Un discorso generico
Sono stato stimolato da Nick Names (nei commenti al pezzo di Raul) a dare una opinione sulla questione del Genere (noir, giallo).
Volevo mettere queste mie note appunto nei commenti, ma, scrivendo ho notato che la dimensione che stava prendendo questo scritto erano sempre più degne degli interventi di Luminamenti, l’unico, per me, che può permettersi di essere chilometrico senza cadere nell’antipatia. Chiedo perciò a Dario di darmi un’altra visibilità. Tutta dovuta alla leggibilità, intendiamoci.
Le cose che ho scritto qui sono pensieri sparsi, non organici e neppure riletti. Ma sinceri.
G.
1.
In effetti Scarpa ha ragione da vendere: il genere ha vinto, il noir è al potere, il giallo vende. Sottoscrivo, riga per riga tutto il suo sfogo caustico di qualche mese fa. Ma manca però qualcosa.
Perché?
Cioè: perché, oggi, qui ed ora, il genere ha vinto? Solo perché “vende”? Vendeva anche prima, quando era solo roba da estrarre dalla tasca dei pantaloni e leggere sul tram, per perder tempo lungo la strada verso il posto di lavoro. Perché, oggi, c’è una intera generazione di scrittori in Italia che sente di doversi esprimere attraverso il genere?
2.
La “questione del genere” è un genere di questione che potrebbe non portare da nessuna parte. E’ generica. Da’ definizioni generiche. Luoghi comuni. Ma io, detto fra noi, amo la locuzione “luoghi comuni”, la trovo poetica. Insieme a “pregiudizio”. Pre – giudizio. In quanto nessuno, diciamocelo una volta per tutte, è esente da pregiudizi e luoghi comuni. Ne siamo intrisi, ci aiutano a muoverci (o magari ci limitano, ci instradano erroneamente) nel caos dell’esistenza. Il passaggio dal luogo comune al luogo particolare, dal pregiudizio al giudizio è fare critica. Ma da qualche parte si parte sempre.
Le definizioni che ci da Montanari sono, perciò, ottime.
Definire. Ecco, la critica, in pratica cerca di definire un campo d’azione su cui operare l’esperimento. E’ il metodo scientifico: creare un ambiente isolato, estraneo da contatti esterni, e operare. I risultati dell’esperimento dicono solo di essere quello che sono: risultati di quel esperimento; non danno altre informazioni. Dedurle artatamente significa falsare il metodo scientifico, creare pregiudizi.
3.
Sappiamo come nasce storicamente il termine “giallo”. Sappiamo che c’entra con una partita di carta di quel colore, che Mondadori aveva in eccesso e ci ha fatto le copertine dei suoi libri, sappiamo che solo noi italiani diamo, a “quel genere”, “quel nome”. Molti inorridiscono, io no. A me piace. Sa di surreale, sembrano le lettere colorate di Rimbaud. Pensate:
“A me piace il giallo. Io leggo il giallo, tu?”
“Io leggo il blu, mentre mio zio adora il rosso. Ho un amico che si porta in villeggiatura solo libri viola.”
“No, io non leggo gialli, non è il mio genere, preferisco i romanzi rosa.”
“Hai mai letto qualche marrone?”
Dire giallo è talmente generico che allarga a dismisura il campo del genere. Chi dice che, in effetti, debbano esserci poliziotti? O dark lady? O geniali criminali? Meglio ancora, chi dice che debba esserci NECESSARIAMENTE il crimine efferato? il morto ammazzato?
4.
“Romanzo criminale” è un giallo? In senso stretto il genere utilizzato in quel caso è l’Epica. “Chiudi gli occhi” è un giallo? Con Raul abbiamo concordato da tempo che il suo è un Western, lacustre e contemporaneo. Il mio “Per cosa si uccide” è un giallo? Critici più preparati di me l’hanno chiamato “romanzo sociale”, “romanzo di una città”. Una definizione esclude, necessariamente, l’altra?
Se qualcuno dicesse che il mio è un giallo mi arrabbierei. Se dicesse che non lo è mi arrabbierei lo stesso.
5.
La fortuna in Italia del giallo è stata la sua stessa sfortuna. Dobbiamo a Mondadori il fatto che un popolo di illetterati comunque leggesse, ma anche che per farlo leggere è stato necessario ghettizzare il prodotto, trasformandolo in qualcosa di “evasivo” e colorato di giallo.
Mancava da noi una scrittura “investigativa”? No, ovvio. Vedi l’esempio di De Marchi, ma poi anche Gadda, Fruttero e Lucentini, Scerbanenco, Sciascia, etc… a volerla cercare addirittura pare esista una tradizione, un fil rouge che ci porta qui da noi, a questo florilegio di scritture di genere.
Ma a volerlo cercare si trova tutto, d’altronde.
6.
Tutti, nell’impeto definitorio, ci dimentichiamo del fulcro della questione. La scrittura. Carlotto scrive come Dazieri? Genna scrive come De Cataldo? Fois scrive come Lucarelli?
Ha senso dire: “io non amo i gialli?” Cioè: ha senso dire: “Non amo le madonne con bambino?” o: “Non sopporto i San Sebastiano?”
Ci sono San Sebastiano del Mantenga e croste assurde, ci sono Madonne di tutte le risme, da Raffaello, alla riproduzione trash che si vende al mercato sotto casa.
Fermarsi alla definizione generica “Madonna con bambino”, che serve solo come primo approccio, come primo passo di avvicinamento, fermarsi, pregiudizialmente, e decidere che quella è “LA” definizione discriminante, butterebbe nel cesso duemila anni di storia dell’arte.
Ci sono gialli (madonna con bambino) che sono capolavori, e gialli (madonna con bambino) che sono croste. E’ difficile da capire?
7.
Che genere era quello di Moravia? Romanzo erotico? O, come dice Evangelisti, “genere letteratura”? Quando e perché, per colpa di chi, è nato il “genere letteratura”? (letteratura alta versus letteratura bassa, arti maggiori versus arti minori, patrizi e plebei insomma).
Pensiamo al neorealismo. Fu un genere, oggi possiamo dirlo. Anzi: tutti sembrava all’epoca scrivessero romanzi neorealisti, la definizione era così larga che accoglieva tutti. Poi, piano piano sono nati i distinguo: il primo Calvino dei sentieri dei nido di ragno “sembrava” neorealista ma in realtà era già favolistico. Il Pavese della luna e i falò “sembrava” neorealista ma era, sotto sotto, mitico; i ragazzi di vita “sembravano” neorealisti ma… insomma alla fine non si sapeva più chi rimaneva dentro la definizione generica e generalista (Jovine? Sì, però… Silone? Beh, anche se… ok, lasciamo perdere).
8.
(E vogliamo parlare dei poeti ermetici? Tutti ermetici nelle antologie di 30 anni fa. Da Quasimodo a Montale, da Ungaretti a Luzi).
9.
Quando dico Barocco cosa dico? Quando dico Gotico che significa?
10.
Il romanzo di formazione è un genere? il romanzo epistolario è un genere? Il Werter, Dracula e “le cose come stanno”, essendo tre romanzi epistolari, sono “uguali”, dello stesso genere? Krauspenhaar perciò scrive come Goethe? (perché a: scrive un romanzo epistolare, b: perché ha il cognome tedesco?)
11.
