di Benedetta Centovalli
David Shenk parla dell’Alzheimer come di una malattia che rallenta la morte, che la rifrange nello spettro delle sue parti, di norma unite: morte dell’autonomia, morte della memoria, morte della consapevolezza, morte della personalità, morte del corpo. L’Alzheimer o demenza senile è una malattia tremenda perché significa la perdita del proprio «io» molto prima che il corpo muoia. Ma è difficile non immaginare un corpo a corpo dall’esito designato tra una specie di volontà che resiste, che cerca di mantenere accesa la coscienza, e il lasciarsi andare, la resa graduale alla follia, o meglio alla condizione di un eterno presente fatto di istanti che si ripetono uguali all’infinito. È una malattia del cervello che colpisce il comportamento minando la memoria, consegna la persona a un oblio prima intermittente e poi definitivo. Dall’iniziale intermittenza deriva la difficile diagnosi del morbo, e il fatto che ciascuna delle persone coinvolte tenda ad assumere rispetto a certe manifestazioni senili un atteggiamento di colpevole disponibilità e di successiva rimozione per episodi che invece si riveleranno non essere stati altro che scie luminose del processo di deterioramento mnemonico.


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Prima di cominciare, è necessario smontare un luogo comune fuorviante. Non è corretto dire che si vuole privatizzare l’acqua. Si privatizza la sua gestione. Il che, probabilmente, suona più neutro e non evoca – a meno di farci veramente caso – scenari da film apocalittico con effetti speciali e Sean Connery nella parte dell’eroe.
Raccontare l’Italia di oggi o quella appena dietro la porta. Quella dei misteri bui che non si sono mai chiariti e che restano un nodo inestricabile, quella che ci fa sentire cittadini mai riconciliati di un paese senza. Il delitto Moro come metastasi di una storia politica troppo incline ai patteggiamenti, alla corruzione, come emblema di uno scontro tra generazioni che si cambiò in lotta armata, un simbolo del potere diventato all’improvviso troppo scomodo e un’Italia attonita e confusa dal succedersi di dichiarazioni e smentite, la lotta tra l’istanza rivoluzionaria spinta all’estremo delle Br e una classe politica che volle voltare le spalle a se stessa per salvare la pelle. Sono gli anni Settanta in apparenza muti e sigillati in un impegno che non concede altro spazio, quelli di una generazione che davanti al sequestro di Aldo Moro si divise e cominciò a intravedere il proprio fallimento.
Il Vietnam è acqua. Ovunque ti giri esce fuori nella sua lotta di conquista con la terra. Il Vietnam è acqua delle risaie verdi che sconfinate ti confondono la vista, le risaie che costringono le donne e gli uomini sotto i cappelli a cono a piegarsi, a piantare a mano, chicco per chicco, e a mano cogliere, chicco per chicco. Il Vietnam è acqua, a sud, nel delta, dove sull’acqua vivono, a riva, su barche o su case galleggianti. Ci sono mercati che si svolgono interamente sull’acqua: senza scendere i mercanti appendono in cima a dei pali la mercanzia, e da una barca all’altra si compra, si contratta, mentre acqua dal cielo scende, e quella del fiume, enorme, sconfinato, tre chilometri da riva a riva che a volte non vedi la fine, e l’acqua del fiume, dicevo, è marrone, densa, una crema. Nel fiume passano navi, nel fiume le donne lavano i vestiti, i bambini fanno il bagno, nel fiume si allevano pesci, nel fiume scaricano le fabbriche e si abbeverano animali. Le multinazionali vendono nuovissimi detersivi che a differenza dei saponi animali non si disperdono nell’acqua e le schiume rimangono a galla, vicine ai bambini che giocano, alle ragazze che lavano le stoviglie. I detersivi entrano direttamente nei corpi.
«Ma c’è un luogo in cui possiamo sempre trovare qualcosa di autentico: il focolare di un amico, dove poter condividere le nostre piccole preoccupazioni, trovare calore e comprensione, dove i meschini egoismi sono inconcepibili e dove vino, libri e chiacchiere danno un significato diverso all’esistenza. Allora sappiamo di avere conquistato qualcosa che nessuna falsità può corrompere e ci sentiamo a casa», scrive Max a Martin. L’amicizia è stata da sempre un tema forte nella letteratura. Le grandi storie di amicizia sono state anche grandi storie d’amore e hanno attraversato tutte le tradizioni. Dallo scaffale della contemporaneità sono tanti i libri che ci vengono incontro offrendoci il racconto di questo sentimento comune a ciascuno di noi.



