Alla ricerca della perla nera (#5 – fine)

di Mariolina Bongiovanni Bertini

galleon.jpg [Termina qui il racconto fatto in casa per i piccoli indiani. Ringrazio Mariolina per avercelo dato. DV.]

4. Il compleanno di Capitan Uncino

Yessèr nuotava ormai da sei o sette ore , dritto verso la linea dell’orizzonte, quando cominciò a preoccuparsi un po’: ormai vedeva davanti a sé la costa aspra e rocciosa della Corsica, ma dell’isolotto della Strega, nemmeno l’ombra. Forse si era spostato troppo verso oriente, visto che era partito da Bergeggi e non da Varigotti; o forse aveva girato a destra in un punto dove Espiègle, invece, il giorno prima l’aveva fatto girare a sinistra. Insomma, non sapeva più bene né dov’era né in che direzione doveva nuotare, e si sentiva anche molto stanco. D’un tratto, davanti a una piccola baia, gli apparve un grande veliero , ancorato a circa duecento metri dalla costa. Era davvero imponente, con i suoi tre alberi altissimi e tante belle sculture di legno dorato che gli ornavano la prua. Sull’albero maestro ondeggiava al vento una bandiera fatta a questo modo:

Pirateflag1.jpg

Era la bandiera dei pirati, ma Yessèr non lo sapeva. Si avvicinò alla nave per provare a farne il giro. Sapeva che dalle navi, a volte, i marinai gettano in acqua pane secco, torsoli di cavolo, lische di pesce e altre cose buonissime da mangiare. Per quanto preoccupato, cominciava a sentire un certo languorino, perché dalla sera prima non aveva mangiato proprio niente: andava troppo di fretta per fermarsi a dare la caccia a qualche pescetto di passaggio. Ormai era così vicino alla fiancata della nave che, da uno degli oblò, poteva vedere un marinaio con il berretto bianco da cuoco intento a sbucciare un mucchio gigantesco di patate, con un coltellaccio affilatissimo che sembrava una scimitarra. Mentre lo guardava stupito, Yessèr si accorse improvvisamente che non poteva andare né avanti né indietro: era chiuso in una rete fitta fitta, a forma di sacco, che lo imprigionava da tutte le parti! Molte volte, quando i delfini finiscono nelle reti dei pescatori, riescono a liberarsi strappandole; ma quella rete lì sembrava fatta di maglie d’acciaio, tant’era robusta, e più Yessèr si agitava, più lo stringeva forte, impedendogli a poco a poco ogni movimento. Era ormai immobile, e mezzo soffocato, quando dalla nave qualcuno cominciò a tirare verso l’alto un capo della rete; e in pochi minuti il delfinotto si trovò sulle tavole di legno del ponte, legato come un salame, ai piedi di due pirati che ridevano e battevano le mani .
– Evviva, Tappo! Abbiamo pescato un delfino! Ora lo portiamo nell’acquario di Capitan Uncino, chissà come sarà contento!
– Guarda qui che cosa aveva in bocca, Spugna! Un sacchetto! E dentro c’è una bellissima perla!
– Ma allora siamo a posto! Tu stasera per il compleanno al Capitano gli regali il delfino, io gli regalo la perla, e tutto senza spendere nemmeno mezzo centesimo! Che fortuna sfacciata! Ma come facciamo a essere così fortunati?
-Fortunati, fortunati… voi sarete anche fortunati- pensava Yessèr sempre chiuso nella rete, che ora i due pirati avevano trasferito velocemente sul fondo di una scialuppa – ma più sfortunato di me non c’è nessuno! Se penso alla mia mamma che mi aspetta, chiusa in quella stupida grotta, con quegli odiosi squali che certamente le fanno i dispetti… Che disastro! Non solo non ho trovato la perla nera, ma mi sono anche messo nei guai… Se lo sapesse nonno Cutberto…
Aveva quasi voglia di piangere, mentre i due pirati remavano vigorosamente verso terra. Spugna , rotondetto, con la barba bianca, cantava a squarciagola :
