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Il pastore precario

di Aldo Nove

sardo.jpgDomenico ha 44 anni, 200 pecore, una moglie e tre figli. Fa il pastore a Siniscola, in provincia di Nuoro. E’ un pastore di nuova concezione. Un pastore precario. La sua è la storia di un cortocircuito storico vissuto sulla propria pelle, su quella della sua famiglia e dei suoi amici. E’ la storia di una tradizione millenaria che crolla, rischiando l’estinzione, di fronte a una modernizzazione che non ha pietà né della storia né di una sapienza “altra”, che ha la sua radice nella notte dei tempi e la sua fine nelle politiche di sfruttamento che stanno devastando la Sardegna e l’Italia intera.

Cosa vuole dire, oggi, in Sardegna, fare il pastore?

Morire di fame, vuole dire.

Perché?

Perché fino a qualche anno fa riuscivamo a mantenere la famiglia, e anche a mettere da parte qualche soldo. Adesso non riusciamo a sopravvivere. Quindi moriamo di fame, non è un modo dire. Scrivilo, sul tuo giornale.

Cosa è successo?

Il prezzo del latte di capra, al litro, è passato da 1700 lire a circa cinquanta centesimi di euro. Non so se ti ricordi quando hanno fatto vedere in televisione le proteste per le quote latte in Lombardia…

Era il 2003, se non sbaglio…

Sì, è stato il momento in cui in Italia c’è stata attenzione verso questo problema. Ma a protestare erano allevatori di bovini molto ricchi. Con la lira avremmo detto che erano miliardari, adesso diciamo che sono milionari, ma sempre ricchi sono. Era una protesta di ricchi contro altri ricchi. La realtà della Sardegna è completamente diversa. I pastori non sono milionari. Con l’entrata dell’euro sono saliti alle stelle i prezzi dei mangimi, delle attrezzature, mentre il nostro latte veniva pagato la metà. Il doppio delle spese, la metà di guadagno. Ma non se ne è parlato. Non siamo andati a occupare gli aeroporti. Eppure sai quante persone lavorano nella pastorizia, in Sardegna?

No.

Siamo in più di cinquantamila. E poi ci sono le famiglie, tutti quelli che in qualche modo collaborano al nostro lavoro. Tu hai sentito qualcosa, a livello nazionale, di cosa sta succedendo qua?

Non tanto…

Siamo completamente abbandonati. Tutto il nostro lavoro è svalutato. La pastorizia è stata da sempre il motore trainante della Sardegna, ma sta morendo, nell’indifferenza generale. Della Sardegna si parla quando Briatore fa le sue feste alla Costa Smeralda, allora sì che se ne parla…

Torniamo a te, alla tua storia.

Faccio, come molti in Sardegna, il pastore a tempo pieno. Ho 200 pecore, acquistate anche con i soldi che mi ha lasciato mio padre, morto di silicosi a 56 anni in Belgio, dove era emigrato negli anni Cinquanta per fare il minatore. Comunque, mi alzo alle cinque del mattino, vado al pascolo e ogni giorno mungo il latte e lo verso a quelle bestie maledette degli industriali.

Perché bestie maledette?

Perché prima sono stati foraggiati da contributi statali, dalla Regione e con l’appoggio dei sindacati di categoria. Loro si sono fatti le aziende, si sono ristrutturati i caseifici, hanno ricostruito tutto nuovo secondo le normative europee. Dopo essere diventati delle potenze, si sono presi in mano la gestione totale del mercato del latte e se lo giostrano come gli pare. Noi siamo ridotti a schiavi.

Schiavi?

Sì, schiavi. Perché è proprio in questo meccanismo che il nostro lavoro diventa precario, anche se le pecore sono nostre, anche se siamo lavoratori autonomi con partita IVA. Gli industriali decidono il prezzo del latte secondo il loro assoluto comodo, e ce lo comunicano quando gli va. Noi, come forza contrattuale, non esistiamo. Non c’è nessun regolamento che tuteli le ultime ruote del carro, che poi sono quelle che il latte lo fanno, siamo noi pastori.

