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Azulejos e altre poesie #3. Golgona Anghel

golgona

 

Tre giovedì in portoghese per tre poetesse contemporanee: Adília Lopes (Lisbona, 1960), Ana Martins Marques (Belo Horizonte, 1977) e Golgona Anghel (Alexandria, Romania, 1979). Una selezione di poesie – ancora inedite in italiano o già introvabili – presentate e tradotte da Serena Cacchioli e Nunzia De Palma.
Smartphoto di Nunzia De Palma.
[ot]

a cura di Serena Cacchioli

Golgona Anghel, rumena di nascita e portoghese d’adozione, è una delle nuove voci della poesia portoghese contemporanea. Dopo aver scritto una biografia e curato la recente edizione dei diari del poeta Al Berto, la Anghel si è imposta all’attenzione della critica con la raccolta Vim porque me pagavam (Sono venuta perché mi pagavano), edizioni Mariposa Azual, Lisbona, 2011. Nei suoi componimenti quello che affascina è la sintassi strana di chi non scrive nella propria lingua madre, di chi professa un’anarchia del linguaggio legata a un certo cinismo suscitato dal discorso poetico. La sua poesia, come un fiore di plastica indifeso nella brutale vetrina di un macellaio, illumina di luce fioca la quotidianità mediocre, racconta le bassezze e i punti sublimi nascosti negli angoli delle giornate. La lingua è impregnata di una “portoghesità” difficile da rendere in italiano: nelle parole scorrono i baretti e le viuzze di Lisbona, le case umide, le linee di un paese che sembra oscillare tra la morte e la rinascita.
Le poesie qui proposte sono tratte da Como uma flor de plástico na montra de um talho (Come un fiore di plastica nella vetrina di una macelleria), raccolta poetica con cui Anghel ha vinto – ex aequo con Gastão Cruz – il Prémio del Pen Clube Português per le opere pubblicate nel 2013.

***

Ora che non importa più nulla,
consoliamo le domeniche pomeriggio
con le bifanas dei chioschi montati prima della partita,
qualche pettegolezzo fresco, discussioni su Sartre,
il post-strutturalismo e quella battuta
per cui qualsiasi marxista tamarro
sembra furbo accanto a un anarchico.
L’unico interesse che ancora abbiamo davvero in comune
è dividerci l’affitto
e una bottiglia di rosso.
A volte, riceviamo ancora degli inviti,
e guarda, non è facile, con il bambino e tutto.
Ma finiamo per restare a casa.

Il disinteresse mi si accumula attorno
come gli strati secolari
sul tronco di una sequoia.
Divento immune alle lagne.
Mi lavo i panni da solo.
La mia lingua sta prendendo uno spessore legnoso.
Al posto del grido,
un graffio.
Mani in tasca,
acqua in bocca.
Evito vetrine e specchi.
Ho paura che la verità
mi possa sfigurare il volto.

 

Agora que nada mais importa,
consolamos as tardes de Domingo
com as bifanas nas tasquinhas montadas antes do jogo,
alguns boatos frescos, discussões sobre Sartre,
o pós-estruturalismo e essa piada
que qualquer marxista parolo
parece experto ao pé de um anarquista.
O único interesse que ainda temos realmente em comum
é dividir o aluguer
e uma garrafa de tinto.
Às vezes, ainda recebemos algum convite,
e olha, não é fácil, com o miúdo e tal.
Mas acabamos por ficar em casa.

O desinteresse acumula-se à minha volta
como as camadas seculares
no tronco de um sequóia.
Fico imune a queixinhas.
Lavo sozinho a minha roupa.
A minha língua está a ganhar uma espessura lenhosa.
No lugar do grito,
uma greta.
Mãos nos bolsos,
bico calado.

***

Passo a capriole per questa serata
come un dubbio alla ricerca del suo angolo retto.

Organizzo miliardi di pezzi di puzzle,
ricostruendo mondi perduti
con l’immagine girata verso il basso.
Trasformo le soluzioni in enigmi.
Sposto ere,
riaccendo vulcani,
fondo attorno a un paio di seni,
scuole d’architettura,
storie di sopravvivenza,
bocche secche,
dentature posticce.

Dall’armadio, mi arriva
come un geroglifico sonoro di un dolore remoto,
il sibilo intermittente
di un ratto.
Nulla ci unisce, penso,
se non questa finta finestra
nella camera a gas.
Passo una mano sulla fronte bagnata,
cambio, di fretta,
le lenzuola all’illusione
e resto, di nuovo, all’erta.
Sarebbe tanto più facile aspettare l’eternità
se, almeno, ci fosse qualche birretta in frigorifero.

 

Vou passando às cambalhotas por este fim de tarde
como uma dúvida à procura do seu ângulo recto.

Organizo milhares de peças de puzzle,
reconstruindo mundos perdidos
com a imagem virada para baixo.
Transformo as soluções em enigmas.
Desloco eras,
reavivo vulcões,
erijo à volta de um par de mamas,
escolas de arquitectura,
histórias de sobrevivência,
bocas secas,
dentaduras postiças.

