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Ineffabile sfera

di Achille Varzi

Ho trovato il testo che segue frugando tra le carte di un Quadrato. Credo sia lo stesso Quadrato di cui parlava il reverendo Abbott in Flatlandia, un testo che risale a oltre cent’anni fa (1882) ma che mantiene intatta la sua freschezza anche ai nostri giorni. Vi si narrava, appunto, l’avventura di un Quadrato, un essere perfettamente bidimensionale, senza spessore, cittadino di un mondo a sua volta perfettamente bidimensionale e senza spessore, che un giorno ebbe la fortuna di ricevere la visita di una Sfera: l’essere tridimensionale per eccellenza.

Non solo ebbe quella fortuna: successivamente il Quadrato ebbe la fortuna ancor più grande di poter visitare per un breve periodo il bel mondo a tre dimensioni da cui proveniva il suo ospite. Il nostro mondo a tre dimensioni. Lo visitò e ne ebbe esperienza—una esperienza mistica, per lui— prima di ripiombare per sempre nel totale appiattimento di Flatlandia: il mondo piano, appunto, privo di spessore; il mondo senza alcun sopra e alcun sotto, il mondo in cui le macchine e gli aeroplani, per così dire, appartengono alla medesima categoria e tutto, ma proprio tutto, si riduce a tenui ombre su un pavimento enorme ed eternamente illuminato. (Il che non significa che Flatlandia fosse un mondo perfettamente democratico. Il potere era comunque in mano alla casta dei Cerchi, non certo agli infimi Poligoni Irregolari.)

Ho detto che l’esperienza del Quadrato fu per certi versi un’esperienza mistica, e non è difficile immaginare perché. È un po’ come se noi avessimo l’opportunità di visitare un mondo a quattro dimensioni: un mondo di cui non conosciamo l’esistenza e di cui non riusciamo a immaginare le forme e le bellezze, né i pericoli in cui potremmo imbatterci. Per noi le tre dimensioni sono tutto: costituiscono un habitat così naturale che ci sembra impossibile immaginare spazi diversi, dimensioni nuove e imperscrutate, forme inedite. E non sto pensando alla dimensione temporale: quella la conosciamo fin troppo bene. Sto pensando proprio a una quarta dimensione spaziale, che non saprei nemmeno come chiamare, proprio come il Quadrato non sapeva che cosa fosse la «profondità» tanto decantata dalla Sfera.

Ebbene: roba da fantascienza, dirà qualcuno. Può darsi. Ma io parlerei piuttosto di orizzonti mentali. E la capacità di estendere il nostro orizzonte mentale non è questione di fantascienza. È lì che si misura il nostro provincialismo. È lì che si vede se siamo davvero capaci di pensare liberamente, di spingerci al di là dell’ovvio. È li che si gioca il nostro senso della possibilità, quel senso della possibilità su cui Abbott ci invitava a riflettere in questo modo un po’ strano ma di cui troviamo altri meravigliosi affreschi nell’Uomo senza qualità di Musil, per esempio, o nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein.

Non intendo comunque dilungarmi oltre su questi temi. Voglio semplicemente proporre ai lettori l’appunto che ho trovato, che parla da sé. Come ripeto, ho motivo di ritenere che l’autore sia proprio il Quadrato di Abbott. E risulterà subito evidente che la data dell’appunto è successiva a quella della visita della Sfera, anche se nel racconto di Abbott non se ne fa menzione. Ecco dunque il testo, che ho cercato di trascrivere e tradurre con la massima fedeltà.

* * *

La Sfera ha detto che il nostro mondo è piatto, ma che può avere forme diverse. L’ha affermato più di una volta e per tanto tempo ho cercato di capire che cosa mai potesse voler dire. Se il mondo è piatto, non basta? Che cos’altro possiamo aggiungere, se non lamentare i nostri limiti e riconoscere la pochezza dei nostri orizzonti? Ahimé, non basta dire che il paese nel quale siamo costretti a vivere è come un vasto foglio di carta, senza spessore o profondità alcuna? Lo ammetto, qualche tempo fa avrei detto «l’universo nel quale siamo costretti a vivere», ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose. E tuttavia mi sono sempre chiesto che cos’altro potesse dirsi del nostro paese se non quello: che non ce ne possiamo sollevare, né vi ci possiamo immergere—che siamo ombre, insomma, come la Sfera ha avuto modo di mostrarmi.

Ma adesso ho capito. Ora finalmente il mio intelletto ha visto la luce. E sebbene i miei compatrioti non riescano tuttora ad afferrare la natura delle Terza Dimensione e continuino a professare apertamente la loro incredulità nell’esistenza della Sfera, io continuo a sperare che queste mie memorie possano un giorno, non so come, trovare una strada per giungere alla mente dell’umanità di Qualche Dimensione e ispirare l’azione di coloro che non accettano di essere confinati in una Dimensionalità limitata.

