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Hippolyte Bayard, un meraviglioso blog di fotografia

“… la fotografia non ha bisogno di essere garantita da qualcuno: la garanzia che quello che mostra è “vero” è radicata nella nostra coscienza al punto da confondersi con la propria libera volontà. Nella fotografia si crede di credere “liberamente”: si afferma addirittura che non possiamo rifiutarci di credere ai nostri occhi. Non ci rendiamo conto che con questa affermazione rinunciamo proprio ai nostri occhi per guardare attraverso quelli della fotografia”.

(Ando Gilardi, Confessioni di un fotografo pentito )

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E’ nato Hippolyte Bayard, un blog dedicato alla fotografia contemporanea. Segnalazioni su autori, libri, mostre, iniziative e riflessioni sparse.

Bayard fu uno sfortunato inventore della fotografia, a lungo ignorato dalla storia ufficiale. Personaggio defilato nella Francia della prima metà ‘800, fu poco ascoltato e scavalcato da inventori più spendibili dalla politica repubblicana, appunto il Daguerre a cui si ascrive ufficialmente l’invenzione fotografica.
‘Il contributo di Bayard fu talmente personale da non avere alcun effetto sullo sviluppo successivo della fotografia’, è stato scritto in una delle tante storie fotografiche.
Ma il buon Hippolyte aveva capito da subito le circostanze in cui era finito, consegnando le sue riflessioni al suo Autoritratto come un annegato del 1840, scrivendo sul retro della fotografia:

« Questo che vedete è il cadavere di M. Bayard, inventore del procedimento che avete appena conosciuto. Per quel che so, questo infaticabile ricercatore è stato occupato per circa tre anni con la sua scoperta. Il governo, che è stato anche troppo per il signor Daguerre, ha detto di non poter far nulla per il signor Bayard, che si è gettato in acqua per la disperazione. Oh! umana incostanza…! È stato all’obitorio per diversi giorni, e nessuno è venuto a riconoscerlo o a reclamarlo. Signore e signori, passate avanti, per non offendervi l’olfatto, avrete infatti notato che il viso e le mani di questo signore cominciano a decomporsi. »

Bayard si è trovato in sorte un ruolo ingrato nel falso mito dell’invenzione della fotografia, invenzione già pensata e desiderata prima che esistesse fisicamente, invenzione rivendicata da molti che negli stessi anni giungevano a un qualche procedimento per realizzare immagini tramite l’azione della luce.
Un apporto personale era dunque l’ultima cosa che si voleva dal mito dell’immagine automatica, che nei decenni è diventato il mito dell’immagine vera e quello dell’immagine per tutti.
Così oggi come allora, la fotografia viene costretta in vari modi in un’ essenza unica piuttosto che un’altra, il ‘fotografico’ come qualità universale continua a imporsi sulle fotografie e mai abbastanza viene fatta la cosa apparentemente più semplice: pensarla soltanto come un mezzo per realizzare immagini.

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15 Commenti

  1. molto interessante Raimo,
    il mito dell’immagine
    dentro c’è l’universo
    il fotografo dovrebbe coglierne le schegge….

  2. scusate la sparata ho corretto il trionfalistico “il primo blog italiano” di fotografia con il semplice nome. ma a dire il vero se andati a vedervi almeno gli altri blog segnalati da blogbabel nessuno fa il lavoro di ricerca e segnalazione e informazione internazionale, e movimento blogwise vero e proprio che fa questo hippolyte bayard. io lo trovo di un livello e di una qualità altissima per essere una cosa italiana.
    grazie però jan anche dell’arretramento debito rispetto al pezzo di marco.

  3. Christian.
    Ho dato solo “un’occhiata” mi riservo di leggerlo bene, il blog, prima di intervenire nel merito di “un meraviglioso blog di fotografia.”

    Scusa ma non ho molto capito questa frase:”Così oggi come allora, la fotografia viene costretta in vari modi in un’ essenza unica piuttosto che un’altra, il ‘fotografico’ come qualità universale continua a imporsi sulle fotografie e mai abbastanza viene fatta la cosa apparentemente più semplice: pensarla soltanto come un mezzo per realizzare immagini.”

    Ma realmente tu pensi che restando nell’ambito del “fotografico” senza avventurarsi oltre, (e aggiungo, come come dici tu, in Italia) ci siano molti che ne sanno leggere le qualità universali?

