Massa e profumo. Verso una nuova antropologia della Generazione Z

di Michele Canalini
La scuola è uno straordinario campo di indagine per l’antropologia. Da insegnante osservo con attenzione e curiosità, da diversi anni, i modi di dire, di fare e di presentarsi degli studenti in classe. E posso dire con una certa convinzione che le tendenze dei giovani sono in continuo cambiamento e che le abitudini di oggi non sono le stesse di quelle di quindici o vent’anni fa.
Tuttavia, il mio spirito è quello di chi cerca di osservare quello che fanno i ragazzi, ma con discrezione. Se certi atteggiamenti a me possono apparire stravaganti, preferisco comunque passarci sopra, fermo restando il rispetto dell’educazione e della convivenza civile in aula. Perché evidentemente quei comportamenti bizzarri testimoniano un qualcosa che non è immediatamente avvertibile.
Faccio un esempio: negli ultimi anni ho visto sempre più di frequente che i ragazzi si scambiano piccoli “massaggi” tra di loro, come vere e proprie forme di affetto. Il massaggio più ricorrente è quello che viene fatto sulle braccia, con una modalità a pennello o “a sfioramento” di tutto l’avambraccio, di uno studente sull’altro o addirittura su due compagni contemporaneamente.
Il massaggio viene quasi sempre praticato quando la lezione non è abbastanza coinvolgente oppure se si guarda un film: nel primo caso, sembra assumere la funzione di un passatempo mentre durante la visione della pellicola il massaggio ricopre pressappoco il ruolo di un metronomo. Oppure di un sostituto del chewing-gum. Perché, qualunque sia lo scopo del massaggio, tutti i ragazzi fanno fatica a stare fermi per un certo tempo sulle proprie sedie e qualche parte del corpo la devono pur sempre muovere.
In più, c’è il massaggio alle spalle o al collo, che è diverso rispetto a quelli precedenti.
Rispetto ai questi ultimi, infatti, la differenza non è nei momenti della sua “epifania” ma nella modalità in cui viene fatto. Il massaggio a spalle o collo risulta invero più energico ma senza rinunciare a quell’effetto rilassante o di trasmissione di un sentimento da una parte all’altra dei due partner, un effetto che è volutamente ricercato dagli adolescenti.
L’imperativo, però, resta sempre quello di assecondare la locomozione del proprio organismo o di un qualsiasi arto del proprio busto, per non venire mai meno all’impulso di spezzare la soporifera e tediosa staticità del corpo.
Infine, c’è il massaggio che io ritengo quello più curioso e che si presenta con minor frequenza: si tratta del massaggio di un allievo sulla testa dell’altro, con un palpeggiamento insistito del cuoio capelluto dell’interessato, quasi a renderlo una manipolazione anti-stress.
La prima volta che l’ho visto, era dalle mani di una ragazza sulla testa di un allievo che era solitamente molto esuberante in classe. Quando mi accorsi che il ragazzo in questione riusciva a placare in questo modo la propria vivacità, come se fosse incantato da un sortilegio, io stesso mi sono tenuto ben lontano dall’ammonire i ragazzi di interrompere l’opera di strofinamento del cuoio capelluto. Eppure, con gli occhi di traverso, continuavo ad osservare, quasi con il piglio di un positivista del terzo millennio.
Il fenomeno dei massaggi non è di certo una mia scoperta. È stato raccontato e descritto anche da Christian Raimo e dai suoi allievi nel loro Lettera alla scuola, uscito per Feltrinelli nel 2024: “Molti degli studenti passano le ore di buco o le ricreazioni, ma anche quelle di spiegazioni, a farsi i grattini. Non cambia se sono maschi, femmine, fidanzati, amiche, amici, se c’è una complicità amorosa o qualcosa del genere: il tutto avviene come una pratica naturale. Come scambiarsi i bigliettini tra un banco e l’altro. A un certo punto il prof ci ha detto che forse potremmo parlare di una sorta di grooming generazionale. Che cos’è? Un processo di infantilizzazione, un’urgenza di coccole fuori tempo massimo? Non ci sbilanciamo e nemmeno il prof, ma ci pare la manifestazione di un senso di solitudine, il bisogno di qualcuno a cui affidarsi”[1].
Le parole di Raimo attestano dunque una trasversalità di questo fenomeno, sia orizzontale (i “grattini” vengono fatti in ogni momento della giornata, a lezione o all’intervallo, in aula o nei corridoi oppure durante le uscite) sia verticale(perché questa richiesta di “contatto fisico” coinvolge tutti i ragazzi, dalla scuola media al triennio delle superiori).
Con una possibile interpretazione, per voce dello stesso docente Raimo: “Il prof ci ha suggerito che forse questa condizione diffusa genera una richiesta di accudimento, che a volte è implicita, a volte è plateale”[2].
Eppure, c’è un altro fenomeno che negli ultimissimi anni ha attirato la mia attenzione: la profumazione individuale, se non a piccoli gruppi.