La nostra terra è piatta, certo. Ma ciò non equivale ad asserirne la forma. Di ciò avrei dovuto rendermi conto tempo fa, allorché il Triangolo Scaleno tornò dalla sua scellerata fuga. Egli partì (i miei simili se lo ricordano bene) alla ricerca di terre lontane. Ma egli tornò. O meglio, egli continuò per la sua strada sino a quando, mirabile dictu, si ritrovò nuovamente nei pressi del punto da cui era partito tempo addietro. Dopo anni e anni di cammino, egli ricomparve al nostro orizzonte. Non già l’orizzonte verso cui era salpato, beninteso: il Triangolo comparve all’orizzonte dal lato opposto. Chi lo accolse ebbe buon gioco a prendersene beffa, circondandolo nel ludibrio più crudele. «Hai girato in tondo!», dicevano. «Te ne sei andato in circolo!» A nulla valsero le parole del Triangolo, il quale insisteva nel descrivere il suo percorso come perfettamente rettilineo. «Ho sempre seguito la punta», diceva, «senza mai distogliere lo sguardo dall’orizzonte innanzi a me!» Ahimé, quanto insistette su questa tesi, dal quel momento sino al termine dei suoi giorni, nonostante la nostra ostinata incredulità. Ancora mi pesa il triste pensiero di quell’ingiustizia. Ancora soffro, nelle mie visioni notturne, al ricordo dell’ottusità di cui tutti fummo vittima, e il rimorso mi perseguita come una Sfinge che mi divora l’anima.

Il nostro mondo è piatto in quanto a noi non è concesso di visitarne altre parti se non la superficie. Noi siamo esseri perfettamente e completamente superficiali. Ma la superficie in cui compiamo le nostre azioni può avere mille forme, e io che ho avuto il privilegio dell’illuminazione tridimensionale so bene di parlare il vero. Il Triangolo non tornò al punto di partenza. Egli vi arrivò. E la ragione del suo arrivo andava cercata non già nella direzione del suo percorso, ma in Flatlandia stessa. Il nostro mondo è piatto, ma il nostro universo è curvo e avvolge con la sua superficie uno spazio a Tre Dimensioni a noi inaccessibile. Con ciò si spiega anche il mistero immenso di cui parlano i grandi libri, ove si sostiene la necessaria infinità di Flatlandia, giacché nessuno ne raggiunse mai i limiti, né ebbe modo di avvicinarvisi. Flatlandia è piatta per noi, ma ricurva per chi ci osserva dall’Alto, quell’Alto che i miei compatrioti non riescono ad immaginare. Il coraggio del Triangolo svelò l’errore, per quanto ottusa fosse la nostra cecità. [In realtà esiste sempre la possibilità che Flatlandia non sia affatto la superficie di un solido: potrebbe ad esempio avere la forma di un foglio di carta arrotolato a mò di cannocchiale. Il Triangolo ha circumnavigato il suo mondo, per così dire, ma se fosse andato in un’altra direzione avrebbe potuto imbattersi nei confini del mondo, ovvero procedere all’infinito nel caso in cui il cannocchiale avesse lunghezza infinita, come sostengono i grandi libri. Comunque dobbiamo dare atto della perspicacia Galileana del Quadrato nell’intuire quantomeno la cecità dei suoi predecessori.]

Adesso capisco. E capisco che cosa intendesse la Sfera con le sue parole. Ella disse che il nostro mondo potrebbe avere tante forme diverse, e la cosa mi è chiara. Flatlandia potrebbe essere la superficie di una sfera, disse, ma potrebbe essere anche la superficie di una grossa patata. [Qui non sono sicuro della traduzione, ma credo che il contesto sia sufficientemente illuminante: il Quadrato intende dire che Flatlandia avrebbe potuto essere la superficie di un solido curvo non perfettamente sferico.] Ella disse anche, però, che Flatlandia potrebbe avere dei buchi. Ed è questo che sino ad oggi ho faticato a comprendere. Qui da noi non ci sono buchi. Ma da loro, nel loro mondo a tre dimensioni, i buchi ci sono. Li ho visti con i miei occhi. Sono cose orrende, spaventose, prive di sostanza. La loro essenza è l’assenza, la loro materia il nulla. A sentir la Sfera, essi possono anche avere un’utilità, ma su questo non ci siamo dilungati e la mia pochezza mi impedisce di comprendere il significato delle sue affermazioni.

