Ciò che non cambia è la volontà di cambiare

di e con
Rosaria Capacchione
Confermate in Appello le condanne per le minacce rivolte in aula a Napoli, nel 2008, durante il processo ‘Spartacus’, a Rosaria Capacchione e Roberto Saviano. Con la sentenza emessa nel pomeriggio del 14 luglio 2025 dai giudici della Prima sezione della Corte di Appello di Roma è stata ribadita la decisione di primo grado del 24 maggio 2021 che ha riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso condannando il boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi.
«questa sentenza è un punto fermo. Sono diciassette anni e mezzo di vita passati a pensare a quel documento letto in aula, al significato, alle ripercussioni. È un pezzo di vita, un pezzo di vita importante che ha condizionato l’esistenza professionale». Ha commentato Rosaria Capacchione.
La conversazione
a cura di effeffe
Con Rosaria Capacchione ci siamo ritrovati dopo qualche anno di latitanza fisica ma non affettiva, e in occasione della sentenza in appello pronunciata relativamente alle minacce del clan dei Casalesi a lei e Roberto Saviano, le ho chiesto di condividere su Nazione Indiana il suo pensiero su quanto appena accaduto.
Rosaria, innanzitutto come va?
In piena afa, non mi sposto. Certo la condanna è stata confermata in appello ma come sai c’è sempre la Cassazione.
Mi dici la prima cosa che hai pensato?
Menomale, Santonastaso, l’avvocato e il boss che fa il boss avevano tentato l’impossibile per non arrivare alla sentenza. Per quattro volte è stato rinviato in appello perché non si trovava il modo di notificare l’atto all’avvocato, pare in Croazia o Serbia e il penultimo per un problema di salute sopraggiunto poche ore prima della convocazione. Estenuante, ti assicuro, percorrere avanti e indietro Caserta Roma per rimanere due minuti, il tempo che ci voleva per comunicare il rinvio del processo. Per diciassette anni, capisci. E sentenziare che quello che pareva tra virgolette una minaccia era effettivamente una minaccia. Come per tutte le questioni di lana caprina, gli avvocati difensori che si sono avvicendati contestavano ogni cosa quando poi tutto il mondo giudiziario, la Stampa che ovviamente aveva dato credito a quelle minacce, più di una semplice allusione, non aveva avuto il minimo dubbio sulla pericolosità di quell’azione. Certo è un verdetto che non cambia nulla dal punto di vista della pena almeno per quanto riguarda Bidognetti, di cui nessuno mette in discussione la mafiosità visto che è in carcere da trentadue anni con a carico più ergastoli passati in definitiva. La vera novità riguarda il suo avvocato se la cassazione dovesse confermare la sentenza.
Mi puoi dire perché?
Vedi, minacce ai giornalisti di inchiesta o a chiunque si fosse messo di traverso nei loschi affari della camorra, ci sono sempre state, ma si trattava sempre di episodi personali e, in qualche modo, in ordine sparso. Querele temerarie, diffide pretestuose, cose che, lo sappiamo bene, fanno parte del gioco e non necessariamente pericolose per la vita.
Insomma Rosaria altro che nulla di nuovo dal fronte dei giornalisti. E tu cosa hai provato?
Allora, sgomento, non più la semplice paura a cui ero stata abituata. Era come se si fosse passato a un livello superiore con il coinvolgimento direi ideologico dell’avvocato con un clan che aveva già fatto le sue prove di fuoco con stragi e rappresaglie. Il 13 marzo c’erano state le minacce e in aprile, con l’evasione di Setola, sarebbe cominciata la campagna di delitti con tutte le categorie coinvolte, dagli imprenditori che avevano denunciato la Camorra ai collaboratori di giustizia.
Rosaria, mi ha molto commosso la reazione di Roberto Saviano in tribunale, le sue lacrime mi hanno scosso come può soltanto il pianto di un amico fraterno.
Ci siamo salutati in tribunale per pochi minuti. Da un certo punto di vista le nostre reazioni non sono state le stesse per una semplice questione generazionale. La mia generazione ha un approccio diverso con la realtà, per esempio è poco avvezza ad esprimere i propri sentimenti. Detto questo, come dimenticare, non riconoscere a Gomorra di avermi salvato la vita. Furono proprio quei riflettori dell’attenzione del paese su quello che accadeva nella nostra regione a far sì che la Camorra non eseguisse il suo solito copione. Riflettori che come sai io non ho mai inseguito da semplice cronista quale sono sempre stata, attenta a raccontare soltanto i fatti, giorno per giorno, nella loro cruda e nuda verità.
Ricordo bene quella tua angoscia quando nonostante fossi già sotto protezione, ti erano entrati in casa mettendo tutto a soqquadro.
