di Dario Voltolini
Mi sono ricordato che il 5 aprile si commemorano i partigiani fucilati dai fascisti nell’ex poligono di tiro del Martinetto, a Torino. Questo luogo è a un isolato da casa mia, e non c’ero mai andato. Oggi ho voluto per la prima volta visitarlo, nel 60° anniversario.
Non credo possa esistere un luogo più sobrio e essenziale e per giunta privo persino della retorica della sobrietà e dell’essenzialità. Senza tetto, la vecchia costruzione è ridotta a quattro mura, dentro cui un prato fa da pavimento. Qualche bandiera, le corone istituzionali, una lapide, una bacheca. Una siepe e dei fiori freschi appena messi.
C’erano altri quattro visitatori, e a turno ci si diceva, commentando il luogo, “ma che bel posto, non c’ero mai stato, eppure sono 50 anni che abito a Torino”, oppure “abito a duecento metri da qui…”, oppure “non sapevo nemmeno che ci fosse…”.
Mi sono chiesto cosa potesse significare “che bel posto” detto di un luogo in cui si fucilava la gente di schiena, tutti legati in fila su delle sedie. E mi pare di aver capito che significasse “che posto pulito, lineare, scarno, per commemorare e basta”.
Mi sono segnato i mestieri e le qualifiche dei fucilati, dalla lapide. Li riporto qui sotto.