di Christian Raimo

Ho l’amore nel sangue, dice lui, e prova a abbracciarla, una, due volte, da dietro, da davanti.
Abbiamo vent’anni, lei fa la voce sicura, Non possiamo pensare che le cose siano queste, le stesse, per tutta la vita.
Sono seduti vicini, guardano tutti e due per terra, ma mattonelle diverse.
E poi tu, gli chiede lei, allora che cos’è che vuoi condividere con me? Tutto, dici “tutto”… “tu-tto”… ma che cazzo vuol dire “ tutto”… che è che pensi?
C’è di più di quel che credi, la carica, le stringe l’avambraccio e le dice: Ci sei? Perché dubiti che non può essere veramente “tutto”? Le mette la punta delle dita sulle labbra, lei non le scosta.
Ci sono infiniti numeri primi, dice lui.

L’ultimo numero di Impackt – contenitori e contenuti (da cui è tratto questo intervento di Antonio Piotti) è dedicato allo sporco e al pulito, ai detersivi, alle merci che smacchiano le cose e le coscienze. La rivista è curata da Sonia Pedrazzini e Marco Senaldi. Per informazioni: impakt@dativo.it. (T.S.)
Ci sono due immagini che mi vengono alla mente quando penso al pulito, alla macchia da cancellare, al sapone o ai detersivi. La prima è classica, shakespeariana, e rimanda all’idea che ci siano alcune macchie non cancellabili. Nessun sapone può cancellare il delitto commesso, la traccia è condannata a rimanere, come una lettera scarlatta incisa sul corpo perché la colpa merita una punizione ed un ricordo eterni. Non vale a nulla allora affannarsi a lavare e a strofinare: ciò che è, è per sempre, e bolla l’esistenza. Persino quando il delitto-trauma è del tutto dimenticato dall’individuo, esso non smette di ripresentarsi come sintomo, come segno che ritorna dal rimosso.
Una lettura integrale che è anche una performance vocale, un`atletica staffetta che per sei ore, senza interruzione, racconta un libro.
L’articolo sfogo sulla Resistenza nel mondo dei libri che ho scritto qualche giorno fa ha generato un cumulo di reazioni, molte assolutamente adesive, altre assolutamente offese. Persone a cui voglio bene mi hanno tolto il saluto. La colpa è stata in gran parte mia che ho sparato alzo zero, sapendo di insolentire alcuni. Ma la mia idea utopistica era che, scagliando in maniera violenta e sintetica queste affermazioni, si potesse trovare una tensione fruttifera, una dialettica non falsa di scontro. Per questo, ma non solo per questo (anche e soprattutto per rendere quella che può essere sembrata una polemica personale una prospettiva di dibattito), provo a contestualizzare, a correggere, e ad ampliare alcune questioni.
Al dibattito sulla strage di Nassiriya a mio avviso manca un tassello importante, che stranamente nessuno ha voglia di piazzare. Molto è stato scritto – forse a cuor troppo leggero, stabilendo nessi avventati – sulle truppe coloniali italiane, sui carabinieri protagonisti prima dell’orrido episodio della caserma Bolzaneto e poi dell’occupazione in Irak, e via così.
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