    Magari non ci siamo intesi sul senso di “il fotografico come qualità universale”, per esempio, alcuni fotografi citati nella prima pagina del Blog (con alcuni ho studiato quindi potrei dirlo “quasi”per certo) utilizzano, a volte addirittura esclusivamente, “il fotografico come qualità universale”.

    Dici “e mai abbastanza viene fatta la cosa apparentemente più semplice: pensarla soltanto come un mezzo per realizzare immagini.”

    Mi dispiace ma non è “qualitativamente” (nel senso di Pirsig) semplice realizzare immagini, a meno che non si intenda con questa frase dire “utilizzare immagini” a supporto, quello che Guidi chiama le immagini “a servizio di”.
    Ma la cosa si fa lunga e un po’ noiosa forse, se ce ne sarà occasione ne riparleremo meglio.
    Grazie per la segnalazione.
    Saluti, sabrina

  4. RAIMO FINCHè SCRIVI DI LETTERATURA VA BENE MA DI COSE CHE NON SAI E NON CAPISCI EVITA DI PARLARE, TANTO LIBERAZIONE LO SPAZIO TE LO CONCEDE LO STESSO.
    NON SI PUò SAPERE TUTTO CON LA STESSA INTENSITà. IN ITALIA CI SONO FOTOGRAFI-INTELLETTUALI ORAMAI DA MOLTI ANNI, E SEPPURE SONO MENO NOTI E HANNO MENO SPAZIO DI ALCUNI SCRITTORUNCOLI ITALIANI-TUTTOLOGHI SANNO IL FATTO LORO.
    LIMITA IL TUO EGO CHE PRENDE IL SOPRAVVENTO OGNITANTO. QUESTO SITO è VERAMENTE POCA ROBA E QUI NON TE LO DICONO CHISSà PERCHé.

  5. Scusa fotografo Alfonso, io appartengo alla categoria dei fotografi-pinguini e ti volevo chiedere se sai dove vivono e cosa fanno i fotografi-intellettuali, noi abbiamo già contattato i fotografi-aviatori e ci siamo gemellati ed è stata una bella esperienza e vorremmo fare il bis con questi bei cervelli obbiettivati

  6. fotografa barbara di nome e di fatto. il museo della fotografia italiana è uno schifo e questo dimostra l’ignoranza in materia descritta da alfonso

  7. Leggo spessimo Nazione Indiana. Trovo cose molto interessanti. Segnalazioni che per me che studio a Venezia in una città-isola mi connettono con il resto. Non ho tempo di leggere tutto ciò che viene segnalato, ma sono contenta ci siano questi siti/blog letterari. Però devo dire che rimango sempre sconcertata dalla deriva che prendono i commenti, anche quando le intenzioni dei post e di alcuni commentatori generosi sono della più totale disponibilità a comunicare davvero qualche cosa. Non sono mai intervenuta perché non ho niente da dire. Ma qui c’era il commento di una delle più brave fotografe italiane (secondo me) che ho conosciuto per troppo poco tempo nel 2004 e io penso di avere capito molto bene quello che voleva dire. E’ un discorso molto lungo e in un certo senso ha a che fare anche con la semplificazione di volere inserire la fotografia nel mondo dell’arte come se non ne facesse già parte anche per i suoi propri meriti “tecnici”. Senza una necessaria comprensione della grammatica visiva si creano mostri di eventi “artistici” in cui ci sono quattro foto digitali mal fatte e papocchi di parole e sensi che mascherano la nullità del fare arte. Nelle nostre scuole non insegnano il rigore della qualità visiva (non voglio dare ragione ad Alfonso ma è molto difficile che tutti proprio tutti gli scrittori italiani stra/laureati in scuole italiane, lettere e filosofia o autodidatti coltivati etc, sappiano vedere e abbiano per forza qualcosa da dire a proposito dell’arte a meno che non abbiano incontrato chi riflette su ste robe tutti i giorni, del resto non si può sapere tutto, no? Non tutti i fotografi conoscono la poetica di Raimo, ma nemmeno scrivono cosa dovrebbe essere secondo loro la cosa da fare in ambito letterario e non perché non ne abbiano gli strumenti, ma perché sarebbe una riflessione laterale che possono fare a tavola ma non fondamentale o rilevantissima pubblicamente. Per carità, non voglio essere fraintesa, io stimo Raimo, molto).
    Sabrina Ragucci, Guido Guidi, Paola De Pietri e altri che sono passati o insegnano all’Università dove io studio, alla veneranda età di 26 anni mi hanno insegnato e aiutato “semplicemente” a vedere oltre che a guardare. Io non avevo mai “visto” davvero una fotografia prima. Non sono ancora riuscita a fare delle “buone fotografie” semplici e colte e trascendenti come quelle che ho visto in questi corsi e non ne farò mai ma sono sempre contenta di ricevere segnalazioni e tentativi di comunicare una visione del mondo. Fra qualche anno finirò l’ennesimo master in storia dell’arte contemporanea e per fortuna (cosa non scontata in Italia per quanto riguarda l’insegnamento della storia dell’arte contemporanea, sic!) ho studiato fotografia contemporanea e il ‘fotografico’ come qualità! (Che non significa tecnica fotografica o almeno non solo).
    Scusate sono stata prolissa ma sarà la prima e ultima volta. Ciao Emma.

