Da “Golden Gate” di Vikram Seth

traduzione di Luca Dresda, Christian Raimo, Veronica Raimo

3.1

Dato che Liz e John van fuori fuoco,
avvolti da una amorosa foschia,
mio Lettore, verso un altro luogo
volgiamo l’obiettivo, ossia
alla lunga fenditura del suolo:
i rustici indigeni, e lo stuolo
di chi si guadagna da vivere bea-
to, lungo la Faglia di Sant’Andrea.
Gli scambi, il governo, la natura
nel suo splendore, le follie d’amore,
si susseguono senza alcun timore;
sotto di loro giace la frattura,
spaventosa autrice di quelle scosse
che apron le rocce come niente fosse.


3.2

Un bimbo biondo, con suo padre siede
in vetta ad una collina, su un sasso.
Il figlio, Paul, con gli occhi, un bruco segue,
Phil, il padre, seduto un po’ più in basso,
(intimo amico di John, già citato)
mentre Paul s’acciglia, è rilassato.
Paul ha sei anni, Philip ventotto;
nasce un battibecco, così, di botto,
e Phil col suo braccio cinge il figlio.
Phil ricorda: “Quando avevo la tua età,
rapido, l’umore del tuo papà
mutava, come per te…” Con cipiglio,
Paul lo interrompe: “Pa’, sei quasi calvo.”
“Lo so”, dice Phil, mettendosi in salvo.

3.3

Philip valuta la sua condizione:
“Se è pur vero che il nostro patrimonio
genetico fissa la propensione
a perder capelli…questo demonio!?…
(Stritola una foglia secca, si gratta
con le dita la pelata ultrapiatta
in esplorazione, si sfrega il naso,
e si toglie gli occhiali.) Metti il caso…
(aggrotta le ciglia in meditazione)
…se invece di perder tutti i capelli,
ci si coprisse la fronte di velli
che poi si spandessero in migrazione
agli occhi e alle guance, e poi alla bocca…
meglio diventar calvi, se tocca!”

3.4

Sollevato da quest’idea bislacca
Philip indirizza le sue attenzioni
alla fredda stagione e a tutti i suoi acca-
dimenti: le querce di dimensioni
difformi, alcuni passeri in volo,
o l’avanzare dei licheni al suolo,
e sul macigno dove Paul cantando
siede, la collina col suo rimando
dorato, il cardo che inaridisce
e i rovi, e l’aria fredda e lucente
presagio di un temporale imminente;
il tordo beffeggiatore garrisce,
volando liquidamene attraverso
il cielo californiano: blu, terso.

3.5

Due sottili querce, nel freddo oscuro,
i rami nudi, adornan la vetta.
Sopra la roccia, in volo sicuro
la ghiandaia al nido s’affretta,
– uno scatto improvviso – dove il verde
riverbero del vischio si disperde
nell’intrico di generose fronde
del suo ospite; e le mandrie errabonde
si spargono lungo gli umidi fossi,
vibrano d’intento, ansanti e pronti,
per arrivare alla cresta dei monti,
severe d’aspetto, come colossi,
battendo la terra con colpi netti
di zoccoli: sono atleti perfetti.

3.6

La discesa sinistra d’una mandria,
l’allungo stoico dei podisti,
il modo folle in cui il mondo cambia
– lo spazio e la contesa missilistica –
il lavoro perso alla Datatronics
(tana di elettronica e lumaconi),
lo affliggono, mentre una sigaretta
fuma, sotto una quercia gobbetta.
L’azienda fece un’offerta allettante
per prendergli l’anima e anche il cervello,
ma Phil si liberò del fardello:
il cuore lanciava allarmi incessante
e messaggi troppo forti da ignorare.
Paul s’annoia e glielo fa notare.