Do armário, chega-me
como um hieróglifo sonoro de uma dor remota,
o assobio intermitente
de um rato.
Nada nos une, penso,
a não ser esta janela falsa
na câmara de gás.
Passo a mão pela frente molhada,
mudo, à pressa,
os lençóis à ilusão
e fico, outra vez, à espreita.
Seria tanto mais fácil esperar pela eternidade
se, ao menos, houvesse alguma mini no frigorífico.

***

All’inizio, pensai che fosse un ritaglio
di una rivista antica.
Poi vidi che avevi terra sotto alle unghie
e che non usavi il reggiseno.
Raccontavi come tuo nonno
scorticava i conigli
in un angolino della cucina.
Un campo di papaveri
ti vestiva la schiena.
Poi restavi in silenzio.
Sorridevi.
Restavi molto tempo a guardarmi,
senza dire nulla.
Portavi una mano alla fronte,
come se così riuscissi a vedermi meglio.
Mi mostravi poi le gambe fustigate dalle ortiche,
le dita dei piedi macchiate dall’uva.
Sembrava che avessimo vissuto insieme
e che quella cicatrice che avevi sulla coscia sinistra
fosse il contorno della mia malinconia.
Alla fine, anche tu partirai.
Mi basterà un semplice fischio dell’arbitro,
il suono delle campane della Chiesa del quartiere,
il rumore di un’auto che parte,
per lasciar dunque che si rovesci
sul pavimento della cucina
l’unica certezza che mi mantiene
in posizione verticale
il cucchiaio nella zuppa.

 

Ao princípio, pensei que fosse um recorte
duma revista antiga.
Depois reparei que tinhas terra debaixo das unhas
e que não usavas sutiã.
Contavas como o teu avô
esfolava os coelhos
num cantinho da cozinha.
Um campo de papoilas
vestia-te as costas.
Ficavas depois em silêncio.
Sorrias.
Ficavas muito tempo a olhar-me,
sem dizer nada.
Levavas uma mão à testa,
como se assim me conseguisses ver melhor.
Mostravas-me depois as pernas açoitadas por urtigas,
os dedos dos pés manchados pelas uvas.
Parecia que tínhamos vivido juntos
e que essa cicatriz que tinhas na coxa esquerda
era o contorno da minha melancolia.
No fim, tu também partirás.
Bastar-me-á um simples apito do árbitro,
o som dos sinos da Igreja do bairro,
o barulho de um carro a arrancar,
para deixar então entornar no chão da cozinha
a única certeza que me segura
em posição vertical
a colher na sopa.

6 Commenti

  1. Poesie con nuova sensibilità espressa con un linguaggio nuovo (portoghese innestato sul substrato del rumeno). Le tre poetesse qui presentate meriterebbero tutta l’attenzione che invece è dirottata altrove, sopra temi consunti, se non leziosi. Peccato.

    • Felice tu abbia apprezzato, Carlo. L’intento era proprio quello di destare un interesse verso autori che varrebbe la pena tradurre e pubblicare in italiano (la fine dell’anno è il momento giusto per audaci speranze…)

  2. Mi sono piaciute le poesie dalle immagini allungate dal sole della sera.
    Ombre oblunghe e letti rifatti pur dopo l’amore.
    Si mi siete piaciute. Potersi riconoscere nei versi
    remoti o silenti nel presente
    è un dono del cielo grandissimo.
    Come per gli Indiani d’Amerca il bisonte. O più semplicemente l’ascia sotterrata ben bene – dimenticata dai giovani lì dove fu messa dai meno giovani. Mi comprendete?

  3. Bene Silvia con un commento piovuto chissà come, chissà da dove. Bene questo quasi silente fare da sfondo a versi non consunti, quindi inusuali, quindi veri. Il poiein è sempre il fare. Non dimentichiamolo.

    • Ecco, provengo da Firenze – in genere quello che scrivo – è gettato sulla tastiera da gli occhi / mente. Poi ancora “giovane” di scambi con altri poeti e scrittori, a volte m’intimidisco. Ma uscendo dal ” l’invadente “io”, ti dico che – in un pomeriggio di domenica, ieri, ! – solitaria pur sempre, sono entrata nella Nazione Indiana, così senza passaporto di parole a carico.
      Ecco, provengo da Firenze, e chi sa come questi versi siano saliti alla coscienza, di sicuro son sinceramente vissuti

  4. 8 febbraio 2015 notte dal 7 all’8

    Queste poesie sono incredilmente autentiche, e mi portano all’interno di una ricerca di vocaboli – nessi e sensi – Vi ho ritrovati dopo qualche mese e rileggo nuovamente. Come nuove siete calate nel cuore, e da lì sparse di nuovo nel corpo – corpo poetico di questi tre poeti o uno che importa – come sangue che scioglie le catene.
    Grazie ancora, se avessi avuto una buona memoria le avrei imparate a memoria per leggerle in qualche luogo del mondo.
    Ciao

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Ornella Tajani insegna all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di critica della traduzione e di letteratura francese contemporanea. È autrice dei libri Scrivere la distanza. Forme autobiografiche nell'opera di Annie Ernaux (Marsilio 2025), Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS 2021) e Tradurre il pastiche (Mucchi 2018). Ha tradotto, fra i vari, le Opere integrali di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato opere di Rimbaud, Jean Cocteau, Marcel Jouhandeau. Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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