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Venezia e la paesologia

una prosa di Franco Arminio

L’altro ieri camminavo per Venezia. La città era un fuoco morto, a parte la scintilla ferma del commercio. Dalla stazione a San Marco, in tanti fanno questa via aspettando che la spenta meraviglia si ravvivi. Intanto è tutto un negozietto da cui entrare e uscire fino a quando la piazza ti accoglie come una camera ardente dove i piccioni beccano la carne del turista nel suo inutile vagare in questo tempo maciullato.
Io mi chiedevo mentre camminavo se è ancora qui che si deve venire oppure c’è da andare altrove. Penso a Mastralessio, alla prua della desolazione conficcata tra le zolle della Daunia, penso al luogo indenne dalla peste degli sguardi fatui, luogo edificato da chi vive altrove e ha lasciato a sentinelle i vecchi, gli zoppi, i cani. Non so spiegare come sia lì la mia Venezia, come ogni città sia sprofondata, sciolta nel niente del suo voler sembrare attiva, divertente.
I luoghi di cui scrivo non hanno ragioni né torti, sono come una refurtiva abbandonata, un referto sintetico della vasta malattia allegata alla terra tonda. Allora io non giro per svagarmi e forse neppure per vedere. Quello che faccio è leggere la carne non morsa dai cannibali, la terra scampata alla tabula rasa del progresso che rende in apparenza Mastralessio scorza o guscio vuoto.

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34 Commenti

  1. la paesologia non è più solo una categoria della mia scrittura. da poco abbiamo fatto un seminario con più di trenta interventi e presto faremo un almanacco di paesologia. sono molto orgoglioso di essere uno scrittore ipocondriaco e comunitario. non mi muovo da solo. ieri sera con me a napoli c’era la mia “comunità provvisoria”, una delle più singolari avventure culturali presenti oggi in italia

  2. non so se è l’arminio al 100%, ma comunque riesce a descrivere una venezia nella venezia, che è più vera della venezia che le sta intorno

  3. è un testo minore, ma la questione che solleva mi pare massima, almeno per me. in italia continua a esserci uno stupido provincialismo alla rovescia, è quello alligna nei grandi centri….

  4. bel testo, franco.
    c’è il rischio che, come dalla città si può avere una nozione convenzionale dei paesi, così dai paesi si può avere una visione convenzionale della città.
    non puoi dirmi niente di venezia se ti attieni esclusivamente alla direttrisce stazione-piazza san marco.
    penso.

  5. questa volta mi aspettavo qualcosa di più sulla mia Venezia ( sul “mia” ci sarebbe da discutere, lo so).
    Venezia è ormai ridotta a città non più viva, in agonia, sul punto di morire come i suoi ultimi, vecchi, abitanti.
    ma questo lo sappiamo tutti.
    mi piacerebbe un gruppo di persone intelligenti che si prodiga per la sua rinascita: una rinascita viva, vitale, come chi ha saputo accettare di morire prima di riaprire gli occhi e respirare aria fresca e pulita.

  6. non sono un veneziologo
    capisco bene quello che dici caro francesco
    e mi scuso con in veneziani se ho preso a pretesto la loro città
    per dire semplicemente che oggi ogni luogo è capitale e luogo qualunque. la cosa si capisce meglio leggendo i miei libri, specialmente il prossimo, qui era solo un graffio.

  7. le ultime frasi del tuo post hanno una scansione decisamente poetica, tipo:

    I luoghi di cui scrivo
    non hanno ragioni né torti,
    sono come una refurtiva
    abbandonata,
    un referto sintetico della vasta malattia
    allegata
    alla terra tonda.

  8. caro francesco
    io scrivo versi in maniera ossessiva, è la mia fisiologia.
    credo di avere scritto almeno ventimila “poesie”.
    la prosa viene ogni tanto, quando mi illudo di avere qualcosa da dire…..

  9. c’è sempre ancora la laguna, le barene, si può ancora affittare una topa, c’è ancora l’acqua, la luce, fondamenta in cui non passa nessuno, isole, ma sono d’accordo con prakasch, benché non veda una soluzione, la stessa fine l’hanno fatta altri luoghi un tempo nobili, mi sembra un processo irreversibile, di venezia restano ancora le piere.

