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Anteprima II/a Cesare

di
francesco forlani

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Capitolo dodicesimo
(primo racconto)

Ritratti. Ci ha chiesto di fare dei ritratti – a parole s’intende- della gente che viene in albergo, nel nostro albergo, l’hotel Roma,insomma da noi. Se lo sapesse la direzione, non credo che farebbero salti di gioia. Ci hanno sempre detto che il personale di un grand Hotel deve solo registrare, le cose. In modo neutro, senza metterci nè patemi d’animo nè tanto meno arricchire la nota con indiscrezioni. E invece Miss Firth, vuole che praticamente li fotografiamo, i clienti!
A me scrivere storie è sempre piaciuto. In fin dei conti era a colpi di storie che si giocavano, perdendole, le partite dell’adolescenza. A detta di altri, ero bravo a raccontarle, un po’ meno a farmene, di storie, come invece capitava agli altri, gli stessi.
E cosi’, forse perché eccitato dalla novità, certamente per curiosità, invece di suonare la chitarra, tra un dormiveglia e l’accoglienza di un cliente sorpreso dalla notte, mi sono messo al computer dietro al banco e ho scritto questa storia, tutta d’un fiato. E già, perché l’ho sentita sgorgare dalle labbra come un fiume. Elena mi ha aiutato con l’inglese.

Titolo: da trovare

Nella camera 601 dell’Hotel Terminus c’è un tavolo lungo in stile belle époque, un armadio seminascosto nel corridoio, una sala da pranzo che occupa tutto il lato destro del palazzo e un bagno, con la vasca e il lavandino sospesi ai tubi bene in vista.

L’assenza delle chiavi dagli scaffali dietro alla reception, fa pensare che lo sposo e la sposa siano ancora in camera. Sono le nove del mattino e Torino ha, da qualche ora, annunciato l’alba a modo suo: il cielo è coperto di grigio.

Le tende sono ben chiuse, e nel buio della stanza, è lo sposo a sentire per primo la sveglia, marca Casio, regalata da un amico, più per desiderio di sembrare divertente che per un vero bisogno di sincronizzazione temporale e né lo sposo e ancor meno la sposa se n’erano serviti fin li’.

E si badi bene, non perché non ne avessero bisogno, anzi. Tutti e due sono da qualche tempo confrontati al mondo del lavoro, del focolare domestico, delle uscite da scuola, dei rientri, insomma a quell’insieme di obblighi che i più chiamano ” vita in società”.

La sposa è redattrice per un giornale interno ad una multinazionale basata in Francia, e lo sposo è redattore capo del medesimo giornale. In altre parole lo sposo è, nella vita professionale della sposa, il suo responsabile.

Nelle occasioni mondane del resto, la sposa non perde un’occasione , a questo proposito, di presentare il congiunto come proprio capo e di aggiungere sempre, alla fine, con un tocco di naturalezza
– Eh si, proprio cosi’ , vado a letto col mio capo !

Che siano sposati o meno, questo non ha alcuna importanza, almeno per noi come per voi, ma a dire il vero ignoriamo ugualmente se la loro sia una relazione extraconiugale. Quando hanno chiesto una camera alla reception, era per “ Signore e Signora”, di qui la nostra scelta arbitraria di chiamarli “ lo sposo e la sposa ”.

Lo sposo si alza facendo ben attenzione a non svegliare la sposa. Scivola sul lato sinistro del letto – dorme sempre a sinistra poiché la sposa preferiva occupare il lato destro, ma pare che sia cosi’ in generale – e una volta nel salone, tenta componendo lo zero di chiamare la reception perché gli servano la prima colazione, che era compresa, in camera.

Nessuno risponde, e dopo aver ripetuto diverse volte la stessa operazione, si arrende all’evidenza. Decide di preparare da solo, nel cucinino, quello che da sempre costituiva per lui al mattino la sola ragione valida per lasciare il letto e la sposa: un buon caffè seguito a ruota da un’eccellente sigaretta.
La luce è particolarmente forte. Fedele al grigio, il cielo si ricompone al di sopra della barriera di nuvole, e di fronte a tale spettacolo gli viene quasi istintivamente di dire, per una vita passata in Francia : merde !