Ora, per molti lustri ho riflettuto sull’eventualità che Flatlandia fosse bucata e ho concluso che, nel malaugurato caso in cui dovesse essere così, i buchi non sarebbero comunque parte del nostro mondo. I buchi sarebbero, appunto, buchi nello Spazio di cui il nostro mondo è superficie, non buchi nella superficie stessa. (Altrimenti i bordi dei buchi sarebbero bordi di Flatlandia, e questo va contro le scritture.) Flatlandia potrebbe essere la superficie di una sfera o di una grande patata, ma potrebbe anche essere la superficie di una grande «ciambella», come la chiamano loro, o di un grande «colabrodo» (altro concetto che continua a sfuggirmi, ma che se la memoria non m’inganna corrisponde a un oggetto con tanti buchi, una specie di ciambella plurima).

L’avventura del Triangolo ci ha rivelato la natura chiusa del nostro universo. Ma non ci ha rivelato i dettagli della sua forma. E sebbene sia impossibile, credo, determinare con esattezza se si tratti di una sfera o di una patata, mi sono chiesto se non sia possibile determinare almeno se si tratti di una forma siffatta ovvero di una forma bucata: di una ciambella, appunto. Il Triangolo avrebbe potuto girare attorno al buco senza accorgersene. Anzi, compiendo il suo avventuroso giro del mondo (è giusto chiamarlo così) egli non avrebbe mai, in alcun modo, potuto sognarsi questa eventualità.

Ma il lettore che mi abbia seguito sin qui avrà la compiacenza di ascoltare come, finalmente, io abbia deciso di procedere per risolvere questo dilemma. Se riuscirò nell’impresa intendo dedicare la mia scoperta proprio alla memoria del Triangolo Scaleno, a parziale indennizzo per le ingiustizie da lui patite, di cui io stesso ho avuto analoga esperienza in seguito al mio incontro con la Sfera.

Ecco dunque come ho intenzione di procedere. Partirò domani all’alba, avanzando nella medesima direzione lungo la quale si incamminò il Triangolo. Come lui, avrò cura di incedere in maniera rettilinea, onde evitare distrazioni di sorta. Ma a differenza del Triangolo, avrò cura anche di marcare il mio percorso con della rizca. [Questo proprio è un termine che non conosco. Deve trattarsi di una qualche sostanza con cui i Flatlandesi tracciano segni sul territorio in cui vivono.] Se i miei calcoli non sono errati, procedendo alla massima velocità dovrei raggiungere nuovamente il punto di partenza, o quantomeno tornare in sua prossimità, tra una decina di anni. Mi spaventa il lungo viaggio, ma sono pronto a qualunque sacrificio. Contemporaneamente, il piccolo Rombo, il fedele amico che mi è stato vicino in questi tempi difficili, ha accettato di avviarsi per un viaggio simile. Partiremo insieme, ma egli si avvierà lungo una rotta ortogonale alla mia: non già nella direzione donde proviene la luce, verso cui mi dirigerò io, bensì nella direzione donde proviene il freddo. [Qui credo che il Quadrato alluda a quelli che noi chiamiamo punti cardinali: il Quadrato procederà verso Est, per così dire, mentre il Rombo verso Nord.] Anch’egli avrà la massima cura di procedere rettamente, e anch’egli marcherà il percorso con la rizca. Non conosciamo, ahimé, il tempo previsto per il suo viaggio. Né abbiamo modo di effettuare alcun calcolo: sinora l’unica «circumnavigazione» di Flatlandia è quella del Triangolo, le cui testimonianze consentono solo di determinare con una certa approssimazione la durata del mio viaggio. Ma il Rombo è amico fidato e non abbandonerà mai l’impresa, di questo sono certo. Quand’anche dovesse trovarsi in difficoltà, avrà cura di istruire qualcuno affinché la missione venga portata a termine con successo.

Ora, ecco la mia congettura. Se viviamo su una sfera, o su una grande patata, allora prima o poi i nostri due percorsi dovranno intersecarsi. O io mi imbatterò nella traccia di rizca lascata dal Rombo, o egli si imbatterà nella mia traccia, a seconda di chi abbia la sfortuna di essersi imbarcato nel viaggio più lungo. Questa è una certezza matematica. Se invece non viviamo su una sfera, né su una grande patata, allora vi è la possibilità che i nostri percorsi non si incontrino affatto. È possibile che ciascuno di noi giunga nuovamente al punto di partenza senza mai intersecare la traccia lasciata dall’altro. In tal caso potremmo concludere con certezza che Flatlandia ha la forma di una ciambella, o comunque di una superficie che racchiude uno spazio bucato almeno una volta. Infatti se ne potrà dedurre che uno dei nostri percorsi (quello più breve) sarà passato «attraverso» un buco, mentre l’altro gli sarà girato attorno. A quel punto, ve lo assicuro, avremo difficoltà a spiegare ai nostri simili la natura della nostra scoperta. Ma tale è il destino della scienza: non è la sete di gloria a motivare l’azione, ma la ricerca del vero. Ci basterà poter esporre i nostri ritrovati per iscritto, confidando nell’accresciuta saggezza dei posteri.