3.7

Paul adesso vuol sentire una storia.
“Che? Vediamo un po’… (Paul fa l’occhiolino)
…s’intitola Chromiska e la sua gloria.
C’era una volta uno strano gattino…
(si ferma un po’ a pensare)… e difatti
beveva l’inchiostro, e molti ratti
lo avevan morso…” “Quanto grandi?” “Tanto
così!” “Oh!…vai avanti, dai.” Paul intanto
si sfrega il naso per concentrarsi.
“Ora, il gattino aveva inghiottito
tanto inchiostro…” Paul ascolta, rapito.
Suo padre comincia a appassionarsi.
Paul ascolta immerso ogni parola,
e il tempo d’improvviso vola.

3.8

“…così, nella notte, il piccolino,
Chromiska, s’accorse che tutti i peli
si erano fatti d’argento, perfino
i baffi! La gente chiedeva se li
avesse tinti la paura; gli amici
rispondevan no, tacendo felici
d’esser stati colti da una bufera.
E a tutt’oggi, sappiam la causa vera
solo i suoi amici, io e te”. Fissa
serio il figlio, Phil, negli occhi marroni,
mentre assorto imita il gatto, carponi.
Paul urla quasi in estasi: “Chromiska!”
L’incalza: “Ancora, papà!”. E la trama
di un’altra storia allora Phil declama.

3.9

“C’era una volta un verde paese alpino.
Là vivevan tre fornai. Uno chiatto
e buono, l’altro sciocco e mingherlino,
e uno aveva lunghi baffi da gatto.
L’aroma del pane arrivava ovunque,
ma quando facevano una qualunque
delle loro crostate, succulento,
l’odore saliva nel firmamento…”
“Cos’è il firmamento?”. Phil, spiega meglio:
“Il cielo! Lassù viveva in riposo
un orso maestoso e molto goloso
che per l’odore stava sempre sveglio.
Un dì decise di scoprir la fonte
dell’aroma. E scese giù, sul monte.

3.10

Egli sentì cantar da quello sciocco
la canzone Crostata del mio cuore.
Il baffuto al tamburo dava il tocco
e urlava: “Torta di mele, mio amore!”
e il grasso tra le risa annunciava:
“Che melaviglia! Eccoci a tavola!”
L’orso affamato tremò di paura:
guardò le torte, la doratura
stuzzicante, là sul tavolo pronte.
Esitò, una fame strappacuore,
finché non resistette più all’odore.
E pensò: ‘Se riuscissi a fare fronte
… e portar via una crostata lo so
… le altre le lascerei. Lo giuro!’… Paul!”

3. 11

Paul se n’era andato in esplorazione,
e senza lasciare tracce. Phil pensa:
“Per il racconto? – Che delusione!
Dove è andato?… Già… è una storia melensa!”
Paul è steso a terra, alla scoperta
d’un ragno che lo lascia a bocca aperta,
quando d’un tratto lo vede salire.
Phil s’accosta, nota che è l’imbrunire,
mentre il ragnetto gli si nasconde.
“Wow, papà, hai visto che cosa ha fatto?
È salito sull’albero di scatto!”
“Fa freddo figlio mio”, gli risponde
“Su, mettiti il cappotto”. E Paul: “Pa’!
portiamoci a casa un ragno, ti va?”

3.12

“No”. “Perché no?”. “I ragni sono strani”.
“Mi piacciono”. “A me no”. “A me sì!”
“Un coniglio, no? Ci andiamo domani!”
“Perché un coniglio?” “Perché loro sì
che son amici. Alla mamma…” s’imbroglia,
“piacevano…”, e, anche se controvoglia,
cambia opinione. “Va bene figliolo,
Vuoi un ragno? E allora sia! Ma uno solo!
Ora metti il cappotto…”. Camminando
adagio, Paul nota una verde piana.
“Un campo?”. “Un lago d’acqua piovana.”
“E quello?”, fa Paul col dito indicando
verso Stanford. “Beh, è una scuola.” “Tu
parli di ma’, come se non c’è piu!”

3.13

Un’improvvisa stretta di dolore
prende Phil al cuore. Osserva suo figlio.
(Ha gli occhi di Claire). “Domani, mio amore,
prenderò il ragno!”. Nonostante il piglio,
la diversione è vana. Pur se quieto,
il cuore di Paul batte a un ritmo cieco
di paura. Cerca di stare saldo,
però poi erompe in un pianto caldo,
dà le spalle a Phil in segno d’accusa,
senza parole, sospira gemente,
con le braccia copre gli occhi, piangente,
si siede, chiudendosi in sé e ricusa
ogni gesto di conforto paterno,
risucchiato dal ricordo materno.