I pirati ballano sul ponte delle navi
e le casse scassano se mancano le chiavi …
Tappo , molto più piccolo e più giovane di lui, con un musetto da topo , batteva il ritmo con i piedi, usando il fondo della scialuppa come una specie di tamburo. Quando sbarcarono nella piccola baia, Spugna prese in braccio Yessèr, come un neonato, e lo liberò dalla rete . Sul piccolo molo che chiudeva la baia c’era un’ enorme boccia di cristallo , con dentro qualche alberello di corallo per farla somigliare al fondo marino: il pirata ci fece scivolare dentro il piccolo delfino e rimase a guardarlo tutto compiaciuto.
– Ora ti porto una scatoletta di sardine, devi avere proprio fame- annunciò a Yessèr strizzandogli l’occhio – Vedrai che qui con noi ti troverai benissimo. A parte assaltare le navi, incendiarle, e sgozzare o annegare i passeggeri per derubarli, dopo averli torturati, non facciamo mica niente di male!
Sulla spiaggetta della baia regnava una grande agitazione. C’erano pirati che correvano da una parte all’altra, con le loro magliette a righe, portando vassoi di pesce e di frutta; altri stavano accendendo il fuoco sotto un grosso fornello fatto di pietre, per la grigliata; altri ancora continuavano ad arrivare, con posate d’oro e d’argento, coppe di cristallo e piatti di porcellana provenienti di certo dall’assalto di qualche nave . C’era chi sbatteva la maionese e chi stappava le bottiglie di vino ; su una lunga tavola, proprio in riva al mare, qualcuno aveva steso una tovaglia bianca con grandi inserti di pizzo, e ora tutti si davano da fare ad apparecchiare, disponendo accuratamente piatti, posate, bicchieri e tovaglioli. Spugna e Tappo avevano un compito delicato: quello di collocare il giusto numero di candeline rosa sulla torta di compleanno di capitan Uncino. Ma siccome nessuno dei due era bravo in aritmetica, e nemmeno sapevano esattamente quanti anni avesse davvero capitan Uncino, se la cavavano piantando a casaccio una candelina qua e un’altra là, con una bella leccata alle dita quando incontravano uno sbuffo di panna o affondavano nella morbida crema di cioccolato.
Il sole era tramontato da un’oretta e ai quattro lati della tavola apparecchiata erano state accese delle grosse torce, quando per ben tre volte vibrò nell’aria il suono di un gong:
Deng! Deng! Deng!
Era il segnale dell’arrivo di Capitan Uncino e dei suoi invitati, che stavano sbarcando da quattro scialuppe. Uncino, vestito tutto di rosso, elegantissimo, si piazzò subito a capotavola; al posto d’onore, alla sua destra, si sistemò il gigantesco Barbanera, mentre gli altri pirati di minor importanza e i loro equipaggi si sedevano anche loro, un po’ impacciati dalle lunghe spade, dai pugnali e dalle grosse pistole che avevano alla cintura. Dopo tanta confusione, ora regnava un ordine perfetto: i marinai di capitan Uncino, rapidi e disciplinati come veri camerieri, andavano da un invitato all’altro con i vassoi carichi di antipastini, e i bicchieri di cristallo venivano continuamente riempiti di nostralino e di pigato dei migliori vigneti della Liguria. La grigliata fu un trionfo: Spugna portò in tavola un pescespada intero e non ci fu pirata che non se ne tagliasse una bella fetta con la sua sciabola o col suo pugnale. Quando poi Uncino ebbe spento le candeline sulla torta, mentre tutti cantavano in coro
Tanti auguri a te! Tanti auguri a te!