  8. L’uso dell’espressione ‘il fotografico’ ha suscitato molte reazioni, diverse tra loro, alcune delle quali hanno dato l’impressione di andare in direzione opposta a quello che si intendeva con quell’espressione. Probabilmente perché usata in maniera troppo concisa, data per scontata quando invece, è vero, evoca temi piuttosto complessi.
    L’accezione con cui si proponeva il fotografico come qualità sovrastante le reali immagini fotografiche si riferisce al fatto che, storicamente, sin dalla nascita la fotografia ha evocato delle qualità e delle proprietà che si sono diffuse nelle altre forme espressive. La letteratura e la pittura, ad esempio, come del resto il parlare comune, hanno fatto proprie in vario modo nel tempo suggestioni e stimoli mutuati dalla fotografia.
    È legittimo pensare che questo derivi originariamente dal ‘mito’ dell’invenzione fotografica, ‘mito’ perché vi si vedeva un progresso nel quale, ipoteticamente, la mano dell’uomo si sarebbe quasi potuta limitare ad assecondare le esigenze dell’apparecchio per creare un’immagine e per riprodurre la realtà.
    Va anche considerato che la fotografia si è trovata, molto più di altre forme espressive, ad avere una storia dove l’industria e la libera ricerca sono sempre coesistite: c’è da chiedersi se uno slogan come quello della Kodak nel 1890, ‘Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto’, non abbia inciso di più nel determinare un’immagine collettiva della fotografia, piuttosto che autori, libri, mostre o quant’altro.
    Pensiamo che una delle principali conseguenze di ciò sia che in fotografia da una parte abbiamo la tecnica, l’industria, la cultura popolare, insomma tutto un insieme di immagini ‘globali’, dall’altra le immagini reali, che possono essere dell’amatore, del professionista, dell’artista.
    Ed è per questo che si è contrapposto il ‘fotografico’ alle immagini fotografiche, perché pensiamo che la fotografia abbia l’ingannevole capacità di far sentire a chi la guarda di capirla, ma non necessariamente di sentirla davvero.
    In fondo, tra due pittori non potrà mai esistere la differenza praticamente ontologica che può esistere tra due fotografi, al punto che può non avere molto senso chiamarli con lo stesso nome, rimanendo pura convenzione.
    Però forse c’è il rischio che il ‘fotografico’ porti comunque ad accostarli forzatamente, con il pericolo così di togliere a uno per dare all’altro.
    Il soggetto, la figura e lo sfondo, il genere, il colore o il bianco e nero, l’argomento, sono tutte cose che in fotografia rischiano di ‘preparare’ fin troppo la visione di immagini fotografiche, quasi connotassero l’immagine a prescindere, prima ancora che la si veda.
    È difficile pensare le fotografie nella loro totalità di immagini, difficile pensarle come qualcosa in cui lo sguardo si muova, si soffermi, crei dei percorsi liberi, facile che siano immagini gerarchizzate, dove allo sguardo venga indicato dove guardare, quando, in quale ordine.
    Però al tempo stesso esiste tanta fotografia dove ciò non è vero, dove esiste una libera ricerca, dove il lavoro è orientato verso la creazione di immagini e non verso la produzione di fotografie di qualcosa.
    Nessuna intenzione di dire che una cosa sia migliore o più necessaria dell’altra in assoluto, semplicemente ci piace segnalare e riflettere sulla fotografia e sulle sue possibilità di libera ricerca visiva.
    Questa è l’unica ragione per cui Hippolyte Bayard è nato.
    Forse è tutto ancora troppo e in poco spazio, timore di speculare senza cogliere resta, però ci sarà tempo di continuare a discutere e approfondire, se ci sarà la voglia.

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