Poi si volta verso la camera per riappropriarsi del tepore del letto matrimoniale e risvegliare, al momento opportuno, alla prima salve di odore di caffè, la sposa. E cosi’ facendo, cade per terra come se qualcuno gli avesse teso uno sgambetto.

Ma a parte lui, non c’è nessuno e quando comincia a guardarsi intorno, nota nelle immediate vicinanze un oggetto che somiglia vagamente a una palla. Una palla irregolare con un buco in mezzo e china su un lato. Da più vicino lo si direbbe un goniometro; che si regge sulla parte destra, o una mezza luna; come se non bastasse , poco distante , giace tutta una famiglia di altri oggetti – lo sposo ne arriva a contare quattro, dalle forme diverse fatta eccezione per una coppia di rastrelli senz’asta.

Le cause della caduta erano attribuibili alla mezza luna dal momento che l’insieme restava li’ dove s’era ritrovato dal principio. Scrutando la disposizione si accorge con grande sorpresa, che le forme rappresentano quattro lettere, una M leggermente più grande delle altre; una R e poi due E.
Si dirige verso il goniometro per poterlo sistemare accanto alle altre , ma gli è impossibile spostarlo d’un millimetro a causa del peso esagerato. Ora tutto gli è più chiaro e allo stesso tempo estremamente oscuro. Il goniometro rappresenta in effetti una D e quando organizza mentalmente la lavagna, davanti agli occhi gli si presenta immediatamente la soluzione: M- E- R- D-E.

Quel che lo turba di più non è la cosa in sé. Si ricorda della lezione tenuta dal suo professore di linguistica in facoltà sul fatto che la parola cane non mordesse, tanto più vero ora che la parola “merde” messa li’ in mezzo al salone non abbaiasse. Diciamo che lo sposo ha contemporaneamente un moto d’attrazione e di ripulsa verso il biancore gotico e quasi mortifero che ammanta le lettere

Lo sposo se ne sta seduto sul divano, religiosamente immerso in quel bagliore di luce e vi rimane in silenzio per un tempo indefinito fino a quando la caffettiera non emette prima un fischio e poi un vero grido.

In quel preciso momento, proprio dietro di lui, la sposa varca la soglia del salone vestita della sola camicia da notte trasparente ed appoggiata come un sudario lungo i fianchi inarcuati e le gambe lunghe ed affilate.
Caro che combini a quest’ora? Dice, scorgendo una per una le lettere che man mano si materializzavano disponendosi un po’ ovunque, senza un ordine preciso. Con esattezza me lettere C- O- M- B- I- N- I guardavano la sposo con un tono minaccioso, di rimprovero. La si sarebbe creduta una vera e propria rappresaglia . E niente al mondo, e men che meno la raccomandazione della mamma, la suocera dello sposo, che gli aveva confidato un giorno ” conta fino a dieci prima di parlare” può trattenerla dal lanciare subito dopo: “ merde alors ! ”
Stavolta quasi spuntando dal pavimento, fino ai piedi dello sposo fanno la loro apparizione il punto esclamativo e la parola A -L –O- R- S, mentre l’altra – non la ripeteremo per delle ragioni letterarie – viene inglobata nella primogenita

Capita l’aria che tira, la sposa, non aggiungendo una parola di più, si avvicina allo sposo senza una ragione apparente. Una causa fisica, per esempio, evidentemente la solleverebbe, come quando a causa di un’inondazione si telefona subito ad un idraulico, ma in tal caso chi chiamare? I pompieri, dei grammatici, o forse meglio un esorcista?