Di questo aspetto non ho mai letto niente in articoli o pubblicazioni, francamente. Potrebbe anche essere un qualcosa che è capitato soltanto sotto i miei occhi – meglio sotto le mie narici – ma i cambiamenti della Generazione Z risultano generalmente condivisi.
Me ne sono accorto due anni fa, quando, al termine della lezione e pochi minuti prima del suono della campanella, vidi una ragazza tirare fuori dallo zaino un flaconcino pieno di profumo e spruzzarselo addosso su collo e ascelle. Quella volta non ci diedi peso ma poi lo stesso fatto si ripeté più volte, soprattutto in quei frangenti della mattinata scolastica che i vari ragazzi consideravano ritagli di tempo. Vedevo ragazzi e ragazze che sfruttavano un momento di disattenzione del docente per estrarre di soppiatto dallo zaino boccette di profumo e iniziare a cospargersi, con l’effetto collaterale di una aromatizzazione di tutto l’ambiente dell’aula.
A una prima impressione, ho pensato quasi a una “clandestinità della deodorazione” che era tuttavia facilmente annusabile nell’ambiente scolastico, anche solo per il contrasto olfattivo con il pungente odore di detergente e disinfettante, comune a tutti gli edifici scolastici di ogni latitudine. E nonostante i tentativi – maldestri – degli allievi di nascondere la propria profumazione.
Anzi, quando i miei primi richiami a non usare i profumi in classe, almeno inizialmente, sono serviti a dilazionare il fenomeno, alla lunga non sono riusciti affatto a scoraggiarlo. Per un qualche strano motivo – ma che poi così strano non è – mi sono accorto che spesso gli allievi ricorrevano alla loro boccetta “magica” in prossimità del suono dell’ultima campanella, quando erano sul punto di uscire dall’edificio scolastico. Talvolta la boccetta di profumo veniva anche lasciata sul banco – “Non la sto utilizzando, quindi lei non mi può dire niente!”, si giustificavano di volta in volta i ragazzi – come un talismano, se non un vero e proprio portafortuna.
In assenza poi dello smartphone (dobbiamo considerare che negli ultimi anni abbiamo chiesto a tutti gli studenti della mia scuola di depositare il proprio smartphone in appositi stipetti chiusi a chiave, durante tutte le ore di lezione), il profumo è diventato il nuovo oggetto dei desideri. Ho visto ragazze fissare la loro bottiglietta sul banco, come se fosse un oracolo. Altri studenti la sfioravano con le dita – senza però spruzzarne il contenuto – quasi che il contenitore di vetro avesse assunto la forma di un involucro “touch”, in un paragone o in una sostituzione con lo smartphone vero e proprio.
La mia prima considerazione personale è stata affettiva, nonché nostalgica. Legata proprio alla sede dell’olfatto, cioè al naso. Mi sono ricordato dalle strisce dei Peanuts del personaggio di Lucy Van Pelt che asseriva con gioia quanto “un bacio al mattino sul naso delle persone le avrebbe rese migliori e le avrebbe aiutate nel corso della giornata”.
Dal lato rievocativo, sono passato a quello più scientifico: letteratura e neuroscienza sono concordi nell’affermare quanto una fragranza sia in grado di accendere un ricordo particolare in ciascuno di noi, sennonché di calmarci o di darci energia. E credo proprio che sia il secondo aspetto quello che riguarda maggiormente gli studenti della scuola.
“Il sistema olfattivo è collegato all’ippocampo, la parte del cervello che presiede alla memoria e, con l’amigdala e il sistema limbico, è la regione delle esperienze emotive. Basta questo rapido quadro neurale per spiegare la centralità del naso nelle nostre biografie, dagli episodi di madeleine olfattiva al ruolo dei feromoni nel risvegliare, via stimolo olfattivo, il nostro appetito sessuale”, scrive Vittorio Lingiardi in quel magnifico libro intitolato Corpo, umano, recentemente pubblicato da Einaudi[3]. Appunto, un esempio di unione di scienza e letteratura.
Dunque, è stato proprio quest’ultimo aspetto che mi ha dato da pensare di più.
Perché, dunque, i ragazzi sentono questo bisogno di profumarsi, specialmente nelle ore di scuola?
Non credo che sia semplicemente un vezzo per apparire – e farsi odorare – come individui più attraenti, specialmente in quegli insostituibili momenti di aggregazione che sono i viaggi con il trasporto pubblico per tornare a casa.
C’è senz’altro la volontà – più latente che esplicita – di continuare quel percorso di identificazione del sé che caratterizza tutta l’adolescenza. La profumazione non sarebbe altro che un ulteriore tassello in questo cammino di crescita. Ma c’è dell’altro: emerge forse il primo tentativo, sebbene dissimulato tramite il ricorso appunto al senso dell’olfatto, di relazionarsi a un proprio coetaneo o pari, con il tentativo di stabilire un vero e proprio contatto interpersonale.