Vi dirò, io quasi ribalterei la premessa della prima domanda rivolta a Montanari. Io, cioè, allargherei più che volentieri le ottime definizioni (che sono solo di approccio, ricordiamocelo, che non sono formulette consolatorie, ma la prima sgrossatura critica) di GIALLO e di NOIR descritte da Raul a tutta la letteratura; sì proprio così, da Edipo a oggi. Una definizione non esclude l’altra. Quindi Dracula è un Horror ma è anche un romanzo epistolare, e pure un romanzo romantico e decadente, e così via. Addentrandoci sempre più nello specifico del romanzo stesso, scrollandoci di dosso, piano piano verso la fine del percorso, come polvere, tutte queste definizioni; quando cioè non ne avremo più bisogno e avremo compreso a pieno l’opera, in sé e nel mondo.
Quanto “rosa” c’è, viene da chiedersi, nei “Promessi sposi” o in Anna Karenina? Quanto surrealismo c’è nel Cossa, quanto razionalismo nel Brunelleschi?
12.
Chi ha paura del genere? Di chi ha paura il genere?
Fino a dieci anni fa il genere che tirava era “l’ombelicale”. Scrittori medio borghesi insoddisfatti di sinistra che ci raccontavano per filo e per segno la consistenza del loro ombelico. E giù recensioni a pagine, a fiumi. Gli anni Ottanta imperanti. Tutta la nostra cinematografia contemporanea è onfalica, ombelicale. (ho qualcosa contro gli ombelicali? Tenete conto che mi fregio essere un lettore attentissimo di Proust, ombelicale per antonomasia. Ma se sei Proust puoi parlare di unghie spezzate per centinaia di pagine e scoprire il mondo, se non lo sei è meglio lasciar perdere).
Oggi per assurdo al primo accenno di ombelico ti crocifiggono. Sangue, morti ammazzati, sbirri, alligatori, mafiosi, pedofili, trame occulte…. torno a bomba perciò: Scarpa ha ragione. Il genere ha vinto ed è diventato padrone del vapore, accademia, regola, scuola di pensiero e di scrittura.
Ma non ci siamo ancora risposti. Perché?
13.
Perché doveva essere così. Perché, in ogni caso, per quanto generico e generalista, non si può negare che dopo la guerra c’era, in effetti, una scrittura neorealista. Perché la sensibilità dell’epoca chiedeva quei temi (e parlo di “temi”, “tipologie”, non di “stile” di scrittura). Poi declinati nelle vari idiomi personali, poi magari scritti merdosamente o magnificamente, poi magari escludendo dal canone chi in quel momento parlava di dischi volanti o di principi azzurri (magari scrivendo periferici capolavori, da riscoprire al prossimo cambiamento di sensibilità etica, estetica e politica). E’ riduttivo ma ci aiuta dire: il periodo barocco. Oppure: la letteratura neorealista. Capiamo all’istante in quale paradigma muoverci.
Quando il semplice contadino parmense girava per il battistero dell’Antelami, 850 anni fa, e vedeva lo zooforo o la porta del giudizio universale, comprendeva a pieno, leggeva alla perfezione, tutto il portato simbolico che quelle opere avevano in sé. Al di là della lettura iconologia che oggi sappiamo fare, o estetica, o storica, è chiaro che c’era una contemporaneità fra l’artista e il suo fruitore, una contemporanea sensibilità ai temi del sacro, dell’eterno, del bello, del giusto, del vero.
14.
Non c’è proprio niente di evasivo, oggi, nella scrittura gialla (in una certa scrittura gialla, ovvio, non in tutta, la maggior parte è merda fritta. Ma la maggior parte di quello che viene pubblicato tout cour, è merda fritta). Non è letteratura di evasione. Non c’è, come oggi, un impegno nel politico e nel sociale evidente come quello dei “giallisti”. Si parla di periferie urbane, di G8, di poteri occulti, di contropoteri, di uomini allo sbando, di extracomunitari, di internet… il mondo, cazzo, il mondo, quello che Covacich cercava nel suo articolo sull’Espresso e che non trovava perché si fermava sulla soglia del delitto.
Non è, semplicemente, una questione di moda. E’ che oggi il patto fra il lettore e lo scrittore per la descrizione e la decrittazione del mondo passa per il genere giallo. Domani non so. Domani potremmo capire la nostra contemporaneità attraverso altre forme di scrittura (o di media espressivi). Oggi è “l’indagine” sulla realtà (che poi, a ben vedere è questo: noir, gialli, polizieschi, thriller: è “l’indagine” che li tiene insieme) che ci descrive, al meglio, il desiderio di realtà, di comprensione della realtà che viviamo.
15.
Quindi chi oggi non fa gialli è fuori dal mondo? No, chiaramente. Gaudì fece i suoi capolavori anche se era completamente fuori da tutti i movimenti razionalisti che, nel bene, ma anche nel malissimo, imperavano all’epoca. Anche se subiva l’ostracismo culturale imperante, anche se era, nei fatti, obsoleto, fuori dal tempo.
Domani potrei pubblicare solo poesie, o romanzi ombelicali, o chennesò. Chi oggi scrive poesie sa che il suo è un ruolo difficile, decentrato, frustrante in certi casi, ma, comunque, continua a farlo perché sente che deve farlo. Magari poi scopriremo che proprio la sua opera ci saprà restituire, come neppure adesso sappiamo immaginare, il mondo così com’è. Van Gogh continuava a dipingere, anche se non ha mai venduto un quadro.
Io, tra l’altro, non sono mai stato, in senso stretto, un lettore e un cultore di gialli. La maggior parte degli scrittori di culto del genere noir io non li ho mai letti. Non certo per snobberia. Solo perché non mi sono mai posto il problema se Chandler fosse uno scrittore giallo, o noir, o quant’altro. Per me era un bravo scrittore americano, tutto qui.
Mai avrei immaginato che avrei scritto il romanzo che ho scritto. Semplicemente, scrivendolo, dopo aver pubblicato antologie di scrittori che leggevano l’architettura e il paesaggio, dopo aver scritto saggi su scrittori che interpretavano il territorio e le trasformazioni sociali, scrivendolo, dicevo, mi sono accorto che il grimaldello dell’indagine mi permetteva di dire la mia su ciò che è società, ceti, urbanità, classi, città diffusa, cittadinanza, appartenenza, degrado, etc. etc. Tutto qui. Avrei potuto dirlo in un altro modo? Forse sì, forse è un mio limite, chi lo sa. Ma perché, comunque, non avrei dovuto dirlo così?
16.
Il giallo è un trucco? Aiuta a vendere? E allora?
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46 punti di domanda.
davvero?
G.
Gianni sei un grande! Andiamo a farci una birra?
47. Morto che parla. A parte gli scherzi: perchè ho l’impressione che mettereste Agatha Christie nella narrativuccia pseudosentimentale? (48)
Sono così assolutamente d’accordo che – per metempsicosi o trasmissione del pensiero – usi più o meno gli stessi argomenti che io uso spesso polemizzando con vari amici quando si ostinano, ancora e ancora e ancora, a leggere qualsiasi testo in base a quello che vi sta scritto. Stop. Sembra una bestemmia in chiesa: mi si potrebbe obiettare: in base a cosa diavolo vuoi che lo si legga? E io risponderei: in base “a come viene scritto”. E a come – soprattutto – la scrittura trasvaluta la “cosa” narrata. Dico “trasvaluta” e non lo dico a caso: è a Nietzsche che penso. E – figurativamente – ad un guanto che si rovesci. Detto altrimenti: che cosa fa di “Delitto e castigo” (un omicidio, un’inchiesta, le solite cose, no?) una scrittura non di genere (anche se Nabokov non sarebbe d’accordo: lui pensava che, in qualche modo, lo fosse anche se non usava il termine “genere” forse ancora non così in uso o importante: lui diceva che Dostoevskj scriveva “isterico” – cioè, non classico)? Perché dal “genere” bisogna in qualche modo uscire a non voler essere dei RobertiSilvestri der manifesto che del “genere” (ah, per non dire dei marchigiusti) hanno fatto il loro vessillo. Un filmmaker(s) (tiè alla Crusca) che nasca nel “genere”, resterà nel “genere” se non lo traslittera – dico così se “trasvaluta” dà troppo l’idea di salvezza o redenzione. Capisco il fascino che il “genere” (il sonetto – per es. – potrebbe essere definito un “genere”?) può emanare. E’ il fascino del rituale, molto vicino al feticismo. Giapponeserie. Rito del té. Ma dentro al “genere” bisogna lasciare che la scrittura le destrutturi. Se uno continuasse a descrivere una dark lady (è un canone, no? La dark lady ci deve essere sempre: ma che fine farà, allora, la signora Maigret?) come una Veronica Lake o come Barbara (uffa, quell’altra attrice lì che faceva sempre la cattivona e di cui non mi viene in mente il nome …), con il filo di fumo e la faccia nella stessa ombra che Von Stenberg creava attorno alla “sua” Marlene, resterebbe un mediocre artigiano.