Pastori con la partita iva…

Liberi imprenditori iscritti alla camera di commercio. Produciamo il latte e poi lo versiamo agli industriali ai prezzi che stabiliscono loro. Lo versiamo tutto, c’è la Finanza che controlla, e se il latte non lo verso tutto vuole dire che sono un evasore, perché allora si presume che il latte non versato lo abbia trasformato, in nero, in formaggio e venduto, e questo basta per rendermi un delinquente.

Quindi, tu puoi solo fare il latte e versarlo…

Esatto. Secondo le regole del cartello del latte stabilito dagli industriali in accordo tra loro.

Mi spieghi come funziona questo meccanismo?

A novembre, quando inizia la campagna del latte, dopo che si sono ammazzati gli agnelli, gli industriali fanno il giro di tutta la Sardegna, si mettono d’accordo e noi, messi con le spalle al muro, dobbiamo accettare il prezzo che ci viene imposto per versare loro il latte. Lo dobbiamo fare per legge, non c’è scelta, a meno, come ti dicevo prima, di diventare un evasore, di non rispettare le quote latte.

Ma nessuno vi tutela?

Assolutamente nessuno. Né la regione, né lo stato e sicuramente non l’Europa, che ci ha massacrati completamente. Tanto per dire, dal 2003 al 2005 le rapine in Sardegna sono cresciute del 60 %. E c’è un rapporto tra le rapine e la gente che non riesce più a vivere del proprio lavoro. La gente è esasperata. C’è gente che fa di tutto per poter campare. Tutto questo mentre dipendiamo da associazioni a delinquere che nessuno si sogna certo di colpire, sono troppo potenti, troppo intoccabili.

Quali associazioni a delinquere?

Le banche. Che ti offrono i prestiti per iniziare le attività. Gli interessi restano uguali mentre i proventi del latte e anche quelli della carne si sono dimezzati. Così nessuno riesce a pagare le banche, così si finisce in mano agli strozzini o si delinque. Con il ricavato del latte oggi riusciamo a sopravvivere, dico sopravvivere, con la mia famiglia, una ventina di giorni al mese. Se va bene. A volte nemmeno venti giorni. Mentre cinque o sei anni fa…

Cinque o sei anni fa?

Cinque o sei anni fa arrivavamo a fine mese e riuscivamo a mettere via qualcosa. E’ stato allora che molti hanno acceso dei mutui che adesso non possono più pagare. Una soluzione disperata è vendere il bestiame. Ti entrano dei liquidi, subito. Poi entri nel nulla. Perché altro lavoro non ce n’è. Così un pastore sardo oggi può scegliere tra morire lentamente, strozzato dagli industriali e dalle banche, oppure può farlo rapidamente, svendendo il suo capitale, gli animali. La terza via è la delinquenza, per disperazione.

Non ci sono altre possibilità?

Le fabbriche sono tutte chiuse. In estate posso cercarmi un lavoretto di qualche mese. Quando non si munge, ci si adatta. Ad esempio facendo il manovale. Chi è in grado di farlo lo fa. Gli altri muoiono o rubano.

Mi parli della tua famiglia?

Ho moglie e tre figli piccoli, che vanno a scuola. Mia moglie non lavora, anche perché lavoro non ce n’è. Certo che c’è una tensione altissima. E quando ti trovi di fronte a un’industriale, che ti ricatta legalmente, con l’appoggio delle banche e dei politici. Pochi industriali che gesticono tutti i nostri averi, con buone riserve economiche, con la possibilità di fare quello che vogliono. Pensa a quanto costa un litro di acqua, una qualunque acqua minerale di qualunque sorgente…

A Milano, costa più o meno un euro…

Ecco, vale di più del nostro latte. Un litro di acqua viene pagato anche un euro. Un litro di latte di capra, con il lavoro del pastore, la metà.

Il latte prodotto dal pastore sardo vale la metà dell’acqua…

Esatto. Ci viene comprato per una miseria, il latte, e poi lo esportano in Turchia, dove viene lavorato e poi riportato in Italia e venduto come formaggio sardo, con sopra la bella etichetta del pastore in costume tradizionale, magari con il nuraghe dietro… In Sardegna, dopo migliaia di anni di produzione di latte, non siamo riusciti a mettere un marchio di denominazione di origine controllata. Tu sai che il parmigiano reggiano è prodotto in Emilia. Il formaggio sardo, invece, non lo sai, ma è prodotto in Turchia. E poi c’è il gioco degli intermediari…

Quale?

