Terra/ Effeeffe vs Marino Niola

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Caro Francesco,
passata l’onda delle vacanze riesco finalmente ad avere concentrazione ( e computer disponibiile) per rispondere alle tue domande
:
Effeffe: In questi ultimi mesi si è parlato e scritto molto di Napoli e della sua immagine. Innanzitutto secondo te è corretto parlare di immagine? Voglio dire più di Simulacro, icona…

Marino Niola: Napoli è una città largamente preceduta dalle sue immagini, almeno a partire dal Grand Tour, quando la cultura europea fa della città un luogo mitico, o meglio una delle incarnazioni di quella differenza meridiana indispensabile alla modernità per rappresentarsi come tale. Non è un caso che l’Occidente diventi moderno inventando il suo Sud e il suo Oriente, spesso sovrapponendone i tratti. Quindi non si tratta di una novità ma di un’onda ciclicamente ritornante.

Il libro Gomorra di Roberto Saviano è stato sicuramente un elemento scatenante. Lo hai letto?

Certo ma non solo. Aveva cominciato ancor prima Bocca con il suo pamphlet.

E’ corretto secondo te parlare di sindrome di Masaniello? Secondo una tradizione che vede la gente di Napoli dapprima innalzare un modello, un eroe, un calciatore (e penso a Maradona) per poi abbatterlo impietosamente? Per te che sei un antropologo, e non solo, qualcosa di simile a un rito…

Non è corretto. Mi sembra una metafora suggestiva ma tutto sommato superficiale rispetto alla complessità dei processi in atto. Sul piano antropologico oltre e più della sindrome di Masaniello, parlerei di una sindrome di Penelope. Napoli è una città che disfa, o dissipa, incessantemente ciò che fa, o cumula. Ma qui siamo a mio avviso più vicini a quella che Bataille, nel saggio sulla dépense chiama la “proprietà costitutiva della perdita”.

Tra gli argomenti dei detrattori uno mi è sembrato “sintomatico”. Ecco che uno di noi si vende ad un grande gruppo editoriale (del Nord) per mediatizzare l’evento arrivando al paradosso che Gomorra abbia creato Camorra…

Non è solo un argomento da detrattori. C’è una constatazione ovviamente oggettiva – honni soit… – della complessità pliuriversatile del rapporto tra realtà sociale e la sua produzione e riproduzione simbolica

La cosa che mi ha colpito di più è stato l’atteggiamento della classe intellettuale partenopea. Dapprima hanno salutato con favore l’uscita del libro dopo di chè si sono messi a fare le pulci al suo autore, in alcuni casi al limite della diffamazione…

Più che della classe dirigente partenopea è un argomento ricorrente nei media nazionale, seppur sottoesposto, almeno per ora, e per motivi di vendibilità del prodotto

Perchè Gomorra è un oggetto insolubile, secondo me, nelle dinamiche politiche ed intellettuali della nostra città

Le dinamiche politico culturali della città hanno sciolto e digerito ben altro

Il J’accuse che Roberto Saviano ha lanciato qualche tempo fa dalle colonne dell’Espresso, come lo hai percepito?

Come l’espressione letterariamente riuscita di “astratti furori”, di metafore materializzate. Qualcosa di estremamente astratto e al tempo stesso di estremamente individuante. Un autentico Bild-Gedanke lo avrebbe definito Marx.

A Napoli qualcosa è cambiato, intanto,…

Certo, e lo sarebbe stato comunque

In che modo Napoli, il suo mito agisce nel campo mediatico?

Alimentando un ininterrotto mormorio mediatico. È l’unica città italiana il cui presente continua a produrre mitologia. Il mito leopardiano o staëliano della città “semibarbara e insieme semicivile” aggiorna i suoi segni, ma la macchina mitica contiua a funzionare.Il posto dei lazzari e della plebe è stato preso da guappi e camorristi. Una variante meno primitiva ma ben più feroce di quello che fu il bon sauvage partenopeo

Ci sono intanto nuove generazioni di scrittori, editori, artisti, sociologi che si sta affacciando sulla scena. Sarà possibile tentare una trasmissione di esperienza o di sapere, tra le differenti generazioni o come mi sembra ora, si imporrà con una rottura radicale con quanti li hanno preceduti?