Insomma – l’ho fatta decisamente troppo lunga e me ne scuso – uno scrittore di “genere” deve ottenere esattamente che lo si legga come uno non-di-genere – come fa Gianni con Chandler e come faccio con El(l)roy, Simenon, Le Carré (il primo), a altri.
Gino, la cattivona era Barbara Stanwyck.
Ah, io non direi mai a qualcuno di andare a bere una birra alle 11 del mattino. Capito?
V.M. forse non mi sono spiegato: per me Rosa o Giallo il problema non si pone. Sono solo categorie di approccio al testo, tutto qui. Conosco poco la mitica Agatha (cioè ho letto troppo poco di lei per giudicare in toto la sua opera), ma anche se la ponessi, putacaso, nel “genere” sentimentale, per me non sarebbe un giudizio necessariamente di valore del testo. E comunque non escluderebbe il fatto che quello letto sia anche giallo, razionale, scacchistico, etc…
Il dott. J. e Mister H. cos’è? Horror? Psicologico? Alto, basso? E’, anche, tutto questo? Capisci cosa intendo dire?
Certo poi posso avere una particolare passione per le raffigurazioni di San Michele Arcangelo, indipendentemente dalle epoche storiche e dalla qualità artistica dell’opera, ma questo non deve, in fase critica, esautorare il valore di opere che non lo rappresentano.
Pensate a Kubrick. Non c’è un suo film che non appartenga, in tutto e per tutto, ad un genere: dal genere “antichi romani”, a quello “in costume”, dalla fantascienza all’Horror, etc.
Kubrick è un autore di genere? Di quale? Oppure usa il genere? (le sue codificazioni, certo, ma anche codificandolo).
La birra in ogni caso. Con qualunque Franz me l’abbia chiesto.
G.
Mi riferivo infatti alla sua scrittura e non al genere. Per contenuti la Christie appartiene al giallo (ho decine di volumi che lo provano), ma la sua scrittura non ha pretese di letteratura che resta nel tempo.
(Tasca…: direi che, Crusca a parte, “un flim(s)maker”, oppure due filmmaker(s), ma non “un filmmaker(s)”:) )
Si Gianni, ma io di birra sono un esperto.;-)
Dici bene su Kubrick, fai l’esempio più calzante. Era un filmaker(s)di generi. Genericamente parlando, un genio.
Ma torniamo al vecchio noir,quello che piace a Gino e a Nick e anche a me.
Un cinematografaro dei vecchi tempi che ha fatto ancor meglio di Lang o di Kubrick è stato secondo me Billy Wilder. Eppure quando si cita Wilder si pensa subito a Lemmon/Matthau di “Prima pagina”, alla Monroe/Curtis/Lemmon di “A qualcuno piace caldo”. Un grande della commedia, insomma.
Si, certo. Capolavori. Ma il meglio il vecchio viennese lo ha dato nel noir. Gino citava la dark lady, prima. E gli è venuta in mente un’esperta del settore: la Stanwyck. Ne “La fiamma del peccato”, Wilder cosa fa?. Prima di girare, prima di comporre il cast, prima di tutto, legge il romanzo “Double indemnity” di James Cain.Lo legge in un’ora, tanto ne è preso. Ovvio che decida, praticamente sui due piedi, di girarne un film. La dark lady che fa al suo caso è la Stanwcyk. Non bella, ma sensuale. Perversa e senza scrupoli. Fisicamente potrebbe essere una donna della porta accanto, la casalinga di Voghera Street. Ed è questo che inquieta lo spettatore. Per scrivere la sceneggiatura del film a chi si rivolge, il regista? A Raymond Chandler. E i due migliorano il plot di Cain, soprattutto nel finale. Riducono all’osso e tagliano una coda (l’esecuzione dell’amante-complice della donna, nonchè esecutore materiale dell’omicidio del marito di lei) che avrebbe tolto compattezza e secchezza al racconto. Un noir cinematografico è meglio che finisca con un colpo di scure. Wilder e Chandler riescono nel tentativo, nel cinema quasi sempre fallito, di migliorare la trama del romanzo da cui il film è tratto: se il romanzo è di grande valore come in questo caso, beninteso.
In “Viale del tramonto” Wilder, all’inizio, fa parlare fuori campo un morto annegato in una piscina.Proprio un morto che parla. (Come il protagonista di American Beauty, cinquant’anni dopo). Il morto racconta il processo inarrestabile che lo ha portato ad essere un uomo morto che parla. Il resto del film è un flashback per raccontare il mondo del cinema. E’ questo un film noir? Anche. Ma soprattutto quel film racconta la storia di uno sceneggiatore (il morto che parla,sempre lui) che diventa l’amante di una diva del muto e ne viene stritolato nel tentativo di sfruttarla. Si parla, qui, soprattutto, di ambizioni, di decadenza fisica, di meschinità, di cinismo. E’ un noir, questo, che sfocia direttamente nell’orrore della decadenza e della morte, all’interno di un “sistema”, quello del cinema, che rappresenta l’effimero per eccellenza. Un effimero, però, quasi per paradosso, capace di replicarsi all’infinito sulla pellicola, e quindi, addirittura, di vincere sulla morte. “Viale del tramonto” è un noir? Fino ad un certo punto.
Parliamo anche di letteratura. “Quer pasticciaccio…” di Gadda è un giallo? Eccome no. Con annessi e connessi. Tanto è vero che Germi lo riduce negli anni 50 (Un maledetto imbroglio). Gadda riducibile in film?!… Perchè no? Basta tenere l’ossatura della trama, rispettando (anche per opportunismo intelligente)quello che Gadda aveva inventato. Il capolavoro di Gadda rimane dove deve stare, sugli scaffali alti della letteratura. Ma ciò non toglie che il film di Germi sia un bel film. Un giallo con venature noir. O un noir con la struttura tipica del giallo, chi se ne frega, in fondo.
Finisco la mia carrellata con Eyes Wide Shut di Kubrick. Che genere di film è? Un thriller psicologico? Nel gioco comunque molto serio delle catalogazioni critiche ciò può essere affermato. E’ un film sentimentale? E perchè no? Si parla della crisi di una giovane coppia. E da quale romanzo (o novella) è tratto questo thriller contenporaneo? Da “Doppio sogno” di Schnitzler. A Kubrick era capitato tra le mani tanti anni prima, quel libro. Incarica della stesura della sceneggiatura Frederick Raphael, sceneggiatore di Stanley Donen (“Due sulla strada” con la Hepburn)e dunque esperto in storie di coppia. Gli fa scrivere tonnellate di carta. Lo manda oltre l’orlo di una crisi di nervi. Poi, dopo qualche mese, detta allo scrittore questa semplice regoletta: “Segui il vecchio Arthur”. Eh si, perchè cambiare qualcosa che un genio come Schnitler aveva scritto un secolo prima? L’ossatura della trama è la stessa. Schnitzler scrisse a suo tempo un noir? Uno “psicothriller”?