Prendiamo la carne. Da noi viene acquistata mettiamo a 100. Passa attraverso un intermediario e arriva alla vendita al minuto. La carne che parte da qua e arriva alla vendita al dettaglio, nel resto d’Italia, a questo punto costa 400. Con il latte è uguale. E’ un po’ quello che succede con i pomodori in Sicilia…

Quanto guadagni al mese?

E’ difficile dirlo. Non abbiamo uno stipendio fisso. Un pastore è legato al tempo atmosferico. Se piove e cresce erba hai più latte, se non piove l’erba non cresce e latte non ce n’è. Posso provare a fare una media. Qualche anno fa si poteva arrivare a una cifra tra i due e i tre milioni di lire. Riuscivi a vivere e a mettere via due soldi. Adesso, sempre con un calcolo diciamo approssimativo, guadagni la metà, o un po’ meno della metà. Tu mi dicevi che stai facendo delle interviste ai lavoratori precari e flessibili…

Sì.

Ecco. Io, anche se faccio il pastore a tempo pieno, rientro nei lavoratori precari. Flessibili pure, perché oltre al pastore devo fare altro, quello che trovo. Ma precario lo sto diventando sempre di più. Lo sai da quando non mi pagano il latte?

Da quando?

Da gennaio. Siamo ad aprile e io, da allora, non ho visto una lira. Né so quando mi arriverà. Questa è un’altra delle novità di questi anni. Il produttore consegna agli industriali ma poi questi decidono loro, quando pagarti… Noi aspettiamo, telefoniamo ai caseifici che ci devono i soldi, ci lasciano in attesa mezz’ora con la musichetta, poi cade la linea, poi ritelefoniamo, ci dicono di ritelefonare domani, che il capo in quel momento non c’è, il giorno dopo non c’è ancora. Un pastore sardo da qualche anno passa una parte del suo tempo a ascoltare le musichette delle segreterie telefoniche.

E’ la stessa cosa che succede alla maggior parte dei neolaureati nelle aziende in cui vengono assunti, o meglio, impiegati…

Forse hanno anche i neolaureati hanno gli stessi problemi dei pastori. Del resto, i lavoratori cambiano, ma i capi sono sempre gli stessi. E da una parte ci sono quelli che diventano sempre più poveri, dall’altra quelli che diventano sempre più ricchi. Solo che i poveri aumentano, i ricchi diminuiscono. Siamo davvero stufi di questo andazzo. E tutto succede nell’indifferenza generale. Anche se della Sardegna si parla. E’ il posto dei culi nudi sulle spiagge. Dei miliardari che ci hanno colonizzati. Delle ville di Berlusconi costruite contro ogni legge ma coperte da segreto di stato. Dei villaggi turistici in mano a imprenditori lombardi e del Veneto. La Sardegna non esiste più.

In che senso?

Nel senso che è diventata un insediamento turistico. E la cosa più brutta è che in parte dipende da noi.

Da voi?

Da noi sardi, tutti. Con chi viene da fuori siamo estremamente gentili, ma tra noi non riusciamo a organizzarci. Anzi, non ci possiamo proprio vedere. Ma questo sarebbe il momento di cambiare, cambiare radicalmente.

Nel quotidiano, per reagire a questa situazione, cosa fate?

Proviamo a riunirci, noi pastori. Ma cordinarci da soli non è facile. Piccoli gruppi, spesso con screzi personali. Siamo tutti sulla stessa barca, pieni di debiti e senza nessuna possibilità di cambiare.

E quindi?

Un tempo la soluzione era l’emigrazione, ma anche emigrando dai racconti che mi fanno quelli che ci provano lavoro non ce n’è. Ci potrebbe essere, una soluzione, drastica ma efficace…

Quale?

Armarsi e bloccare tutti i porti e gli aeroporti della Sardegna! E’ un’idea che circola da un po’ di tempo. E chissà che non venga messa in atto. Basterebbero 3.000 persone. Per quindici giorni, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Tutto bloccato. Allora parlerebbero di noi. Allora si acorgerebbero che c’è una regione d’Italia che sta morendo. Una regione, un popolo, che sono stati scientificamente programmati per essere estinti. Nel silenzio dei mezzi d’informazione. Tu, che vieni dal Nord, sai qualche cosa della lingua blu?