Ci sono e fra qualche tempo coglieremo i friutti di un’onda carsica che attraversa le culture della città e le connette. Forse è questa la novità, la connessione tra culture che da sempre si guardano l’un l’altra come fenomeni della natura, fisicamente vicini ma telescopicamente lontani. È, forse, un’onda di ritorno della globalizzazione.

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4 Commenti

  1. Peccato che sia un intervista scritta. Mi sarebbe piaciuto che le domande a partire da un certo punto derivassero dalle risposte.

  2. Napoli è una città coi suoi problemi. Parecchi.
    Nelle altre città italiane ci sono problemi, forse più gravi, ma nascosti.
    Guardate al Policlinico di Roma – della Caput Mundi: si parla di 7000 morti per infezioni contratte negli ospedali, all’anno.
    La sanità a Palermo: ne uccide più la malasanità che la mafia.

    Marino Niola parla bene.

  3. Il prof. Niola è uno degli intellettuali napoletani più attenti e anche fra i meno, ahimè, visibili. Non avendo legami o interessi politici evidenti, non essendo legato ad alcun carroccio ( o carrozzone ) elettorale, ha meno spazio di molti suoi colleghi meno titolati e senz’atro più superficiali.
    Però se ne dice un gran bene ( e vorrei vedere il contrario… ) ed è uno di quegli uomini su cui punterei ad occhi chiusi per una percorso di recupero della città a condizioni di vita accettabili.
    Ma non vorrei che si confondesse la sindrome di Masaniello, che altro non è che italico populismo elevato all’ennesima potenza ( e cosa non è estremo in questa fottuta città ? ), con la ricerca di nuovi leader. Perchè senza leader non si va da nessuna parte, piaccia o meno.
    In città stanno spuntando come funghi nuove associazioni di cittadini che si pongono come obiettivo, ognuna a modo suo, il recupero di un pezzo di legalità, vivibilità, trasparenza. E questo fenomeno è indicativo del declino della politica cittadina ( provinciale, regionale, nazionale ) incapace di dare risposte, cogliere segnali, rinnovarsi, ripulirsi, giudicarsi, ma senz’altro specializzata nell’assolversi.
    E questo frazionamento di isole in movimento può dare speranza di rinnovamento da un lato ma non scalfisce i santuari del potere dall’altro.
    E’ evidente che c’è bisogno di compattarsi intorno a uomini capaci di interpretare questi segnali e proporsi per l’alternativa. E sorpattutto uomini provvisti di spirito di sacrificio e grande determinazione. Si tratta di fare fare una rivoluzione a un popolo che ha la pancia piena e, a mia memoria, questo non è mai accaduto in passato, in nessun luogo del mondo, in qualunque epoca.
    Marino Niola è uno di questi e accanto a lui, pur nelle proprie diversità, Rossi Doria ( la cui causa ho recentemente sposato ), Ernesto Albanese ( il presidente di Altranapoli, cognato di Jacopo Fo ) e altri, tanti altri, intellettuali e tecnici capaci e idonei a fare da guida al popolo dei movimenti e di quanti sono alla ricerca di una nuova idea di fare politica e di amministrare la cosa pubblica. E accanto a loro, perchè no, il plotoncino di scrittori e artisti di cui si parla dell’intervista e che stanno preparando ( ed è vero ) “l’onda carsica” del rinnovamento. O dell’azzeramento dell’esperienza passata, che non sarebbe affatto un male. E qui mi sembra inutile fare nomi, spiccherebbe fra tutti quello di Saviano, con la pletora di polemiche che lo circondano.
    Bisognerebbe, caro professore, avere la forza di superare la diffidenza, abbattere gli steccati che ci dividono e riuscire a comprendere che vogliamo tutti la stessa cosa, pur guardandola ciascuno in modo diverso. Penelope siamo noi e la tela è “la cosa” che vogliamo.
    Ci manca solo Ulisse e si può ricominciare.

  4. Salve,a tutti
    mi ha telefonato Ulisse,dice che secondo lui molte zone della città di Napoli andrebbero buttate giù per ricostruire in modo più adeguato.
    Gli ho detto che ai napoletani piace vivere nei bassi,e che avvocati,magistrati,e ultimamente anche giornalisti,critici,cineasti e scrittori troverebbero difficoltà nel cambiare lavoro

  5. Concordo con Alcor. Da un certo punto in poi le risposte chiedevano altre domande. Questo è, purtroppo, il limite delle interviste scritte.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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