No, scrisse una novella su amore e morte, un classico. Kubrick ha trasposto la novella del “vecchio Arthur” ai giorni nostri. E ai giorni nostri, Schnitzler, in un certo senso, è diventato il soggettista post-mortem di un “thriller.”
Adesso che so che si dice filmaker(s) sto decisamente meglio.
Gentilmente mi avevi cercata:eccomi. Nel frattempo sono anche stata in un areoporto e due ipermercati dove ho visto “Per che cosa si uccide”. Inoltre mi sto alzando presto (ca.sei del mattino) per lavorare a un libro (non sempre ci riesco) e quindi verso le nove di sera tendo a stramazzare sul divano. La vita di chi tiene famiglia, come sai.
Posto che non me ne frega un tubo di che cosa ci sia scritto sulla confezione, se “Dash” o “Bio Presto”, “giallo” o “romanzo letterario”, e mi fa solo piacere se un libro buono venda anche un po’ di copie, dico però che sì, il meccanismo del “giallo” (o “noir” o chiamalo come ti pare) è un trucco per rendere narrativamente coerente e interessante la rappresentazione di parti del mondo decisamente oltre all’ombelico. Un trucco o una stampella perfettamente lecita, anzi spesso più onesta e agile di stampelle più sofisticate che rimangono pur sempre stampelle per tenere in piedi il romanzo, questa creatura problematica. Forse però varrebbe la pena, dopo un po’ di esercizio, di cercare a buttarle e provare a cimentarsi con altri criteri di costruzione, apparentemente più ottocenteschi (Hugo, Dickens, Dostojevskij ecc. ecc) La fortuna del “genere” presso i critici equivale anche a una sorta di sdognamento del realismo che ufficialmente resta sempre pessimamente reputato e dato per impossibile e stramorto. Mi pare un compromesso degno delle più gesuitica ipocrisia. Di modo che mi verrebbe da pensare invece che cocciare frontalmente contro quel tabù fasullo potrebbe essere la sfida più proficua, più eticamente, politicamente, esteticamente coraggiosa.Vista anche la vera e propria inflazione del “genere” che rischia di risucchiare i singoli libri nel “trend” e, come tutte le mode, di passare fra breve. E io non vorrei mai che i migliori fra voi cadessero vittima di una cambio di moda.
biond-
biondillo ho letto il tuo//////// mirabile pezzo e
Ecco, che Dostoevskij si scriva Dostoevskij e non Dostoevskj o Dostojevskij, di questo, sono sicuro.
Helena, sei sicura che Hugo, Dickens, Dostojevskij, ecc. fossero, in alcune dinamiche e costruzioni narrative, “fuori dal genere”? Gente che scriveva a puntate, e più ce n’erano e più li pagavano, sui giornali dell’epoca?
Oppure: Il pasticciaccio, ricordato da Franz, dell’Ingengere, era un giallo realista, per caso?
Chiaro che no. Insisto: nel mio modo di vedere le cose la categoria è solo un metodo per approcciarsi ad un’opera. Punto. Poi che qualcuno ci abbia fatto una guerra ed altri abbiano difeso la posizione, e, ora, abbiano vinto, non mi interessa. Io registro che ORA, QUI, una generazione di scrittori ottimi, non solo “di cassetta”, sente che deve raccontare così. Domani non so. Pirandello neppure immaginava di essere ricordato sostanzialemnte per il suo teatro. Quando scrisse la sua prima opera teatrale neppure gli piaceva il mezzo espressivo. (vi devo lasciare, mia figlia mi esige, torno dopo)
a suivre, G.
Bene. Qualche punto interrogativo mentre leggevo, ma niente d’insuperabile. Giallisti thrilleristi noiristi, sapete una cosa? Quella foto acchiappa subito. L’attenzione, dico. Il coltellaccio su schiena rossa e ombra amplificata nera. E’ una bomba. Volete “distribuire” quelle 10-20.000 copie in più delle vostre fatiche? Nessun dubbio. Coltellaccio e contrasto. Preciso. Pulito. E’ un discorso mercificatore, vabbe’, ma ci scommetterei, su quel coltellaccio raddoppiato e perfezionato dall’ombra.
Ciao.
Ah: in copertina. La foto: schiaffata in copertina, porcocoltellaccio.
Nicky, cazzo, ho scritto tutto questo solo per te e tu mi lodi la foto che ha messo Dario?
Basta, piango calde lacrime.
G.
Io pensavo che l’avessi tirata fuori dal tuo archivio di scatti grandguignoleschi “Scheletri nell’archivio di un architetto di campagna”… O che l’avessi scattata di recente: la schiena, quella di Scarparanoia dopo i drink alla presentazione del tuo ‘giallo’; il coltellaccio, dritto dalla tua collezione di lame inox per critici in carne; l’impianto luci, Montanari con un set di candelabri.
Ach!
Sono strafelice che Franz abbia tirato fuori Kubrick (il cui Eyes wide shut, fra l’altro, è un bellissimo film anche se tutti si sono messi a dire che era un’opera senile e poco riuscita: balle).
Proprio perché – ma non dico nulla di nuovo, eh: vedi Castoro degli anni ’60 di Enrico Ghezzi – lui ha compiuto con i generi esattamente quell’operazione di trasvalutazione di cui parlavo sopra. Vediamo se riesco a dare una pur vaga definizione di questo concetto – fuori dai suoi “canoni” nitzscheani. Mi verrebbe da dire che si compie – nel farla- un’operA per cui una stessa cosa cessa di essere se stessa e diventa altro pur conservando la sua più assoluta identità/verità. Assomiglia, in qualche modo, all’interpretazione in analisi. E’ la stessa cosa per cui un sintomo guarisce restando il nodo di una personalità.
Aggiungerei anche un’altra cosa: bisognerebbe fara caso alle parole che si usano: sempre: e questo è un diktat e quasi un ukase. Perché i generi, di solito, sono due: maschile e femminile.
E poi ci sono i trasgender. Le contaminazioni. I passaggi (cito Benjamin? Ma sì, dai: così mi do delle arie: i suoi “passagen”). Un cultore dei generei che sia sul serio tale – insomma – li distrugge.
(Fra l’altro: sempre su Eyes wide shut: ricordate, no? Tutti a dire: che ridicola la scena dell’orgia, che cosina da poco … Ri-balle! A parte il fatto che un’orgia vera e propria è oscena nel senso che sta fuori dalla scena e mai nella rappresentazione 1
che altro posso dire? montanari, sei una testa di cazzo.
Sei monotono, Governi, e questo spiega come mai di tutta la covata cannibale sei uno dei pochissimi a non avere avuto fortuna, a essere rimasto un poveraccio costretto a fare il leccaculo per ottenere modeste collaborazioni editoriali, partecipare in ruolo subordinato a sceneggiature di film che nessuno è mai andato a vedere e farsi pubblicare un paio di libercoli che nessuno ha mai letto. Questo il bilancio di otto anni; capisco che uno sviluppi delle frustrazioni e si trasformi in un botolo ringhioso e sbavante.
Impara a scrivere, che forse imparerai anche a stare al mondo. Cerca di non essere così passivo, sforzati di trovare qualcosa da dire, magari copiando, e non intervenire solo in tackle quando la palla ce l’hanno gli altri e criticano (con argomenti) i tuoi perplessi benefattori.