3.14

Phil lo avvolge con un braccio, carezza
il suo volto, “No, non piangere…” dice.
“Poverino,” pensa, “la sua tristezza
è più grande della mia e la radice
è la tua assenza, Claire, ed è già un anno.
Se sapessi la gravità del danno,
cosa a sei anni può significare
esser solo! Non puoi telefonare,
scrivere due righe, o fare qualcosa
per vederlo una volta, perlomeno?
Credo che tu lo ami quanto me, no?
Sei troppo occupata, povera o cosa
per mandar di tanto in tanto un pensiero?
Gli scriverai? Questo almeno, lo spero!

3.15

Un anno. Quel presuntuoso volgare
stronzone dell’East Coast – presumevo
che capissi i suoi gesti, il suo fare
compiacente, che – ma che credevo… –
combattessi lusinghe o… tentazioni –
Che risate! – capricci aspirazioni…
Io vorrei non averti mai incontrata,
Vorrei non averti mai sposata!
Claire, Claire, noi ci siamo amati. Abbiamo
convissuto sei lunghi anni d’accordo.
Troppe lacrime ho speso nel ricordo
per piangere ora. Paul sente il richiamo
materno: i baci, le fiabe a letto…
E ora sei morta, come ha ben detto.

3.16

Dicesti che volevo dominarti.
Quest’idea, Claire, chi te l’ha messa in testa?
Perché l’avrei fatto? – dovevo odiarti! –
Penso a te, e questa tua assenza desta
solo infelicità dentro me. E quello
che in te ha disintegrato tutto il bello
del nostro amore, a me fa l’effetto
opposto. Anche se t’ho maledetto…
cosa ti ha spinto a questo cambiamento?
Mi amavi così tanto da resistere
alle catastrofi dai tuoi previste:
“Renderà la tua esistenza un tormento!” –
Claire Cabot che va in sposa a Philip Weiss –
Pregiudizi da Wasp? Ora lo sai.

3.17

E viver per sempre felicemente –
Amen – come direbbe un ateo ebreo.
Ho le loro risate ancora in mente:
“Non pensavamo che osasse il babbeo!”
“Sposarsi in gran fretta per pentirsi…”
solo i tuoi zii seppero divertirsi
Nonostante il naufragio. Forse, vedi,
Ti conoscon meglio di quanto credi
Tu stessa – quando eri ingenua e ventenne,
io invece ventunenne dissennato…
eravamo allegri, Paul era nato,
comprammo un pianoforte, quindi venne
la Ford Capri, i mobili, poi la TV,
la previdenza e il frigo… cosa più?

3.18

…i lavori. A volte facevamo,
un fuoco, io al piano, tu che cantavi –
come ai tempi nel coro bachiano,
là ci incontrammo. Ricordo, brillavi
mentre la notte arrivava veloce,
le fiamme crepitanti, la tua voce –
e Paul come un metronomo in difetto,
batteva a terra – è questo, lo ammetto,
tutto ciò che ho sempre desiderato.
Cosa ruppe la nostra armonia?
Claire, ma perché mai sei andata via?
I miei sogni la realtà hanno falsato.
Come un pazzo in delirio, ho creduto
che il nostro rapporto era imperituro.

3.19

Queste idee si mischiano nella sua
mente triste e congelata. Notando
poi Paul che piange silenzioso: “Tua
Madre,” gli dice, tirato e chinando
il capo, “è andata via”. “Tornerà?”
“Non te lo so proprio dire, chissà!
Ma tu sei con me, non sarai mai solo!”
“Mi lascerai?” Philip, lo guarda addolo-
rato, s’avvicina, lo abbraccia forte
e gli dice: “Non lo dire mai più.
La mia cosa più preziosa sei tu!
Non ti lascerò mai.” E poi, ad arte
Aggiunge, “In realtà, tu lo farai:
quando sarai cresciuto, te ne andrai.