A dire il vero né lo sposo né la sposa, provano un sentimento di pericolo, piuttosto della meraviglia; dello stupore, più vicino ad uno stato di grazia che d’una sensazione di paura. Sono allora calati nel silenzio più assoluto quando il telefono squilla, facendo scattare immediatamente la segreteria messa a disposizione dal direttore per onorare la fedeltà dei due sposi, all’albergo. Una massa di altre vocali e consonanti invade i locali

Da qualche parte c’è un B- U -O-N , un L- E–I- , un N-O-I- N- O -N -C -I- S- I -A- M- O- tutto attaccato e poi un L- A- S- C- I- A- R-E, e ci sarebbe certamente stato anche un M- E- S- S- A- G- G -I-O se i due non si fossero gettati su quella dannata macchina vomita parole per zittirla per sempre staccando la spina. In verità la parola era stata semplicemente decurtata in M E S S A e , in un luogo popolato ormai da tutte quelle cose non rimaneva che uno spazio la cui esiguità si poteva superare solo compiendo salti e scalate

Il gesto atletico che hanno appena compiuto li ha avvicinati; e occupando il solo metro quadro libero a loro disposizione – non possiamo essere più precisi- lo sposo e la sposa sono come allacciati l’uno all’altro, mischiati, amalgamati, fusi

Prima che dica alcunché, lui le fa segno di non parlare. La sposa gli fa segno di si’ con il capo e senza sapere né perché né per come gli tende un sorriso . Lo sposo e la sposa sono uno davanti all’altra, uno nell’altro, insieme, senza parlare;.

Perché di solito lo sposo e la sposa non la smettono un solo minuto di parlarsi.

Quando un uomo e una donna non si parlano più, beh allora significa che non hanno più niente da dirsi– amava ripetere lo sposo.

Niente sarebbe più torturante per me del tuo silenzio, un silenzio abitato da parole che, ahimè, non sarebbero a me destinate – diceva la sposa.

Lo sposo capiva ogni cosa detta dalla sposa perché palavano la stessa lingua. Ma ora. Come fare perché anche i loro rispettivi silenzi comunicassero?

Lei si appoggia allo sposo per potersi rialzare, ma lui la trattiene a sé, sul petto. Lei vi appoggia le labbra tracciando delle linee di baci e saliva. Lo sposo sente i seni duri della sposa puntati al cuore. Ne osserva gli addominali tesi – lo sposo ha ricominciato a fare sport e palestra da quando lei gli aveva fatto notare di come gli amici coetanei avessero messo su pancia.

La sposa è dunque risalita lungo il corpo dello sposo in modo che i due volti si trovassero alla stessa altezza. Accarezzandogli la nuca, con una mano, ridisegna l’orlo delle sue labbra, con l’altra. Lo sposo la libera della camicia e la stringe a sé, come per evitare che se ne vada via. La sposa accoglie con un fremito il braccio di lui che le scivola lungo la schiena.

La prima lettera a volare via è la M. La si direbbe una bolla d sapone che levandosi verso il soffitto giri su se stessa tre volte prima di esplodere, senza rumore. Ed una dopo l’altra, le lettere risalgono su, come certa pasta fresca a cottura rapida – lo sposo e la sposa facevano la spesa al dì per dì– che dal fondo della pentola riaffiorano in superficie, disperdendosi dal centro lungo i lati.

Consonanti e vocali, maiuscole e minuscole, punti esclamativi, virgole, punti, puntini sospensivi, investiti del dono della leggerezza, ancora inimmaginabile fino a qualche minuto prima, s’involavano ritornando, probabilmente, laddove se ne stavano prima, cioè in nessun luogo, e comunque noi non siamo tenuti a saperlo. Quando la cameriera apre la porta della 601 con l’aiuto di un passepartout trovo’ un vuoto ed un silenzio che non somigliavano a nient’altro al mondo.

Sono io la cameriera della storia? Dai, dimmi di si’ che sono io – mi ha chiesto Elena alla fine.
– continua –

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4 Commenti

  1. non capirò niente, ma a me sembra una sciacquettata. nè caldo nè freddo; anzi, qualcosa sì: un po’ di noietta, direi.

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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