Ah, un ultimo consiglio: dammi monotonamente della testa di cazzo stando bene alla larga da me, come fai ora; regolati da vero leccaculo tremebondo e non venirmelo mai a dire in faccia.
PS Auguri a Gino e complimenti soprattutto per la scelta di Rex Stout. A parte l’incredibile utopia maschile della casa di Nero Wolfe (chi non vorrebbe viverci, in quel beato falansterio, lontano dall’amore, da tutto?) e ovviamente l’invenzione di Wolfe medesimo, la prosa di Rex Stout è una gioia.
Minchia, Raul, quanta acidità. Cosa hai mangiato, uno yougurth scaduto?
In effetti le argomentazioni di Lodoli sembrano di un malcelato razzismo nei confronti del “genere”. Mi sembra evidente che lui, comunque, così li interpreti quei libri: di genere, cioè di sottogenere, di sottoletteratura. Divertenti, sfiziosi, ben scritti, d’intrattenimento… ma non è certo letteratura questa, mon Dieu!
In effetti Shakespeare era considerato troppo gran guignol ai suoi tempi (non è mica teatro questo), Omero troppo fiction, Ariosto troppo Fantasy, etc. etc.
Io, da quando ho pubblicato, sono stato sommerso di libri “di genere” (regali di amici e editori). La maggior parte di questi mi ha fatto sbadigliare. Ma siamo certi che non avrei sbadigliato ugualmente se fossero stati di “genere letteratura”? Io è un po’ che lo dico. Qui da noi si pubblica anche troppo. Il problema è la cernita. Al di la del genere.
g.
non sto a replicare a tutte le falsità che hai detto nei miei confronti. ti dico solo che: ci si vede, montanari, stai tranquillo che ci si vede. e sono tutt’altro che tremebondo mentre te lo dico, testa di cazzo.
Piantatela tutti e due.
Ho dimenticato il “per favore”. Nessuno qui è tremebondo. Solo che sarebbe meglio per tutti, secondo me, se Raul e Governi si scrivessero privatamente, a questo punto. Io credo che ci si può anche chiarire, volendolo. Magari c’è stato un malinteso, a volte succede. E poi diciamolo: un uomo che ha carattere spesso ha un BRUTTO carattere. Non è buonismo, il mio, anzi. E non è nemmeno “buona educazione”, di quella me ne fotto, personalmente. Ma vale la pena di tentare di ricompattare – in modo civile – una questione tra persone civili.
p.s: e ora non datemi addosso perchè mi sono immischiato, eh?
E poi fareste davvero a schianti per due post del cazzo? Non ne vale la pena. Che lo scontro resti verbale, dissanguatevi con slancio qua sopra – ma fuori non torcetevi mezzo pelo, via…
Per il resto ha ragione Biondillo, il detective John Blondie: se capita svalvolo anch’io qua sopra, introgolandomi nel turpiloquio. NI è fatta (anche) per questo.
Ti girano i coglioni? Vai al vecchio saloon Nazione Indiana, ti piazzi al bancone, dai un’occhiata in giro, attendi, e al primo sgarbo chiappi una sedia e stum punch puffuncaz crash! Ci s’incarognisce, ma è un esercizio di stile mica malvagio.
Ah tu, nicodemo nanomico: non scriverei mai “nobile quale sei” o “maledetta malalingua”, gigante.
Niente da dire, Nick, tu sei simpatico! Io invece sono tonto e non ho ancora capito il problema con Nicodemo: intendi dire che c’è un altro Nick Names?
Caro Nick, questo non dovrebbe essere un saloon. O ci si picchia davvero o non ci si picchia proprio. Montanari e Governi sono due scrittori di valore. E hanno un certo carattere. Un caratteraccio? Va bene uguale. Almeno si sono scambiati le loro “cortesie” con nome e cognome. Ah, leggetevi “Il calciatore” di Governi, per esempio: io l’ho fatto. L’ho trovato in economica, è un libro che ha venduto. Anche perchè lo meritava proprio.
Si Raul c’è un altro Nick, l’originale si firma con Nick Names maiuscolo e ha sempre lo stesso indirizzo mail e in più è simpatico, l’altro è un falso, ogni tanto compare, sembra simpatico ma non lo è. :-))
Onde evitare questioni non sono il servizio
antipuffi, mi sono abituata a leggere gli indirizzi mail per capire chi sta parlando. :-P
eddài, gabriella, non essere antipatica, tu, piuttosto ;-)) nick e Nick, è tutto un gioco, quale falsità! siamo compari o chi lo sa!
Io nella sfida Governi vs Montanari tengo per Raul perché Governi rappresenta Lodoli essendo suo amico già da tredici anni e Lodoli tenta di rifilarci Stefano Di Stasio e Marco Tirelli, due pittori profondamente inizio anni ottanta, come maestri della spiritualità senza tempo. Per me questo è abbastanza per rigargli la macchina a Lodoli, e quindi anche a Governi.
Ah, ho capito Nick o nick, una sorta di Gollum della rete! Potevi dirlo subito, mi stanno molto simpatici i dissociati e i compari, giuro. :-))
Non so chi sia, nicodemo nanomico, ma va bene. Gli è piaciuto il (nick)2 e ogni tanto s’affaccia. Cmq ciao nicodemo, io ti chiamo così per disambiguare il gioco… te cerca di tener alto l’onore dei nicks, però.
Ho ubbidito alle richieste di gente sensata e affettuosa, e ho scritto a Governi. Ci siamo spiegati. Lui chiede le mie pubbliche scuse sulla faccenda del leccaculo, che gli faccio con tutto il cuore. Naturalmente non ho elementi per dire che Governi è un leccaculo, non conoscendolo se non per informazioni indirette. La sequenza, come gli ho appena scritto e come chiunque può verificare, è stata questa:
1. Lodoli scrive delle cazzate, dimostrando di non conoscere la produzione mia e altrui (tipico: loro leggono quasi solo gli autori della loro generazione, noi leggiamo loro e ci leggiamo fra di noi. Con molte eccezioni, ovvio) e di sentirsi ugualmente intitolato a dare giudizi, perdipiù con un tono da vecchietta in gramaglie inconcepibile (le “brutture del mondo”!!!).
2. Io gli do sulla voce “brutalmente”, ma era ora che qualcuno lo facesse.
3. Tu intervieni su di me. Non difendi Lodoli con argomenti: attacchi me.
4. Io prendo il cannone e sparo, passando palesemente dalla parte del torto, e di questo hai ogni diritto di chiedere le mie scuse.
Io non chiederò le scuse di Governi per il “testa di cazzo”, perché provocato. Non chiederò quelle di Lodoli per la supponenza con cui ha parlato di me, di tutti noi, e per la maleducazione con cui si è poi rifiutato sostanzialmente di rispondere ai miei argomenti, facendo l’offeso solo perché era in evidente imbarazzo. Vecchia tattica che funziona sempre. Lodoli si tenga le sue opinioni e non si scusi con noi, non c’è problema. Non sa cosa perde a non leggere Biondillo e Franz, per tacer degli altri.
Ciao a tutti, vado via qualche dì.
E se io lettore semplice sentendo Lodoli lodare così esageratamente Stefano Di Stasio avessi fatto un viaggetto a Roma per vedere una sua mostra (500 km) e quindi trovarmi di fronte all’ennesimo epigono del surrealismo tutto citazioni e poca farina del suo sacco? E se avessi rinunciato, per farmi quel viaggetto, a sentire una conferenza della Benedetti magari intitolata “C’è molta più arte tra la terra e il cielo…”, spinto anche dal credito che Governi dà a Lodoli?
Cioè io lettore semplice quando mi trovo di fronte un mediatore culturale che media male, che media come vuole perché col passare del tempo gli è venuto l’Io ipertrofico, con chi me la posso prendere?