La lingua blu?

Ecco. Non ne sai nulla! Non ne sapete nulla, della Sardegna, in Continente. Le informazioni sulla Sardegna si disperdono nel mare mediterraneo come pesci storditi. Sempre. Quella della lingua blu stata un’epidemia che ha sterminato un milione di pecore. Un milione di pecore! E tu non ne sai nulla. Mentre qui in Sardegna veniamo a sapere che in Cina le galline hanno il raffreddore, qua succede una catastrofe colossale e nel resto d’Italia non ne sa nulla nessuno. A me personalmente, per quell’epidemia, sono morte 140 pecore su 250. Una catastrofe.

Visto che le informazioni su questa epidemia non sono passate, o sono passate troppo poco, la riepiloghiamo adesso?

Improvvisamente, tre anni fa, le pecore hanno incominciato a morire, dicono per una zanzara arrivata dall’Africa, nascosta nei copertoni di una jeep, ma in realtà nessuno lo sa, il perché di questa epidemia. Le capre malate avevano tutte la lingua blu, da qui il nome della malattia, “blue tongue”. Sono stati provati tre o quattro vaccini, tutti sbagliati, e con i vaccini sono morte ancora più pecore.

Morte di vaccino?

Esatto. I vaccini tra le altre cose erano stati provati a Trento, con le pecore di lì, quindi di un altro ceppo. Così quando sono arrivati qui, e imposti per legge, hanno fatto ancora più morti. L’anno scorso hanno stanziato non so quanti miliardi, per la lingua blu: metà di quei soldi sono spariti nelle Asl, il resto è stato usato per un altro vaccino ancora, che ha fatto abortire le pecore e produrre latte non buono. Quindi c’è anche il business dei vaccini, che ha lo scopo di arricchire le Asl, le industrie farmaceutiche, massacrando noi. Facendoci fuori. Eliminando le nostre bestie e obbligandoci a importare la carne dall’Olanda e dall’Inghilterra. Se non è una strategia di sterminio questa.

Non pensi di esagerare?

No. La Sardegna ha 3.500.000 pecore. Più della Francia e della Spagna. La piccola Sardegna, con i suoi pastori, dà fastidio. E stanno cercando di farla fuori, di farla diventare un villaggio Alpitour. Con tante piccole leggi studiate apposta. Finanziando chi uccide i capi di bestiame. Finanziando chi lascia il pascolo a riposo. E la situazione dell’industria non è molto diversa.

Cioè?

Vengono stanziati contributi sostanziosi dalla regione per l’industria, e vengono industriali da Bergamo o comunque dalla Lombardia, si mangiano i contributi regionali, assumono persone che licenziano subito dichiarando fallimento e poi se ne vanno o riaprono in un’altra maniera, magari aggirando le leggi e riassumendo di nuovo le persone licenziate, dopo aver ottenuto di nuovo i finanziamenti. Intanto, i dipendenti sono stati illusi, hanno creduto in un futuro migliore e così di punto in bianco si sono trovati in strada, appena sposati, con un mutuo di quarant’anni da pagare, senza una lira e nessuna prospettiva. E poi l’edilizia, case costruite apposta in modo che non possano essere agibili per essere poi buttate giù e ricostruite peggio di prima. Tutto così. Chi se ne frega poi della storia della Sardegna, delle usanze millenarie del suo popolo. La Sardegna, oggi, nel mondo, è Briatore.

Ce l’hai particolarmente, con Briatore…

Diciamo che noi pastori sardi precari, e siamo molte migliaia di persone, lo faremmo volentieri allo spiedo. E’ ben nutrito, secondo me cuoce bene. Hanno comprato terreni per poche migliaia di euro da sardi disperati e hanno costruito i villaggi turistici per miliardari, dove i sardi non possono neanche entrare, se non come lavapiatti per tre mesi d’estate. Sono gli stessi miliardari che poi appaiono in televisione a dire che amano la Sardegna. Ma quale Sardegna?! Quella dei sardi che ti portano le ciabatte in camera?

Quale pensi che possa essere il futuro dei tuoi figli?