arrivò il momento della consegna dei regali. Il capitano aveva accanto a sé un cofanetto foderato di metallo in cui faceva scivolare i doni più preziosi: bottoni di brillanti, pugnaletti, orologi d’oro, orecchini, e anche la splendida perla donata di Spugna, che destò l’ammirazione di tutti. Il regalo più originale però fu quello del pirata Barbanera: un grande pappagallo dalle penne di un rosso smagliante, che ogni tanto gridava con voce roca:
All’arrembaggio! Fulmini e tempeste! Viva capitan Uncino!
Non s’era mai vista una festa così ben riuscita. Per l’ultimo brindisi, poi, Tappo e Spugna avevano in programma una cosa davvero speciale: il punch del pirata. Si prepara versando in una zuppiera di cristallo molto grande – tipo vasca da bagno- tutte le possibili qualità di liquore e grappa alla frutta, con molto zucchero e un pizzico di polvere da sparo: poi si avvicina una torcia accesa alla superficie del liquido e lo si porta in tavola coronato di fiamme rosse e azzurre, con gran divertimento di tutti quanti. La zuppiera infiammata era appena stata posata davanti al festeggiato, tra gli applausi generali, quando Uncino si alzò in piedi e con ampi gesti fece capire che voleva fare un discorso. Agitando con grazia l’uncino che sostituiva la sua mano destra, cominciò a parlare in tono suadente, dolce e quasi affettuoso:
-Carissimi amici, ma che dico amici, carissimi fratelli! Sono commosso – e qui il capitano si asciugò una lacrima – Non basterebbero cent’anni a ringraziarvi di questi doni meravigliosi e di questa splendida festa… E tanto più vi voglio ringraziare , in quanto ho capito il significato dei doni, di questa festa e della vostra presenza qui.
Nell’ultima frase, la voce si era fatta metallica, tagliente e molto acuta. Non sembrava più accarezzare gli ascoltatori, ma afferrarli per il collo , come se il capitano li avesse stretti con il suo uncino d’acciaio:
– Sì, ho proprio capito, fratelli carissimi, quel che mi volete dire con questi regali e con questo banchetto: volete dirmi che sono ormai il vostro capo! Il vostro unico capo adorato, al quale ubbidirete tutti fino alla morte senza fiatare!
-Fiiiiiiiii!Fiiiiiiiiiiiiiiiiiii! Buuuuuuuuuuuu! Buuuuuuuuuu!
In un attimo i fischi e le proteste dei pirati furibondi, che battevano i piedi tutti insieme, coprirono la voce di Uncino:
– Ma quale capo! Beccati questo! – gridavano lanciandogli a piene mani i gusci delle noccioline e le scorze dei mandarini . – Uncino, ti sei bevuto il cervello! Faccia di merluzzo! Fiiiiiiiiiiiii! Buuuuuuuuuuuuuu!
Il più indignato di tutti era il pirata Barbanera; si alzò in piedi in tutta la sua gigantesca statura e sferrò un pugno fortissimo nel bel mezzo della tavola apparecchiata. La zuppiera del punch si inclinò pericolosamente con la sua corona di fiamme. Una pioggia di scintille rosse cadde sul legno della tavola, una fiamma blu investì la sedia più vicina: in meno di un minuto un vero torrente di fuoco aveva invaso tutta la piccola spiaggia, bruciando la tavola e le sedie, la tovaglia e i tovaglioli, le scialuppe e i loro remi, le cassette di legno ammucchiate in disparte e soprattutto le botti di rhum, che si accendevano come enormi torce. Uno dopo l’altro, i pirati si tuffavano in mare e si allontanavano a nuoto, mentre il pappagallo rosso svolazzava sulle loro teste gracchiando a tutto spiano:
All’arrembaggio! Fulmini e saette! Viva capitan Uncino!
Dall’acquario di vetro appoggiato sul molo, Yessèr seguiva la scena con molta preoccupazione: le fiamme crepitavano ormai a pochi passi da lui e l’acqua nella grande boccia di cristallo cominciava a essere davvero un po’ troppo calda per i suoi gusti. Pensava che i pirati si fossero ormai tutti allontanati a nuoto, lasciandolo lì a finire lessato come un nasello, quando scorse, in mezzo al fumo, una figura vestita di rosso che stava proprio sulla punta del piccolo molo, come se volesse buttarsi in acqua ma non trovasse il coraggio. Sporgendosi fuori dalla boccia, provò a chiamarla:
-Ehi, tu ! Chi sei?
In quel momento il vento disperse il fumo e vide che si trattava di Capitan Uncino, pallido e tremante, con il cofanetto dei doni ben stretto sotto il braccio sano. Uncino si girò verso l’acquario e vide il delfinotto che gli aveva rivolto la parola. – Ah, sei tu! – brontolò – Il regalo di Tappo! Accidenti a tutti i compleanni e a tutti i regali! Lo vedi in che guaio siamo finiti!
– Perché non sei scappato come tutti gli altri, capitano? – chiese stupito Yessèr.
-Perché, perché… è il mio segreto, non l’ho mai detto ad anima viva. Bé, a te posso dirlo, dato che finirai bollito entro mezz’ora e quindi non potrai certo ripeterlo a nessuno: io non so nuotare! Non ho mai imparato!
Sul molo risuonò una gran risataccia sgraziata: era il pappagallo che aveva sentito la confessione di capitan Uncino e si divertiva come un matto. Anche Yessèr avrebbe avuto voglia di ridere, ma aveva ancora più voglia di allontanarsi a nuoto dall’incendio e dall’acqua ormai calda dell’acquario, in cui cominciavano a salire inquietanti bollicine.
– Capitano, non perderti d’animo: tirami fuori da questa boccia, tuffiamoci insieme e io ti porterò fino alla tua nave . Potrai aggrapparti a me, come se fossi un salvagente.
Non era facile per Uncino, che disponeva di un’unica mano, estrarre il delfinotto dall’acquario senza mollare il cofanetto dei suoi doni di compleanno. Alla fine ci riuscì , contorcendosi come un serpente; poi, tenendosi ben stretto Yessèr, si lasciò scivolare pian piano in acqua dalla punta del molo. A contatto con l’acqua fresca del mare, il piccolo delfino si sentì rinascere; prese a nuotare a grandi balzi verso la nave del capitano, che era ancorata a circa duecento metri da riva, mentre il pirata, aggrappato alla sua coda, faceva ben attenzione a non perdere il prezioso cofanetto e brontolava tra i denti:
– Che spavento, accidenti, che spavento! Proprio nel giorno del mio compleanno! Barbanera stramaledetto! Stramaledetto punch del pirata!
Quando arrivarono sotto la fiancata del grande veliero, Uncino si aggrappò alla scaletta di corda e guardò con un certo affetto – per quanto può essere affettuoso capitan Uncino- il delfinotto che lo aveva portato in salvo.
-Mi raccomando – gli bisbigliò all’orecchio- non una parola del mio segreto con nessuno… Pensa se venisse a saperlo Barbanera… Ma non gli dirai niente, vero? Siamo amici? Ecco, per dimostrarti quanto siamo amici, voglio farti un regalo.
Il capitano aprì il cofanetto annerito dalle fiamme e tirò fuori con la punta dell’uncino il sacchetto di seta bianca con la perla del Coboldo. -Ecco qua – sospirò posandolo delicatamente in bocca a Yessèr – Grazie di tutto e arrivederci!
-Vado bene di qua per Ombracupa? – gli chiese Yessèr, puntando verso destra, con la testa e le pinne pettorali ancora fuori dall’acqua.
-Benissimo: ci sarai per l’ora di colazione, sta già spuntando l’alba. Buon viaggio!
-Eccomi al punto di prima- pensava Yessèr mentre nuotava verso il regno della Strega del mare . – Ho riavuto la mia perla, ma è una perla bianca… Vedremo se la Strega sarà disposta ad accontentarsi, o se terrà ancora la mia mamma in quella grotta per chissà quanto tempo… Mah!