Io le scuse di Lodoli le voglio. Voglio anche quelle di Governi.
Non mi ascolteranno perché sono un lettore semplice, perché nel loro mondo autoreferenziale l’ordine del discorso è fondamentale, ma quelle scuse le chiedo lo stesso.
Montanari, sinceramente mi pari un po’ fuori di testa. Insisti sul fatto che io non leggo gli autori più recenti: ma quando mai ho scritto una cosa del genere? Li leggo eccome. Punto e basta. Su questa fissazione paranoica hai costruito un discorso del tutto insensato, fatto di insulti e piagnucolose recriminazioni. Io ho partecipato educatamente a un dibattito, dicendo la mia, che può non piacere ma che non deve essere strumentalmente fraintesa. Ho l’impressione che ci sia un astio pregresso, che la questione sia un’altra, anche se non capisco qual è. Per quanto riguarda i tuoi appunti sulle mie contraddizioni, ti consiglio di rileggerti qualche autore russo, Tolstoi o Pastrnak, Esenin o Cechov: in loro è evidente il contatto tra il basso e l’alto, tra il disordine e il senso, tra il mondo e l’anima. Sono pressocché la stessa cosa, senza dualismi.
Per quanto riguarda il carico di monnezza che hai scaricato su Governi, fai bene a scusarti e a coprirti il capo di cenere. Governi è una persona generosa e disinteressata come pochi altri nel mondo della letteratura, è fuori da ogni bega.
A Barbieri non so cosa dire. Più che le scuse gli offrirei una pasticca di bromuro. Faccio i nomi di due artisti che mi piacciono e lui si offende a morte, sbraita, ulula, minaccia, perché? Non capisco proprio.
Comunque ho capito di non essere bene accetto in questa nazione. Ogni volta che intervengo, vengo sommerso di improperi. Fa niente. Prendo la mia giacchetta, saluto, accosto la porta e me ne vado. State pure tra di voi, senza stranieri.
Dai Marco… se te ne vai poi con chi giochiamo allo schiaffo del soldato? ;-)
E poi questa era un po’ una festa organizzata a casa mia. Se uno dei miei ospiti ha pisciato contro il tuo paltò non è esattamente colpa mia… andandotene offendi il padrone di casa.
Ché poi questi simpatici autori di genere russi li abbiamo letti tutti e ci sono piaciuti assai. Abbiamo, quindi, gli stessi gusti (o quasi), mi pare.
E anche tu, Andrea… Se hai problemi con Di Stasio (oddio, ce li ho anch’io ma questa è un’altra storia) non prendertela con Lodoli. Se uno ti consiglia un film non sei obbligato ad andarlo a vedere. Cerca di esercitare il tuo diritto alla scelta, lascia perdere i “mediatori” (sta diventando una scusa per tutto. Secondo me alla Benedetti se le davano 10 centesimi ogni volta che nominavano la parola ora era ricca).
Bella discussione, non trovate?
G.
Gianni ho sempre dei problemi con chi si presenta con la teoria dei massimi sistemi in mano.
Ora Lodoli scrive:
“Faccio i nomi di due artisti che mi piacciono”
prima scriveva:
“comunicano immediatamente il senso di un rischio. Osano totalmente, si mettono in gioco totalmente per andare oltre il muro. Se va male c’è la rovina”
e in questo quadro ci infila Di Stasio e Tirelli, che
“Hanno una tensione dolorosa, magari non si occupano di gialli, però mi costringono a pensare a qualcosa di più grande dei miei soliti piccoli pensieri.”
Quindi non sono solo due artisti che gli piacciono ma i comunicatori dell’assoluto. Ora anche per te, Gianni, questo è un giudizio bislacco no? E va be’, se ne sentono tanti dirai. Solo che a me dà fastidio: 1) sentirlo con quel tono profetico, 2) che il vate Lodoli non dia udienza alle critiche. Scusa Gianni, ma io il trombonismo non lo reggo. La critica di Montanari a Lodoli, di essere supponente, la condivido e quindi come dice Lodoli, mi offendo a morte, sbraito, ululo, minaccio (e aggiungo io, sono contento di farlo). Di conseguenza per Lodoli merito il bromuro.
Invece non merito nessun bromuro, la supponenza di Lodoli c’è eccome (anche in quel saluto: “state tra di voi, senza stranieri”); l’ordine del discorso anche (la battuta del bromuro la fa a me non a Montanari che davvero ha sbraitato).
Lodoli non sta qui a capire e farsi capire, come fino a ora Scarpa, Voltolini, la Benedetti, Montanari (ovvio, ha di meglio da fare).
Una cosa ancora sulla battuta dei mediatori. Non so se la Benedetti abbia pronunciato troppe volte la parola mediatori (non riesco a figurarmi il numero corretto), però sono sicuro che “Il tradimento dei critici” è un libro coraggioso, che per scrivere un libro così coraggioso bisogna avere una certa tenacia, essere un “rompiscatole”, e di conseguenza, in questi tempi, apparire un po’ stupido. Meglio una pizzata no?
Biondillo, sei patetico…
Biondillo, fai senso anche a me. Ma ti guardi? Ti leggi? Pensi di essere una persona equilibrata, e non t’accorgi che la tua è una micidiale aggressività passiva. La peggiore.
Beh, a me dispiace se Lodoli non interviene più. Le cose che ha detto sui contenuti e sulla ricerca in letteratura mi interessano molto e poi che senso ha la parte finale della discussione? se la pensassimo tutti allo stesso modo non ci sarebbe dialettica, vorrebbe dire che siamo omologati e allora si che sarebbe alquanto triste. Qui una volta si è massacrato un film che per me è un capolavoro(L’eredità) e l’ho visto lo stesso, per fortuna. Alla fine ognuno sceglie cosa leggere e quali artisti apprezzare, e perché mai ci si dovrebbe irritare se un critico consiglia una cosa piuttosto di un’altra? Per quanto mi riguarda non ritengo i critici infallibili o esseri semi divini, metto in atto il mio di senso critico e mi confronto con il loro pensiero. Sarò un po’ retorica, ma a volte certe querelles pseudo intellettuali sono proprio ammorbanti!
saluti
A quabto leggo avete fatto le ore piccole. Bravi.Volevo dire a Ribot che quella dell’aggressività passiva me la devo segnare.;-) Cazzo, le due o tre volte che ho bevuto una birra (si, scusate, sempre cò ‘sta birra, è vero) con Biondillo mi sembrava tutt’altro che aggressivo passivamente… Biondillo è un dobermann… Perchè non aggiungete che é anche un pò nazista? Nazista passivo? Ma dài ragazzi, le persone vanno conosciute per poterle giudicare, non trovate?
Il limite del web sta in questo. Dobbiamo tenerne conto, prima di sparare le ns parolone. Io per primo, che a volte non ho proprio voglia di intervenire perchè un pò nauseato dai battibecchi che portano solo l’amaro in bocca. A chi battibecca e a chi assiste.
E così per Montanari (che dovrebbe essere meno permaloso e fregarsene un pò di più)
E Lodoli che ha pisciato un pò fuori dalla tazza? E’ vero. E allora? Ci stiamo scannando per dei giudizi. Governi che ha fatto un tackle scivolato che, ne sono certo, non voleva provocare quel bailamme; e poi s’è giustamente incazzato, e di brutto, per quegli insulti. Seguite l’esempio di Gabriella, andate a vedere i film, leggete i libri ecc. senza farvi impressionare dalla critica. E così per tutto. Ognuno di noi ragiona (e a volte sragiona, vero?) con la sua testa. Diamoci un taglio e passiamo ad altro. Da una discussione sul noir siamo passati a una discussione “noir”. Siamo tutti dei “vilain”. Ma chi è il colpevole? La butto lì:forse proprio il web.