3.20

Ritorniamo a casa… fa freddo adesso,
e dobbiamo preparar la cena”.
Phil fa montare in groppa Paul, perplesso,
in discesa lo porta sulla schiena
e lo posa giù, quasi lo trascina,
dentro la nuova Volkswagen piccina:
vecchia e meno bella della Capri;
ma ora, rimasti in due, da quell’apri-
le, dalla rottura con Datatronics,
senza alcuna entrata, come Phil dice,
è ottima per il momento infelice:
usata, piccola, non supersonica
(“Da zero a cento in tanti secondi”),
però amica fedele nei suoi affondi.

3.21

Zucchine colte dal nostro giardino,
patate, tacchino, kiwi e gelato,
formano l’essenza dello spuntino
(assieme a una tazza di cioccolato)
serale. Del loro nido regina,
Mrs Craven, gli fa una visitina
a casa – donna grassoccia ed esperta –
con una torta di zucca coperta
di zucchero a velo. “Mangiate. Niente
deve avanzare!”. “Lei è una stella!”
“Voi due soli: non è una cosa bella.
Morirete di fame. È evidente!”
Ciò detto, tre fettone enormi taglia
la donna, un vero gourmet di vaglia.

3.22

“Signora Craven, le va un po’ di brandy?”
“Grazie… Phil, ascolta, abbi più cura
di te. Il tuo aspetto, se non t’offendi,
è… barba sfatta, macchia scura
sulla giacca, i capelli poi!”. Grugnisce
Phil: “Prendermi per la gola per insce-
nare tutto questo… è un colpo basso!”
“Claire giurava che eri bello!” “Che spasso!”
Rowena Craven, d’un rosso infuocato,
si sgola nella tipica maniera
di chi fa il banditore in una fiera:
una venditrice, una rompiscatole
che in tutta la baia vende cianfrusaglia,
e pensa che Phil sia una stramba canaglia.

3.23

Nel movimento per la pace attiva,
(Tre volte alla settimana, di notte,
impara il russo, perché in prospettiva
“il mondo migliori”), le scuse addotte
da Phil lasciando il lavoro ritiene
ultra-cool: “Eh sì, tradirei, nel bene
o nel male, l’umanità, e il senso
comune”. L’altro giorno, in compenso,
cenando con la madre, a Palo Alto,
le parlò del suo amore. “Poverino,
di chi si tratta?” “Vive qui vicino.”
“Quanto?” “Accanto.” “Oh, scegline un’altro,
Rowena. Non ridurre in pezzi il cuore
di Phil, con dichiarazioni d’amore!”

3.24

Paul ora sbadiglia, il dolce in bocca,
è finita la torta, fetta a fetta,
la Craven ha bevuto il brandy, tocca
ora darsi la buonanotte. Si aspetta
Paul che Philip gli racconti “qualcosa
di pauroso” anche se è stanco, e osa:
“Una favola dei fratelli Grimm!”
Phil sistema il cuscino, e gli
legge una fiaba serio; Paul ascolta
sereno, ma presto il sonno l’ammanta
e gli chiude gli occhi. Phil quindi canta
a voce dimessa, quasi in raccolta.
Finché non vede il sonno arrivare:
è Brahms, Claire lo soleva cantare.

3.25

Per dare un ritratto meno parziale,
devo ammettere che su Claire complessi
sono i pareri. In casa, cruciale
fu il primo incontro con Phil. I perplessi
suoceri hanno in seguito assorbito
il colpo di un tal genero impunito,
che insudiciò (per l’orrore di Claire)
quel rifugio di gente retta. È
il dileggio (“è un’aristo-marmaglia”),
le sue idee e le sue battutacce rozze,
o a Scarabeo, per vincere, le sozze
malizie che utilizza anche se sbaglia,
son la causa d’interdizione a vita,
dal suo clan dei Cabot, per Phil ordita.