Catastrofico. Il figlio più grande, che ha quindici anni, studia all’istituto agrario. Prima lo portavo con me al pascolo. Ma adesso, con questa situazione… Comunque, mi piacerebbe che restassero in Sardegna, non buttare via le nostre tradizioni, i costumi che ci siamo tramandati per secoli. La vita in campagna è dura, ma è una vita autonoma, in contatto diretto con la natura e le sue leggi. E’ un lavoro che a me soddisfa. Sei padrone di te stesso. Vivi in un mondo vero, lo stesso in cui vivevano tuo nonno e il nonno di tuo nonno. O almeno lo era, vero. Ora le cose, per i miei figli, sono cambiate. Insomma, per ora vorrei che si diplomassero, almeno. Poi ci vorrebbe l’università, ma per fare l’università ci vogliono soldi, e noi non ne abbiamo. Ho paura, per i miei figli. La disperazione può portare a azioni davvero drammatiche. Ad esempio un mio amico, con la famiglia a carico, un buon lavoratore, uno che non aveva mai sgarrato, una persona onesta, a un certo punto non ce l’ha fatta più. Doveva mantenere i suoi bambini.

E cosa ha fatto?

Ha preso una pistola, e è entrato in banca.

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Pubblicato su Liberazione, aprile 2005

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19 Commenti

  1. Copio-incollo, con vari omissis, un curriculum arrivatomi nei giorni scorsi come ex responsabile delle edizioni Libri Molto Speciali:

    CURRICULUM VITAE DI ***

    Dati personali: Nat* a
    Il*** 1980
    Residente in Via***
    Telefono: cellulare*** casa ***

    Istruzione: – 1994/1999: Liceo Scientifico *** Punteggio conseguito: 100/100
    – 1999/maggio 2004: Facoltà di Sociologia presso Università degli Studi di ***. Punteggio conseguito: 110/110 lode.
    – Settembre 2002/ Giugno 2003: Anno accademico trascorso presso *** College di***
    – Patente ECDL per computer

    Lingue conosciute: – Inglese: scritto e parlato, livello ottimo
    – Spagnolo: scritto e parlato, livello ottimo
    – Francese: scritto, livello elementare; parlato, livello buono

    Esperienze professionali:- Estati 1998 e 1999, lavoro stagionale agricolo presso fam.***
    -Settembre 1999/ Giugno 2000, ripetizioni a bambini e ragazzi (soprattutto per Latino, Matematica e Inglese)
    – Estate 2000 (maggio/settembre), cameriera presso Gelateria ***
    – Settembre 2001/ Luglio 2002, cassiera/cameriera/ aiuto pizzaiola presso Pizzeria “***”, P.zza ***
    – Ottobre 2002/ Aprile 2003, inserimento dati presso *** Solidarity Centre ***
    – Ottobre 2003/ Settembre 2004: cassiera/cameriera/ aiuto pizzaiola presso la pizzeria***
    Esperienze di volontariato: – 1996/1999: Membro della ***
    – 1996/1999: Organizzatrice di attività per bambini e adolescenti (gite, corsi di inglese, campi estivi e attività sportive) presso il paese di ***
    – Ottobre 2000/ Luglio 2002: Volontaria con persone disabili, presso Cooperativa***
    – Ottobre 2001/ Gennaio 2002: membro attivo del gruppo accademico ***, coinvolto in iniziative per la difesa dei diritti umani e collaboratore con “Medici Senza Frontiere”, Amnesty International e UNICEF sez. ***
    – Gennaio 2002/ Aprile 2002: Volontaria in Africa, Zambia, con l’associazione ***
    – Novembre 2002/ Giugno 2003: Volontaria (Volunteer Coordinator) presso ***

    Hobby: – Leggere
    – Viaggiare
    – Cinema e teatro
    – Suonare il pianoforte
    – Fare sport

  2. Proprio ieri a una persona a cui tengo, con contratto a tempo indeterminato, hanno proposto un bel part-time in nero.
    Credo che si possa smettere di sfottere Aldo Nove, che ne dite?

  3. Probabilmente quel massimocinque che lo manda a cagare è Ernesto Ferrero, incazzato per l’articolo di Nove contro la Fiera del Libro:-)
    Ma l’intervista è encomiabile. “Oro”, dicono a Venezia.