Arpa D’Erba e Ribot: grazie, grazie… detto da voi poi… grazie ancora. Della vostra opinione me ne fregio.
G.
Ma veramente quella di Lodoli vi pare “critica”? Curiosità, anche la stroncatura di Angelo Guglielmi alla prima parte dei Canti del Caos, quella su TTL era “critica”? E io, siccome vorrei ribattere alle idee di Lodoli sono da bromuro? E qui siamo tutti pecoroni?
Scusate a me sembra di risentire gli Zibaldoni.it o come cavolo si chiamavano.
Andrea,quello della critica è un problema vecchio come il mondo dell’arte, lo sai bene.
C’è Biondillo che è stato da poco “criticato” da un famoso purosangue defunto, il più grande della storia dell’ippica. Cosa dovrebbe dire, lui? ;-)
Ma no, Andrea non sei da bromuro e non siamo tutti pecoroni. Il fatto è che se appena uno esprime la propria opinione parte l’insulto, a me pare di essere in recinto per addomesticare i cavalli. E io non voglio essere addomesticata, se un autore mi regala emozioni, possiamo stare a discutere cento anni ma continuerò a provarla, l’emozione non viene dalla testa e tu puoi stare a ragionare per convincermi, alla fine avrò acquisito un punto di vista diverso ma la mia pancia continuerà a darmi lo stesso segnale. Un po’ ingenuo come discorso ma va bene così.
Biondillo scusa. Ti apprezzo come scrittore però a volte questo tuo fare finta di niente, di cambiare discorso e di buttarla a tarallucci, mi puzza. Ma è una cosa mia. Magari tu nella vita sei più frontale e coraggioso, che ne so. Comunque scusa.
E vabe’ Franz, tu sei più saggio e alla fine mi convinci, ma che ribot sia matto come un cavallo ok, mentre Lodoli, cavolo Marco Lodoli, sentirlo così bah! Quando lessi Italiana, un’antichissima antologia di mondadori, il suo era il racconto che mi era piaciuto di più, una voce sensibile, molto bella. Ora a pontificare, ne conosco un altro che vuole fare i ponti :-)
Ecco, nel frattempo anche Ribot si rivela ragionevole.
A questo punto speriamo in un’apertura lodoliana.
Ribot, avessi una tua email ti spiegherei privatamente perché mi comporto così.
Ti dico solo che ho smesso di incazzarmi per le puttanate al terzo ricovero per ulcera sanguinante. Il medico mi ha fatto capire che non ne valeva le pena, che era meglio concentrarsi sulle cose serie.
Mi tolgo il cappello di fronte alle tue scuse. Insultare è sempre più semplice che chiedere scusa, soprattutto se si indossa la maschera dello pseudonimo. Hai stile.
Gianni
Ribot, bene, ti fa onore questa tuo ultimo post. Io Biondillo lo conosco. Lui non butta a tarallucci, credimi; lui cerca di stemperare le questioni con l’ironia: e questo è molto, molto diverso. Il coraggio non c’entra niente, se permetti. Nella vita Gianni lotta duramente come tutti noi, con coraggio.
Si, Andrea, farebbe piacere anche a me che Lodoli tornasse qui a discutere. Parlavamo di noir, che è un genere che non può più essere guardato come fenomeno vacanziero.
Negli anni 30 Dashiell Hammett scriveva dei capolavori. Hard boiled school. L’antesignano dei vari Ellroy ecc. Li scriveva a puntate sui giornali. Indicavano anche i tempi di lettura: 85 min. e 35 sec. ecc. Proprio così. Come scriveva Hammett? Da dio. Il noir è sempre stato alla pari col resto. Si parla di ammazzamenti? C’è la vita anche lì, pulsante, narrata con uno stile secco e al contempo “visivo” che ha pochi eguali.
E aspettiamo il ritorno di Raul tra qualche giorno.
E di Governi.
E Hammett era comunista, negli Stati Uniti dell’epoca. Altro che disimpegno…
G.
lodoli secondo me diceva una cosa interessante quando rifiutava la separazione fra prosa e poesia (che non sono “generi” ma “forme”, quindi suscettibili di interferenze reciproche). sappiamo tutti che la “narratività” è la grande sfida della poesia moderna, e che il romanzo del 900 si è formato sulla/con la poesia (un esempio a caso: la morte di virgilio di broch – o l’uomo senza qualità, quell’ottimo giallo…).
per il poco che so del genere poliziesco, mi sembra che anche scrittori consapevoli come chandler o ellroy lavorino – fra l’altro – per “sottrazione” rispetto alla funzione lirica (soprattutto in ellroy, trovo il risultato di grande bellezza; nei suoi libri migliori, ogni frase è un diamante). forse, più che per “generi”, sarebbe comodo riflettere in termini di (mi esprimo male) “fasce” di lingua e di esperienza, di ampiezza di connessioni. poco pratico dal punto di vista editoriale, certo.
Scusa ancora. Usala questa cosa del sanguinamento e dell’ulcera nei tuoi libri. E’ potente.
Ciao.
Già, hammett era comunista negli USA di quel tempo, è stato in galera ai tempi del maccartismo. Ha scritto 5 romanzi, il resto sceneggiature per la tanto vituperata Hollywood (dove, accanto al 95% di stronzate, per esempio nel 51 il produttore e regista Albert Lewin – come ho scritto nel colonnino di Liala, con la quale Lewin c’entra come i cavoli a merenda- s”arrischiava, con divi come Ava Gardner e James Mason- a girare melò surrealistici
d’avanguardia…).
Quello che dice Andrea Raos è molto importante, davvero. Si può ripartire da lì.
Esatto, Andrea (Raos). La questione della lingua, poi, è LA questione nella letteratura italiana.
Torno a dire: fermarsi al genere è fermarsi alla superficie. Entriamo dentro e parliamo di forma, struttura, lingua, connessioni, “poeticità”, “narratività”. Inevitabilmente parleremo, quindi, di particolare, universale, vita, morte, immanenza, eternità, etc., etc.
Il romanzo, poi nei fatti, è cosa moderna, ha circa 2 secoli e mezzo di vita.
Hugo era poeta o romanziere?
G.
…e 100! (scusate, è stato più forte di me)
A me invece è piaciuto “della vs. opinione io me ne fregio”. Chissà se è già stato usato, se è modo di dire in uso c/o clan suburbani, se è originale o cosa, perché è una buona risposta. Scritta. Verbatim rischia di non essere colta.
Cmq.
Che c’è dentro “Meccano” by Arpanet? Ha qualche relazione col noir/giallo? e perché, dato che gli indi sono coinvolti, e c’è pure un’iniziativa per tristi inediti, sotto, non ne fate parola in un post a Giugno? Poi basta qui: questa discussione è rimasta sospesa a cavallo tra due mesi, mi si scliccano i polpastrelli a recuperarla ogni volta. Bye.
“Me ne fregio”. Quel genio di Ettore Petrolini lo disse, sotto il fascismo, quando gli diedero una onorificenza.
G.
Dentro “Meccano”, Nick, ci sono dei bei racconti e delle belle poesie di autori inediti. Di più, come direbbe quel “genio ” di Martufello, “ninsò”.
Sfiancate. Angelo Guglielmi è sfiancante. Anche oggi su TTL ha scritto:
“E l’algido Balestrini, che quel compito sa svolgere al meglio ( nota mia: interrogare le parole come campo di forze su cui si regge il mondo), in quanto scrittore svela a sorpresa una natura passionaria (nel senso di passione per la vita e le sue avventure storico-sociali) oggi per lo più ritenuta obsoleta e inattuale (soprattutto tra gli scrittori). Se pur sorprende così è.”
