratica del racconto è stato un autore di cui poi non ho più letto nulla. E se avessi fatto ingegneria? Se avessi saputo calcolare la quantità di ferro necessaria nelle travi portanti di un edificio affinché questo possa far fronte alle scosse dei terremoti, avrei avuto questo bisogno incessante di scrivere? Quale lavoro avrei potuto fare? Me lo sono chiesto più volte, analizzando la lista degli ottomila lavori esistenti, di cui riporto un breve estratto, relativo ai mestieri che, tra le altre cose, richiedono l’uso delle mani: macellai, abbattitori di animali, norcini, pesciaioli, addetti alla conservazione di carni e pesci, panettieri, pastai, pasticcieri, gelatai, conservieri artigianali, cioccolatai, degustatori e classificatori di prodotti alimentari e di bevande, artigiani ed operai specializzati delle lavorazioni artigianali casearie, operai della preparazione e della lavorazione delle foglie di tabacco, attrezzisti, operai e artigiani del trattamento del legno ed assimilati, artigiani ed operai specializzati del trattamento del legno (curvature a vapore, stagionatura artificiale, trattamenti chimici), falegnami, montatori di mobili, impagliatori, cestai, spazzolai, sugherai e professioni assimilate, impagliatori e lavoranti in vimini e setole, cordai e intrecciatori di fibre, lavoranti in giunco e canna, lavoranti in sughero e spugna, preparatori di fibre, tessitori e maglieristi a mano e su telai manuali, tintori e addetti al trattamento chimico dei tessuti, sarti e tagliatori artigianali, modellisti e cappellai, modellisti di capi di abbigliamento, tagliatori di capi di abbigliamento, confezionatori di capi di abbigliamento, sarti, cappellai, pellicciai, modellatori di pellicceria e professioni assimilate, modellisti di pellicceria e di capi in pelle, tagliatori di pellicceria e di capi in pelle, confezionatori di pellicceria e di capi in pelle, pellicciai e sarti in pelle, biancheristi, ricamatori a mano e professioni assimilate, confezionatori e rifinitori di biancheria intima, confezionatori e rifinitori di biancheria per la casa, merlettai e ricamatrici a mano, bottonai, tappezzieri e materassai, confezionatori di tende e drappeggi, modellisti di poltrone e divani, tagliatori di imbottiture e rivestimenti di poltrone e divani, confezionatori di poltrone e divani, tappezzieri di poltrone, divani e assimilati, artigiani e addetti alle tintolavanderie, conciatori di pelli e di pellicce, modellisti di calzature, tagliatori di calzature, confezionatori di calzature, calzolai, sellai e cuoiai, valigiai, modellisti di pelletteria, tagliatori di pelletteria, confezionatori di pelletteria, pellettieri.

Questi, invece, sono i lavori che ho fatto nella mia vita: operaio generico in fabbrica (tre giorni all’età di sedici anni), bracciante agricolo per vendemmia (tre estati), facchino per montaggio di palchi per concerti e spettacoli teatrali (occupazione sporadica ma pluriennale), facchino per rifornimento notturno degli scaffali di un ipermercato (una notte), facchino per ditta di marmi (mezza giornata), trasportatore di motore a spalla per rifornimento di gas di un pallone aerostatico necessario per i volteggi di una ballerina appesa a mezz’aria (una sera), portalettere (un giorno), distributore di elenchi telefonici (tre giorni), runner (cinque settimane), cameriere (svariate volte), accompagnatore di studenti in vacanza studio (tre settimane), copywriter (un mese), accompagnatore di persone non vedenti (un anno), insegnante di italiano a stranieri (quattordici anni).

E ora eccomi qui. Dopo vent’anni di attività e sei libri pubblicati, neanche l’esiguo numero di copie vendute a scoraggiarmi dal continuare a scrivere qualcosa di nuovo che mi porterà via tempo ed energie. Ma questa volta sarà diverso. Perché questo testo, un resoconto di tutte le mie attività in vita, servirà a qualcosa: ricreare un me digitale dopo la morte, un futuro me che possa dialogare con chi mi sopravviverà, un me eterno la cui personalità possa aderire il più possibile al vero. E quindi i programmatori della mia identità digitale dovranno per forza leggerlo. Perlomeno loro.

 

 

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Un estratto di Ugo Coppari dal suo Guida all’installazione di un futuro me, appena uscito per Quodlibet. Tra le pubblicazioni dell’autore, le raccolte di racconti Nove anoressiche, 2007, Il grande rimbalzo, 2014, Terra, 2023, e i romanzi brevi Bim bum bam, 2006 e Limbo mobile, 2009.

 

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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