Ho detto che nell’ipotesi in cui il nostro mondo non sia una sfera o una patata, è «possibile» che i nostri percorsi non si intersechino e che ciascuno di noi si ritrovi al punto di partenza. Ahimé, questo purtroppo è tutto ciò che sono in grado di affermare allo stato attuale delle mie conoscenze. Nell’ipotesi in questione, esiste infatti la possibilità che Flatlandia sia una ciambella ma che nessuno dei due percorsi passi attraverso il buco: può darsi che per passare dal buco l’inclinazione relativa dei due percorsi debba essere inferiore ai 90 gradi, magari molto inferiore. Ciò che possiamo affermare con sicurezza è che se il mondo è a forma di ciambella, allora esistono almeno due modi per compiere un giro completo senza che i percorsi si intersechino in alcun punto, ma naturalmente non è detto che si riesca ad individuarli al primo tentativo. Qui dobbiamo affidarci alla buona sorte. In caso contrario sarà necessario riprovare, e sperare che prima o poi qualcuno riesca nell’impresa.

Ne segue, miei cari lettori (e me ne rammarico immensamente), che queste speculazioni dimostrano l’impossibilità di stabilire con assoluta certezza se Flatlandia sia la superficie di una sfera (o di una patata): se ha questa forma, allora sappiamo che i nostri percorsi si incontreranno, ma ciò non significa che essi si incontreranno solo se ha questa forma. Se Flatlandia è la superficie di uno spazio ciambelloso, ahimé, potremmo trascorrere il resto dei nostri giorni cercando di dimostrarlo senza mai riuscirvi, passando sempre accanto al buco senza mai entrarvi. L’illusione di vivere su una sfera potrebbe allora impossessarsi di noi proprio come di noi si è impossessata per millenni l’illusione di vivere su un foglio aperto, e temo che sarà impossibile liberarsene senza l’aiuto degli amici che ci osservano dall’Alto. Per noi la sfericità non è dimostrabile, questa è la triste verità. Solo le imperfezioni, i buchi, le assenze—proprio quelle cose di cui non ci è data alcuna esperienza diretta—sono riconoscibili con assoluta certezza. Solo loro, per così dire, sanno imporsi a prima vista. Che il destino ci aiuti.

* * *

L’appunto purtroppo si interrompe qui. Non è completo, e non sappiamo quindi come sia andata a finire. Anche così, tuttavia, è difficile nascondere la sorpresa e l’ammirazione per la testimonianza del Quadrato: per il suo vigore metaforico, la sua forza prospettica, l’incredibile fusione di ardore immaginativo e modestia intellettuale che attraversa ogni parola. Che anche un piattissimo poligono possa formarsi il concetto di che cosa sia un buco e servirsene per indagini di portata cosmologica costituisce per tutti noi motivo di profonda esortazione a guardare oltre i limiti della nostra superficialità. Mi ritengo davvero fortunato ad aver scovato un documento così prezioso. E forse non vi è modo migliore per concludere questo dovuto atto di ossequio che citando la dedica apposta dallo stesso Abbott al testo da lui pubblicato nel 1882. Che anch’esso ci sia di monito a non restare confinati nella nostra limitata Dimensionalità:

Agli
abitanti dello SPAZIO IN GENERALE
è dedicata quest’opera
da un umile nativo della Flatlandia
nella speranza che,
come egli fu iniziato ai misteri
delle TRE dimensioni
avendone sino allora conosciute
SOLTANTO DUE,
così anche i cittadini di quella regione celeste
possano aspirare sempre più in alto
ai segreti delle QUATTRO, CINQUE O ADDIRITTURA SEI
dimensioni,
in tal modo contribuendo
all’arricchimento dell’IMMAGINAZIONE
e al possibile sviluppo della MODESTIA,
qualità rarissima ed eccellente
fra le razze superiori
dell’UMANITÀ SOLIDA

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1 commento

  1. oh… finalmente un post interessante… e ovviamente nessuno lo commenta… questo pubblico è davvero una sporca canaglia. noto solo che flatlandia, come la biblioteca di babele, potrebbe essere illimitata e periodica anche senza arrotolarsi. basta che la stessa configurazione si ripeta all’infinito in ogni direzione, con tutti i suoi abitanti e compagnia bella. in questo caso, il triangolo sarebbe andato a finire in un’altra regione di flatlandia, adiacente alla sua, mentre il suo corrispettivo di quella regione sarebbe andato a finire in quella a fianco, e così via.
    la superficie delle cose è infinita.

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