  10. e però stiamo parlando di una cosa, che per altro verso è una risorsa fondamentale di venezia.
    l’eccesso di bellezza cuoce le città e se le mangia.
    resta solo il guscio, vale a dire le pietre, sempre che ci resti qualcuno a difenderle, perché se no degrado e speculazione si mangiano anche quelle.
    sono stato allevato alla cultura conservativa di sinistra secondo la quale oltre al guscio andava difeso anche chi ci abita e ci lavora: battaglia vinta la prima, persa la seconda.
    negli ultimi 50 anni al centro di roma (è il centro storico più grande del mondo, si pensi che il perimetro delle mura è di 14 km) c’è stata una sostituzione totale della popolazione e ciò non ostante la sinistra abbia governato complessivamente la città per un totale di più o meno 25 anni (gli ultimi 15 più le prime due o tre consigliature).
    ma le città vivono a lungo, mai darle per spacciate, si modificano e si rigenerano, roma l’ha fatto molte volte.
    per i paesi il discorso è diverso: mancano della massa critica per durare e possono scomparire nel giro di un secolo.
    se poi c’è una catastrofe allora si può perderne persino l’impronta: qualcuno ha visitato le rovine dell’antica noto?

  11. credo che il pericolo maggiore, per venezia, sia per dir così imbrattarla della cultura del divertimento e dell’attivismo forzato di cui dice franco…v. va salvaguardata per quella che è, un fantasma – anche se ciò non esclude che vi si possa intervenire con elementi moderni.
    in un sesno radicale, l’idea della cultura conservativa è tutto un bluff…. se il passato va conservato, è come si conserva uno scritto, una testimonianza… v. va salvata come si salva un dischetto, ricopiandola volta per volta su altri dischetti man mano che si deteriorano

  12. e quali sarebbero il divertimento e l’attivismo forzato di Venezia?
    solo per curiosità.
    il pericolo maggiore finora è stato lo svuotamento (forse obbligato) della città dalle attività produttive storiche e dai suoi abitanti, a favore di un turismo fotocopiato pari pari dall’ottava piaga d’Egitto

  13. che assurdità! perché non la atterriamo e riempiamo con le macerie i canali come voleva marinetti? venezia muore ogni giorno che qualche riccone si compra un palazzo, che muore un suo anziano cittadino e non viene rimpiazzato, che chiude un’osteria – da almeno venticinque anni – per lasciare il posto ad un fast-food, ad un benetton et similia. ha cominciato a morire quando le hanno costruito vicino marghera. il vetro a murano non c’è quasi più. i merletti veri pure…cose d’altri tempi. la modernità ha ucciso venezia, l’hanno uccisa i schei etc. etc.
    ma di che venezia state parlando tutti?

  14. l’anno scorso ha chiuso una libreria in centro storico, a San Luca, gestita da un signore che si è visto triplicare l’affitto. la sua famiglia vendeva libri da tre generazioni. la moglie mi raccontava che avrebbe aperto un negozio di firma che sarebbe stato sicuramente in perdita, ma che ci guadagnava in immagine.
    io abito a 45 minuti da Venezia perché con gli stessi soldi pagati per un appartamento in provincia mi sarebbe venuto un magazzino con muffa in città.
    la cultura del divertimento?

  15. la cultura del divertimento è quella del turista. il turista utilizza il luogo come un passatempo, un gioco, una ricreazione

  16. in italia si discute poco di cosa diventano di anno in anno le città e i paesi.
    io trovo che firenzeè ancora peggio per certi aspetti…..
    c’è una mutazione quasi sempre in peggio
    che nessuno si cura di raccontare
    come se vivessimo in luoghi immaginari e poco ci curiamo di quelli reali.

  17. barca da trasporto lagunare: per esempio dalle isole, sant’erasmo e vignole, in cui ancora si coltivano alcune specialità vegetali – come le castraùre: il primo carciofo che nasce dalla pianta, piccolino, violetto, una cosa da brividi – verso l'”erbarìa” di rialto. su queste bache la sera del redentore – terzo sabato di luglio – si mettono tavoli e sedie, si va in bacino san marco e si guardano i foghi. il suo bello però è il cibo che su ogni barca si consuma: praticamente lo stesso da sempre. sarde o passarini in saòr, anatra arrosto o in salsa peverada con contorni di stagione, la peperonata, per esempio, pasta e fagioli fredda, anguria. le barche sono tutte addobbate con lanternine dette per l’appunto balonsini del redentòr. fino agli anni settanta tope peate e pupparini avevano la prevalenza su ogni altro tipo di barca. adesso il bacino è punteggiato di yacht più o meno cospicui. l’ultima volta che ci andai da ragazza con una topa – o topo – eravamo attraccati in una social catena di barche a ridosso dello yacht – panfilo dell’aga khan, mentre ora le varie categorie di barche sono schierate per stazza e importanza. cinque anni fa ci andai con la mia barchetta norvegese da bassi fondali. eravamo dei nani in compagnia di giganti. però ci siamo divertiti e ci siamo scambiati come in antico il cibo e il vino di barca in barca. tuttavia non ci tornerò mai più,
    non è più una festa magica.