Così è?!? Sorprende ma così è??? Di libri recenti che interrogano come dice lui le parole, e di scrittori italiani, ne ho abbastanza da murargli il portone di villa Guglielmi. Allora vi chiedo (Biondillo Franz Gabriella) come posso sfogarmi per un mediatore (spiacente G. Biond ma questa è la parola esatta) che non media ma svia (verso i suoi amici). Mi è venuto in mente un premio per la critica analogo al tapiro d’oro, e siccome premierebbe quelli che se la suonano, lo chiamerei cornamusa d’oro, anzi premio “cornamusa d’orata”. Biond che è architetto potrebbe progettare l’oggetto.
Potrebbe essere un’idea.
Dell’argomento si argomentò a suo tempo, parlando di padri e di padristi. Io, fra le altre cose, dissi che bisogna aspettare. tanto poi muoiono pure loro.
G.
Caro Lodoli, complimenti per la tenuta nervosa.
Come tutti, io nelle polemiche di NI mi sono beccato insulti di ogni tipo (e anche una cinquantina di virus), ma non mi sono mai messo a frignare come te, non ho mai sbattuto la porta (né l’ho chiusa educatamente).
Già in un’altra occasione, mesi fa, ti eri impermalito perché qualcuno (non io) aveva eccepito a una tua esternazione, e avevi detto che da quel momento in poi non saresti più intervenuto nei Commenti e ti saresti fatto postare da Scarpa o altri (come dire: i miei amici capoclasse).
A proposito, grazie della lezione di alta letteratura; se poi trovi una sola sillaba “piagnucolosa” in quello che ho scritto sei pregato di isolarla dal resto e darmene contezza.
Le mie scuse a Governi le rinnovo volentieri. Sul fatto che sia persona “fuori da ogni bega” ho qualche dubbio, giudicando l’intervento a gamba tesa che ha fatto su di me, che non mi ero affatto rivolto a lui nel mio commento a quello che tu avevi detto.
Ma esiste qualcuno “fuori da ogni bega”? Nel periodo in cui ero più amico di Milo De Angelis passavo metà del tempo a medicare le coltellate che si era preso dai colleghi e l’altra metà a frizionargli la spalla che lui a sua volta si slogava tirando coltellate. Questo tanto per citare non solo un poeta su cui siamo tutti d’accordo, ma anche una persona con una qualità speciale, quasi angelica.
Mi dispiace, Lodoli, la brutta figura la fai tu. La figura del disinformato, anzitutto. Figuriamoci se qualcuno si aspetta che tu “scriva che non leggi gli autori contemporanei”! Ma chi sarebbe così fesso da “scrivere” una cosa del genere? Sono gli esempi che fai e il discorso generale che proponi a far sorgere dei dubbi, diciamo così. Molti dubbi.
Non siamo una banda di idioti (titolo di un romanzo di genere), e abbiamo capito benissimo il senso e le premesse del tuo intervento. Che la maggior parte dei miei colleghi e amici siano stati più diplomatici di me deve farti legittimamente piacere perché testimonia il rispetto in cui ti teniamo, ma non cambia di una virgola il succo della questione. Se pretendevi di venire qui ed essere preso per la Pizia, non è cattiva cosa che tu ti sia accorto di avere sbagliato calcolo.
E con ciò ti saluto.
“… La Pizia soleva rispondere con un semplice sì e no, dipende…; quel giorno però l’intera faccenda le parve di un’idiozia veramente intollerabile, …”.
Caro Raul (mi permetto),
meno male che ti arrabbi (16:00. Non erano nemmeno passate le cinque!) e ti diverti a far sbiancare con profezie “insensate e inverosimili” il tipo maldestro… tranquillo,non siamo tutti creduloni straordinari.
Per i virus c’è rimedio.
Altri mali non ne hanno…!
Mamma mia quanti commenti!
Poche cose, e piuttosto confuse.
I generatori di generi.
Cosa vuol dire essere di genere? Crearsi una nicchia riparata fatta di stereotipi, personaggi chiave, alcuni obbligatori snodi della trama, un’atmosfera e mettersi chini e pazienti a lavorare d’incastro per riuscire a catturare l’attenzione intorno a questa placida palude? Così poi il lettore (quel fesso) non avrà nulla da obiettare perché avrà trovato esattamente ciò che voleva trovare.
Se ciò che stiamo chiamando genere è questo, tanto vale smetterla di lambiccarsi. Se è un criterio tanto estrinseco che cosa possiamo farcene? Può andar bene per la sociologia… sicuramente al suo interno si potranno anche sfornare “buoni” libri o “buoni” film, non lo metto in dubbio, ma…per il resto? Se fra Chandler e il noir vince Chandler non sarebbe il caso di dare partita vinta e smetterla di invocare un altro set? E così per Dick, Hammett, Ballard, Lem…
Se A.I. non ho timore di definirlo un film Sf mentre con 2001 non mi sognerei neppure lontanamente di farlo, qualche cosa vorrà pur dire, no? E se vi chiedono il genere dei film di Bergman cosa rispondete? E Ordet (fortunati coloro che lo hanno visto) di Dreyer che cos’è?
Se un autore non si può “genericamente” descrivere non bisognerebbe dargliene atto e godere della complessità che ci restituisce?
Che poi ci siano autori (Kubrick, Godard, Tarantino, Von Trier) che hanno utilizzato il genere per superarlo (traslitterarlo), questo che cosa dovrebbe provare? E se io scrivessi un grande romanzo ispirandomi ai comizi dell’On. Antonio Di Pietro (che Dio lo preservi), questo che cosa significherebbe? Ciò che più mi dà fastidio nei cultori del genere è lo stupor mundi artefatto e finto–ingenuo, quel loro pacifico adagiarsi sui topoi (leptospirosi permettendo… Zeus mi fulmini se la battuta non è triste), quella loro sterile supponenza aneddotica (“Ma tu lo sai che Kubrick ha telefonato a Mario Bava per risolvere i problemi dei riflessi sui caschi degli astronauti”?…. E così da Bava (citato fra l’altro da Deleuze nell’Immagine–movimento) siamo arrivati a Franco e Ciccio, che qualcuno ha invocato). Se il genere è questo, davvero nulla ha a che fare con quella rilkiana apertura anemonica, con quell’”accoglimento infinito” del poeta, di cui parla Blanchot e siamo lontanissimi da quell’”essere senza involucro, aperto al dolore/ tormentato dalla luce, scosso da ogni suono” (Rilke). E così siamo arrivati al mondo, solo per chiedere dove sta scritto che uno debba rovesciare il mondo (internet, la guerra in Iraq, la pecora Dolly, i reality–show…) sulle pagine che scrive. E poi quale mondo è davvero il mio, e quale non lo è, e chi dice che il modo migliore per fare letteratura sia di affidarsi al principio azione/reazione (dagli intimisti ai vitalisti, e viceversa; dagli ombelicali ai grandguignoleschi e così via…)? Forse troppi punti interrogativi, ma non sono mai troppo sicuro; ho la sensazione, però, che assieme a me anche il Benjamin assertore dell’arte come “incessante attesa del miracolo”, avrebbe avuto qualche perplessità…
Maldoror, apri molte parentesi ma pare che non ne chiudi alcuna. Al punto che mi sembra di essere d’accordo con te ma non ne sono certo.
Peccato che giungi solo ora, ché qui non ci verrà più nessuno a interloquire.
Ma io ci sono, se vuoi chiarirmi.
ciao, G.