Aveva nuotato da un paio d’ore, quando i primi banchi di nebbia gli fecero capire che Ombracupa era ormai vicinissima. Ancora due balzi, e si trovò nel punto stesso da cui era partito: esattamente di fronte alla grotta azzurra, sempre chiusa dal pesante cancello di ferro. Sul piccolo scoglio nero era seduta la Strega; teneva in mano una boccettina e la studiava con la più grande attenzione. Aveva deciso di dipingersi di azzurro le unghie dei piedi, ma voleva che fosse assolutamente lo stesso azzurro della grotta incantata, e non era proprio sicura di aver trovato proprio lo smalto giusto.
-Streghina – chiamò Yessèr spuntando dall’acqua – Ehi, Streghina! Ti ho portato la perla!
– La perla! – La Strega era così convinta di aver chiesto al delfinotto una cosa impossibile, che fu molto stupita di trovarselo di nuovo davanti. -Hai trovato una perla nera?
– Hmmm… ecco…insomma… diciamo che ho trovato una bellissima perla… prova a guardarla, Streghina!
Yessèr posò il sacchettino bianco sullo scoglio, ai piedi della Strega del mare. Incuriosita, la Strega lo afferrò per il fondo, in modo da rovesciarsene il contenuto nel palmo della mano sinistra. Lanciò subito un grido di vittoria, che fece arrivare sul momento i suoi due squali, tutti scodinzolanti:
-Stan, Nick, venite a vedere! Mi ha portato la perla nera! Guardate! Guardate!
Dal sacchetto, in effetti, era rotolata fuori una grossa perla nerissima: nera come la notte, come il carbone, come gli aculei di un riccio di mare. Dopo un attimo di sbalordimento, Yessèr capì quello che era successo: la perla era diventata nera per il terribile calore delle fiamme che avevano avvolto il cofanetto di capitan Uncino!
– La principessa delle sirene morirà d’invidia! Una perla nera come questa non ce l’ha nessuno ! – La Streghina sorrideva battendo le mani a Stan e Nick, che come al solito facevano cenno di sì con la testa. Era così eccitata, che per cinque minuti si sentì buonissima; premette senza discutere la leva nascosta nel piccolo scoglio nero e il pesante cancello di ferro che chiudeva la grotta azzurra salì cigolando verso l’alto, lasciando libera l’imboccatura dell’antro. Con un balzo, Espiègle fu vicina al suo piccolo, e un minuto dopo nuotavano verso la Baia dei Delfini, lasciandosi alle spalle Ombracupa e i suoi banchi di nebbia. Ogni tanto, tra grandi spruzzi bianchi, Espiègle saltava fuori dall’acqua, girando su se stessa come una trottola ; Yessèr ci provava anche lui, ma non ci riusciva altrettanto bene, perché scivolava sulla cresta delle onde, e si prendeva una bella panciata. Varigotti era ancora lontana, ma loro si sentivano come se fossero già a casa; come se il rosa e il giallo delle casette di Borgo Vecchio già si confondessero davanti a loro nella luce del tramonto, tra il nero delle palme controluce e quello delle colline già inghiottite dalla notte.

***
Mentre Guglielmo raccontava, i lampi-senza-tuono si erano fatti poco a poco sempre più rari; alla fine della storia erano finiti del tutto, si era levato il vento e , tra le nuvole tutte stracciate, brillava una bellissima luna piena.
– Tedda è guarita, non ha più febbre, è freschissima! – , annunciò Evelina , con la mano sulla fronte dell’ orsacchiotta.
-Si vede che non era poi questa gran malattia- brontolò il Tigrotto, maligno come sempre. E con la testa tra le zampe si addormentò profondamente sulle ginocchia della sua padroncina.

———-

5 – fine

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1 commento

  1. Beh, ringrazio anch’io anche se non sono più piccola… è proprio deliziosa questa fiaba, l’ho letta con piacere dopo aver finito l’intervista per la lista della spesa. :-))

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