Sai, prima della pubblicazione di Gomorra la criminalità organizzata la raccontavo sul Mattino quotidianamente e per quanto il Mattino di allora, negli anni ottanta vendesse centinaia di migliaia di copie, di fatto rimaneva un giornale essenzialmente regionale. Con Gomorra si tracciava un bilancio di tutti quei “quotidiani” in una sola narrazione, così non solo l’Italia ma il mondo venne a conoscenza di quanto accadeva da decenni sul nostro territorio. “Per colpa tua ora ci conoscono dappertutto” era l’accusa a Saviano. Davvero imperdonabile!”
Che cosa ti ha spinto a essere cronista?
Fiducia nella stampa e nel giornalismo come mezzo per cambiare le cose. Con una tale diffusione in Campania tanta gente leggeva i miei articoli, come quando m’ero occupata dello smaltimento dei rifiuti e tantissimi giovani cominciarono a mandarmi articoli e foto polaroid che raccontavano di bufale falcidiate dai rifiuti tossici. Una mobilitazione vera e propria che certo aveva la spontaneità di quando si è giovani ma che allo stesso tempo testimoniava il desiderio di smuovere le acque e non scomparire in quella palude.
E ora? Ciò che non cambia è la volontà di cambiare, ti ricordi la scritta di vernice rossa sul nostro liceo, il Diaz di Caserta?
Vero allora, vero ora. Ecco, prendi l’aeroporto di Grazzanise. I figli di Sandokan, a Casale ( qui l’articolo di pochi giorni fa scritto da Rosaria) avrebbero potuto scegliersi un destino diverso da quello del padre, no?
“Ivanhoe Schiavone, il quarto dei sette figli del boss, l’unico dei maschi ancora in libertà, recentamente accusato di riciclaggio e tentata estorsione con le aggravanti delle finalità e del metodo mafiosi.”
E invece no. La saga della palude continua, tutto si ripete, di padre in figlio, da più generazioni fatalmente. Alessio de Falco, nipote di Vincenzo morto ammazzato nel ’91, avrebbe potuto scegliersi una strada diversa, no? Perfino il soprannome del nonno Vincenzo, mai conosciuto, si è ripreso il nipote, ‘o fuggiasche.
Torniamo al tuo libro, in parte nato anche qui su Nazione Indiana.
Sono passati diciassette anni dalla sua pubblicazione. Un po’ datato, ma di certo non superato. Sui Casalesi di allora non c’era nulla, e praticamente da allora nulla è cambiato nella sostanza.
A cosa ti andrebbe di dedicare una lunga narrazione, ora?
Dopo tutte le esperienze fatte sicuramente c’è un mondo a parte che vorrei raccontare ed è quello delle donne, tutte le donne che vivono nei mondi di Camorra. Se entri in una chiesa da quelle parti vedi ancora donne sedute da un lato e gli uomini dall’altro. Comunità in cui una giovane vedova doveva per forza sposarsi il cognato, e questo a prescindere dalle dinamiche camorristiche che si alimentano di questo immaginario e di certo non ne è all’origine. E tu povero cristo ti ritrovi con moglie vedova e amante ufficiale. Nella mia vita da cronista ne ho intervistate tantissime, mogli, figlie, sorelle, racconti privati che farebbero rabbrividire chiunque si reclami cittadino di un mondo civile. Il vuoto non esiste in natura, ma in una comunità esiste perfino e, aggiungo soprattutto, quando quel vuoto non è lo Stato a riempirlo ma la camorra. Guarda le vicende di Caivano, un contesto degradato dalle fondamenta e da cui il fatto orribile di cronaca emerge come la punta di un iceberg.
Forse per capire meglio quel contesto bisognerebbe scomodare René Girard, e la sua idea di capro espiatorio e violenza, in una dinamica costante di persecutori e vittime.
Vittime della camorra sono le donne, le spose bambine e ti faccio due esempi. Anna Carrino moglie di Bidognetti, “incontrata” a tredici anni, o Rita De Crescenzo madre a dodici anni, il figlio avuto da un uomo dei clan. Questi sono fatti, inopinabili perché successi e che succedono anche ora che stiamo parlando. E succedono alle donne.

Grandissimissima Rosaria.
Grazie Rosaria, grazie Francesco.
Ho scelto in questo ultimo anno, e penso sia una scelta definitiva, di dedicare, in tutta la mia piccolezza, le mie parole poetiche all’impegno civile. Non dimenticherò mai, in un telegiornale di anni fa, la donna campana che, stringendo umilmente la mano di Salvini per strada, gli chiedeva di togliere la scorta a Roberto Saviano. C’è un grande bisogno, ma davvero grande, di donne come Rosaria.