3.26

Il disaccordo post-matrimoniale,
di gusti, interessi, e di tatto
che s’abbatte sull’amore con tale
forza, espose ad un test il contratto.
Il vigore, un tempo sua attrattiva,
ora la sfianca; entra nella viva
carne, e tutto ciò che la conforta
è ritirarsi in sé e chiuder la porta.
Nata in Florida, la madre di Phil,
difende la nuora, in tono blando,
con un’aria delfica, dichiarando,
che non avrebbe mai trovato, Phil,
un’altra così. Per questa ragione
è colpa di Phil la sua defezione.

3. 27

Per salvare Paul dall’ansia naturale
creata da una visita saltuaria,
Claire sparisce. Sia corretto e leale
la questione resta appesa in aria,
ma non la qualità dei sentimenti:
il tormento e l’angoscia, opprimenti,
dopo la separazione dal figlio,
la buttaron giù senz’alcun appiglio.
Sconcertato da questo estraniamento,
Phil chiuse il piano, vendette i cuccioli
saldò i debiti, e suo intimo cruccio,
attuando un totale riordinamento
del suo stato di disagio, per mano
prese Paul, come fosse un caso umano.

3.28

Succede che, alcuni mesi dopo,
un concerto di tre quartetti d’archi,
per far tornare Liz, càpita all’uopo.
Chiama John, “Suona Sue. Se non ti smarchi,
t’accompagno a Stanford, ho i biglietti.
Ed non verrà, anche se ad esser schietti
sa che la solidarietà tra amici
Lo riguarda tanto quanto me. Dici
che Sue la avrà a male?”. “Il programma?”
“Mozart, Schonberg, e poi Brahms.” “Ah, certo
interessante. Anche se avverto
del fastidio, lo sai, dalla somma,
di periodi così distanti assieme.
Dove si fa?” “Alla Dinkespiel.” “Bene!

3.29

Schönberg mi fa sempre venire l’ulcera.”
“Non essere ottuso!”. “Come non detto,
è un appuntamento, mia amica dolce”.
Tre giorni dopo ascoltano il Quartetto
Coniano: studenti. Sue, emette magia
con il violoncello, la melodia
del quartetto in Re di Mozart. O gioia!
Fascino in libertà! Fa che io muoia!
Ah, Mozart, principe dei musicisti.
Che riposi (tu, miracolo in vita)
in un buco senza stirpe esibita
Ora che i signori del mondo, tristi,
marciscon senza voce – conti, reali,
prelati – tu ancor ci doni le ali.

3.30

Preziosa, brillante, accattivante,
tappezzeria! A Liz ascoltando,
vengon le lacrime agli occhi, sognante
ricorda quei dì dell’infanzia quando,
con la forte insistenza della madre,
lei, la sorella e il fratello, in squadre,
studiavano musica insieme. Presto
Ed lasciò il suo violino, per il resto
della pubertà tentò alla rinfusa
(a turno) chitarra, trombone e sax.
Liz dimenticò la viola, in relax.
Ma un’iridescenza melodiosa
oggi nell’immensa gioia Sue avvolge
nel suo debutto con Mozart, travolgente.

3.31

“Questa è una magnifica ricompensa
per le pene della mamma. Peccato
stia male. Il teatro da noi, pensa,
dista due ore; papà è affaticato.
Sue ha detto che ci registrava Mozart.
Bene, Schonberg per loro è come pop art…”
John s’infila solo per lamentarsi,
nei suoi pensieri. “È da spararsi…
Schonberg, così!” Poi, più inacidito:
“…se soltanto volessero accordarci
la fine del tormento, per sedarci…
potremmo uscir prima che sia finito!
Per fortuna ho portato le cuffiette.”
“John!” “Calmati, cara. Non sono infette!”

3.32

Ingolfato nei suoni cerebrali
di Schönberg, John si contorce e sta male;
poi s’alza in piedi di colpo. “Che hai?”
sussurra, Liz. “Phil, è rimasto uguale!
È lui, laggiù, Berkeley, ingegneria,
suo figlio… quando questa porcheria
sarà terminata, li raggiungiamo.”
Nell’intervallo, John sente il richiamo
del suo vecchio amico che sta mostrando
A suo figlio le regole del tris
sul programma. Trascina con sé Liz.
“Phil, vecchio amico, come ti sta andando
la vita?” “Oh, Bene… lei è…?” fa Phil,
“Oh, si, certo, … Liz ti presento i qui….”