  18. forse bisognerebbe fondare un blog in cui gli scrittori scrivono solo dei luoghi in cui vivono o in cui passano
    una serie di cronache dall’italia.
    niente invenzioni, saggi, racconti, romanzi, poesie, aforismi, recensioni….
    solo descrizioni……

  19. questa non l’ho capita. uno può scrivere quello che gli pare, arminio, ci mancherebbe. però, magari, se UNA volta accetta che le cose stiano anche diversamente da come le ha percepite lui, la mi parrebbe proprio una cosa minimamente democratica, per abusare di un termine abusato.
    su venezia il rischio di dire cose avulse dalla realtà è molto prossimo: è un fenomeno a parte, irriconoscibile in altre realtà. parlando di lei non si può che parlare al passato: ma questo è. ogni altro discorso, ogni altro tentativo, tipo paesaggio dell’anima, è scontato. venezia è IL paesaggio dell’anima per eccellenza. anche quando, inchinandosi al mistero e al sapore di quel mistero, la si descrive e basta. io mica mi metto al suo posto, sa? mi tengo il mio, e se dico qualcosa a proposito di cibo che passa di barca in barca, quasi di bocca in bocca, dico ben di più che una descrizione. non tento di fare, tuttavia, la paesiologa al posto suo.

  20. @lucy
    cosa intendi precisamente con “venezia è IL paesaggio dell’anima”?
    quand’è che un paesaggio diventa “dell’anima”?
    oppure non lo saranno TUTTI i paesaggi per rapporto con chi ci vive, cioè con coloro per i quali hanno un significato legato alla loro esistenza?
    oppure tutti i paesaggi sono “dell’anima” per tutti?
    anche per i turisti?
    in questo senso che differenza ci sarebbe tra il paesaggio di venezia e quello di pomezia?
    si potrà un giorno uscire da questo luogo comune dei “paesaggi dell’anima”?
    è da quando era piccolo e c’erano ancora i dinosauri, che sento parlare di venezia che muore.
    venezia non morirà, ovviamente, piuttosto subirà molti cambiamenti, quegli stessi che oggi ve la fanno percepire morta, cioè non-immobile nel tempo come la vorreste.
    tecnicamente sarà salvata l’urbs veneziana.
    per la civitas le cose sono molto più complicate.
    ma queste sono solo mie previsioni.
    io ho smesso di rimpiangere la scomparsa delle librerie e delle cioccolaterie e degli artigiani e dei fruttivendoli e dei negozi storici di roma.
    piranesi aveva il suo laboratorio-bottega in via del corso, a roma, in un luogo dove molto probabilmente oggi c’è un negozio di jeans o di souvenir, o calzedonia.
    la cosa mi lascia indifferente, il mondo è brutale e soprattutto è più forte di noi.

  21. pecoraro, si inchini pure del tutto al mondo più forte e dei più forti. io non mi inchino. nel dire paesaggio dell’anima che è infatti una sonora scempiata, intendo dire che parlare di venezia equivale a sconfinare comunque e sempre nel sentimento, anche a partire da una semplice descrizione, visto che arminio pareva risentirsi di una specie di mio divieto a sconfinare.
    non stare male perché un mondo ben più umano sta scomparendo o è scomparso del tutto è lecito, ma, se permette, a me appare una posa contrapposta ai soliti sentimentali, attardati e un po’ tardi. significa tra l’altro nella maggior parte dei casi una rinuncia alla bellezza. è al brutto che avanza che non intendo fare spazio, per lo meno dentro di me, non al nuovo.
    è da mo’ che venezia scompare: dal 1797-98 o giù di lì.

  22. pure io da molto sento parlare della morte dei paesi
    e i paesi non muoiono
    moriamo noi
    i paesi quando hanno pochissimi abitanti
    sono pieni di vita
    la vita non sono solo le vetrine
    ma anche i ragni nelle damigiane
    le faine sui tetti.

  23. @lucy
    non so perché mi dai del lei.
    è vero, la decadenza di venezia come città indipendente e attiva e viva e dominante e cetera data dalla fine del sette-cento, quando si estingue come stato.
    ma decadenza non signica morte, significa l’assunzione di un ruolo storico diverso e minore rispetto a quello dominante che si aveva in precedenza.
    occorre distinguere, penso, tra decadenza fisica, decadenza politica e decadenza e socio/identitaria (si dice così?) che è quallc eh vi/ci fa più soffrire.
    tuttavia quest’ultima forma di decadenza dipende da fattori talmente più grandi di noi e dello specifico problema veneziano, che va vista come un fenomeno quasi naturale, difficilmente contrastabile.
    le regolette di accesso, il ticket, la contingentazione turistica, eccetera sono palliativi, finché non si dichiarerà venezia come la prima città-museo del pianeta, con tutto quello che ne consegue.
    se per salvarla possiamo/dobbiamo museificare la natura nei parchi, possiamo anche museificare la città, come unica soluzione per conservarla.

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