  4. aldonove scrive come i bambini di “io speriamo che me la cavo”, è ciccione, sembra un eunuco, a quasi quarant’anni c’ha i capelli come tommy della famiglia bradford. come si fa a non sfotterlo!

  5. Sì, è un bellissimo articolo- come tutti i precedenti di Nove- che, del resto, ripropone una scelta del raccontare che trovo giusta.

    Per il Fake di Angelini: a volte sei spiazzante- in maniera estremamente positiva- come in questo caso postando quel curriculum.

    Per Fonzie: Nove scrive cose che tu non riesci a capire. Pazienza.

  6. Diego: giuro che una così (110 e lode, che senza batter ciglio fa la cameriera, la pizzaiola, più va a dare una mano in Africa) l’avrei assunta su due piedi. Purtroppo le edizioni Libri Molto Speciali hanno sospeso l’attività. Faccio appello ai GROSSI e piccoli EDITORI in ascolto: ASSUMETE QUELLA RAGAZZA! (ho ancora i dati reali, all’occorrenza).

  7. Fake, la assumerei di corsa anch’io.
    Faccio l’insegnante da quasi vent’anni, per cui non sono né un “giovane” insegnante né uno prossimo alla pensione. Mi è capitato di fare formazione a dei colleghi tempo fa. Ne sono venuto fuori terrorizzato: ho due figlie piccole e fra qualche anno saranno a scuola. Non mi preoccupo molto delle elementari: è il sapere che dovranno per forza frequentare le scuole medie che mi fa atterrisce…
    Nel curriculum che hai postato ho letto il racconto di un percorso duro ma sostenuto; ho visto questa persona muoversi verso qualcosa, costantemente, e ho visto- scusa il rischio della retorica- l’umiltà seria dell’imparare, oltre che del fare. Andare oltre la “scuola” insomma, da tutti i punti di vista.
    Ho trovato in quelle righe qualcosa che trovo veramente di rado nelle persone che lavorano nel mio ambiente, posti dove quanto meno l’uso delle proprie competenze specifiche dovrebbe essere rivisto e riequilibrato con assiduità.
    Ci ho trovato altro.

    Mi piacerebbe che Nove facesse un’intervista (se non l’ha già fatta) a uno studente universitario, uno di quelli veramente prossimi alla laurea, anche se immagino che lì le risposte potrebbero avere un tale numero di variabili da trarne difficilmente un senso estendibile. Io, quando mi capita di insegnare lì, vedo un mondo ormai indefinibile; è chiaro però una sorta di solco vuoto sempre più esteso tra quelli- pochi- consapevoli, “pronti” a quello che c’è e che verrà, e un magma confuso, intristito e istupidito da un aggiungersi continuo di “brevità” pseudospecifiche, rese soltanto pura e scipita nozione dal nuovo ordinamento. Questo mi fa pensare che la linea che collega precarietà del lavoro e precarietà della formazione (se l’università lo è e la fa) è stata tracciata consapevolmente.

    saluti

  8. Purtroppo non tutti riescono a capire l’importanza di un sito come nazione indiana che spiega le verità segrete del mondo. Questo sito fa riflettere sui molteplici argomenti, e io ho riflesso molto. Anche la letteratura. Grazie, a nazione indiana.

  9. per mia fortuna ho potuto conoscere la Sardegna lontano dai villaggi, la Sardegna meravigliosa che pochi continentali conoscono in quanto attratti solo dalle spiagge caraibiche che questa regione offre… la maggior parte delle persone che conosco che è andata in Sardegna non ha speso nemmeno un giorno per una gita nell’interno, non ha parlato con ragazzi sardi se si escludono i camerieri del villaggio… tutto quello che gli è rimasto di Iknusa è stata una bella tintarella e l’adesivo sulla macchina del traghetto preso.
    I temi che fa emergere l’intervista non sono gonfiati, sono la realtà. Il nostro stato pretende di esportare la democrazia, ma cosa andiamo ad insegnare? Questo?

  10. Mi sono permesso di fare un link a questo articolo, nel mio blog. Accetto anche i trackback, ma qui non ne vedo traccia.
    Se ci fosse qualche problema, fatemelo sapere che lo elimino immediatamente.
    Intanto, complimenti

    Roberto

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