La boccetta di profumo, con il suo contenuto ammaliante, ha assunto in quest’ottica il nuovo ruolo di simulacro del conforto emotivo, sostituendosi al cellulare quando appunto non si può ricorrere ad esso. Il profumo crea perciò un alone di “visibilità” per quei ragazzi che cercano di attirare le attenzioni degli altri e al contempo costituisce un “laccio” comunicativo per tentare di entrare in rapporto con qualcuno di desiderato. Non tanto o non solo nella sfera sessuale ma in quella più propriamente erotica. Nel senso proprio di innestare una spinta erotica, un trasporto verso “l’oggetto” del desiderio, di ciò che che si brama di possedere. Una tesi simile a quella esposta dallo psicanalista Massimo Recalcati nel suo L’ora di Lezione. Per un’erotica dell’insegnamento[4], con la differenza che l’attrazione non è ora tra maestro e discente, ma tra adolescente e adolescente.
La profumazione, quindi, come il massaggio, avrebbe lo stesso risultato: trasformare il ragazzo o la ragazza “dalla passività dell’amato, all’attività dell’amante”.
Pertanto, al cospetto dell’assenza dello smartphone, lo studente ha ripiegato sul profumo. Sembra quasi che la profumazione sia da considerarsi, dunque, alla stregua di una chat su WhatsApp o un modo di essere sempre “connessi”, per restare sempre al confronto con il device tecnologico. Appunto, il grande “assente” durante le ore di lezione.
La conferma mi è data anche dai miei dati “empirici”: il fenomeno del ricorso alla boccetta di profumo in classe, da individuale o saltuario, è diventato – nel corso dei due anni oggetto della mia analisi – sempre più diffuso e sempre più visibile nelle mani – o sui banchi – dei ragazzi.
In taluni casi, mi sono pure accorto che i vari tipi di profumi, esibiti o utilizzati dagli studenti, passavano da quelli di basso valore a quelli griffati, di indubbio costo elevato. Se i primi sono però alla portata di tutti, i secondi possono essere in possesso degli adolescenti soltanto per il tramite dei genitori.
Questo cosa significa questo?
Che la boccetta sia un regalo? Non lo credo perché, in questo caso, la comparsa della stessa sarebbe soltanto un oggetto occasionale in mano a sparuti studenti.
Che sia una richiesta specifica dell’adolescente o un suo capriccio?
Difficile dirlo ma alla fine resto convinto che una risposta plausibile vada in quella direzione che ci ha già indicato, a più riprese, lo stesso Massimo Recalcati, quando ha parlato di una complicità diseducativa tra genitori e figli. Nel senso che probabilmente è lo stesso genitore ad aver comprato il profumo costoso e poi lo ha lasciato liberamente al figlio, quasi a voler suggellare una condivisione di oggetti e simboli tra l’adulto e l’adolescente, una condivisione tesa a mettere sullo stesso piano il padre e il figlio, l’uomo maturo e il ragazzo, il maestro e l’apprendente.
Come il genitore indossa le stesse sneaker del figlio, così il ragazzo si cosparge della stessa essenza del padre. Appunto, una complicità che confonde i ruoli e che si rivela tutt’altro che istruttiva.
Se dunque il genitore facoltoso può permettersi un profumo costoso e di conseguenza lo vuole mettere in mostra, in questa logica lo deve fare anche il figlio o la figlia. Tanto più se un genitore è separato e così può accattivarsi le simpatie dell’adolescente nei confronti dell’altro genitore. Oppure potrebbe essere anche una forma, più o meno esplicita, di classismo tra chi può permettersi un profumo di alto valore economico e chi, invece, voglia aspirare, sia pure con essenze di minor costo, a emulare i compagni “meglio” o più riccamente profumati.
Da questo punto di vista, sembra quasi la perpetuazione di un classismo di odori a scuola, per quanto la cosa possa sembrare incredibile (e anche grottesca, per certi versi).
Ma non c’è nulla di incredibile: la longa manus dei genitori – e della loro volontà di distinguere sé stessi e i propri figli – si è trasformata nel longus nasus dei grandi e si è rispecchiata prima in ciò che i ragazzi indossano in classe; poi, negli schermi di alto costo che mettono nelle mani dei loro figli; e, infine, nella “protezione olfattiva” che gli stessi adulti hanno trasferito dai propri corpi a quelli dei propri figli, in una trasmissione di saperi ed essenze che, come ci ha ricordato Recalcati, non sempre appare come un segnale positivo.
[1] La III M dell’Istituto Amaldi di Roma con Christian Raimo, Lettera alla scuola, Feltrinelli, Milano 2024, p. 141.
[2]Ibidem, p. 140.
[3] V. Lingiardi, Corpo, umano, Einaudi, Torino 2024, p. 77.
[4] M. Recalcati, L’ora di Lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014.
