di Tiziano Scarpa
La civiltà italiana è in declino. Gli intellettuali tacciono. La letteratura degli ultimi tre anni fa schifo. E poi non conta nulla all’estero. Gli scrittori non discutono le loro poetiche, ammesso che sappiano ancora che cosa sono. Il teatro è assente. Il cinema sta ancora peggio. Il paragone con trent’anni fa è imbarazzante. Eccetera.
Solita storia. Ormai siamo abituati. Questa volta la lamentazione l’ha fatta Romano Luperini. Non varrebbe neanche la pena di rispondere. La scena è sempre la stessa. Ripetuta talmente tante volte da assomigliare a una gag comica, un classico del cinema chiacchierone: il critico letterario di turno, lo studioso di turno, lo scrittore di turno (intellettuali a loro volta!) che scuotono la testa costernati di fronte al deserto intellettuale e creativo italiano: negli ultimi anni lo hanno già fatto Luigi Baldacci, Cesare Garboli, Giulio Ferroni, Alfonso Berardinelli, Giovanni Raboni, Mauro Covacich… Adesso anche Luperini. (Non tutti. Bisogna essere onesti: Goffredo Fofi, Cesare Segre, Vittorio Spinazzola, Renato Barilli, Angelo Guglielmi non hanno mai smesso di essere curiosi a tutto campo e valorizzare ciò che nasce e cresce nella cultura italiana).
Questa volta però c’è qualcosa di più. Un caso di padrismo.


Il discorso della politica copre e rimuove l’emergenza più grande e tremenda in cui viviamo, quella del pianeta. Da anni gli scienziati annunciano sconvolgimenti climatici imminenti, allagamenti di intere terre, siccità e desertificazione in altre, migrazioni di milioni di profughi, fame, epidemie…Annunciano queste catastrofi, dati alla mano, ma i vari governanti del mondo si coprono gli occhi. I giornali ne parlano poco. Per non allarmare, certo. Ma è un silenzio complice, terribile. Complice di un modello di sviluppo e di una logica del profitto che non abbiamo scelto.
Le Ande
Mendoza
Lunedì sera guardo La7, Otto e mezzo: c’è Giorgio Dell’Arti, il giornalista-scrittore, che parla con cinica pacatezza dell’omicidio e del suicidio. Non è un caso: sta pubblicizzando il suo ultimo libro, che s’intitola “Coro degli assassini e dei morti ammazzati”. Giulianone Ferrara gli chiede un parere sulla morte di Pantani. Dell’Arti riprende le “ispirate” parole di Candido Cannavò, ex direttore della Gazzetta dello Sport: doveva parlare, doveva dire tutto all’indomani di quella squalifica di Madonna di Campiglio, giugno 99. E va pure oltre: anche lui, Pantani, aveva le sue colpe.
Ma cos’è la destra? Cos’è la sinistra? Contrapposti menu, separate vacanze, inconciliabili guardaroba, insinuava Gaber. Di sicuro le differenze più appariscenti sono queste (erano, anzi, perché recenti look dalemiani hanno rimescolato le carte). Dovrebbero essercene di più sostanziali: la sinistra difenderebbe gli interessi dei ceti più deboli (con riforme e innovazioni), la destra gli interessi delle classi alte e insieme i valori tradizionali. Pare che non sia esattamente così, ormai: le spinte progressiste nel costume sono ampiamente trasversali, e succede addirittura che la destra proponga innovazioni e la sinistra si arrocchi sull’esistente. Il progresso non si capisce bene chi lo avversi di più: i rivoluzionari guardano indietro con occhi pieni di nostalgia, un “governatore” di destra sponsorizza il Gay Pride.
Santa Fe
Gli scrittori italiani non sanno raccontare il mondo in cui viviamo. Gli scrittori italiani sono pieni di intelligenza e talento ma tra di loro non c’è nessun Wallace, nessun Houellebecq, nessun Palahniuk, nessun De Lillo. Gli scrittori italiani sanno solo ricamare romanzetti. Gli scrittori italiani sono “tanti Del Piero che giocano con le pinne, tanti Mike Jagger che cantano con la caramella in bocca”. Queste cose le dice lo scrittore italiano Mauro Covacich (“L’Espresso”,15 gennaio 2004), mettendo dentro anche se stesso.

Entro le prime 48 ore dall’uscita nelle sale, tutti i miei amici sono andati al cinema a vedere il Signore degli Anelli.