3.33

…presenti Phil e Paul Weiss… Liz Dorati.”
“Piacere”. “Piacere mio”. “Phil, ascolta,
venerdì sera saremmo onorati
di averti alla festa, per una volta,
da noi allestita. Liz lo sta dicendo
a orde orrende… Ehi, che state facendo?”
“Niente”, mormora Phil, “il tris, il gioco…
se Paul lo permetterà, sarà poco
ma sicuro”. “Paul, gli darai il permesso?”
“Sì”, accorda Paul, “solo se papà
mi lascerà da Chuck quando sarà
via…”. “Phil, caffè post-concerto?”. “Io adesso
salterei Brahms. Dovremmo già da un pezzo
essere a casa, alle otto e mezzo…

3.34

Paul va a scuola…quindi… l’ubicazione
della festa, la scriverò qui nella
pagina centrale. Che esecuzione
la violoncellista…” “È mia sorella,
Sue”. “Davvero?”. “Certo”. “È sorprendente.
Sono tutti bravi, ma senza niente
togliere a tutti altri, lei diffonde
luce esemplare sotto forma d’onde.
Nessuno stridore né ostentamento,
trasparente, toccante, raffinata…
tua sorella è una musicista nata.
Ti prego portale il mio apprezzamento.”
“Diglielo tu stesso venerdì, Phil.
Sarà felice”. “Verrà anche lei?”. “Sì”.

3.35

John a Phil col capo fa un cenno svelto
“Un momento… (Liz, scusa)…Vieni presto,
noi vecchi ce la godremo di certo
come un tempo”. “Come un tempo”, fa mesto
Phil. Poi John più gentile: “Mi dispiace
per Claire… per voi due…”. “Datti pure pace,
è meglio. Una settimana fa
abbiamo firmato le carte, ma…
basta di parlare dei miei disastri
dimmi di te, come ti va la vita?
Qual è stata la tua peggior ferita?”
“Questo Schönberg. È da pirosi gastrica”.
“Ah, John, il tuo sarcasmo pungente.
Mio caro, non sei cambiato per niente.”

3.36

E John: “Tu si, invece… il lavoro?
Perché hai mollato la tua vocazione?
Se vieni prima dell’arrivo in coro,
approfondiamo un po’ la questione.”
Poi fa, “Come hanno preso alla Diatronics
la tua partenza? Come degli istrioni?”
“Oh, no tu mi fai troppo fortunato!
Non appena ho salutato e ho timbrato,
mi hanno sostituito…Veramente…
(John sorride)… Liz, cambiando argomento,
la tua amica… della festa alimento,
– è deliziosa, penso – quasi niente
ci siamo detti… per te son contento”.
“Grazie!”. John è lusingato e avvinto.

3.37

Tornan le luci che s’eran smorzate.
Comincia il concerto in la minore
di Johannes Brahms, l’allegro vivace.
Poi un caldo e duttile fraseggio muove
l’intreccio brillante verso il riposo,
nota dopo nota più delizioso,
con la sua tenerezza sollievo
alle nostre tristezze; ingannevole,
incantevole… fino al silenzio.
Paul sussurra: “Questo è quel che canticchia
la mamma!”. Phil ha gli occhi chiusi, nicchia,
mentre Paul sorride, ogni suo senso,
carpito dalla questa dolce corrente
di Brahms, tende verso la madre assente.

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9 Commenti

  1. Un romanzo in versi è un piacere raro.
    Con metrica classica ancora di più.
    Fermare in una specie di epica del quotidiano fatti minuti, sensazioni, emozioni che per la forma stessa suonano alti, trasfigurati.

  2. [OT]
    @così&come

    faccio qui, perchè è più prossimo, i miei complimenti a così&come per l’autentica delicatezza che sa amore e passione che ha messo nei suoi ultimi interventi da me letti sia in parole che in/di musica che in suoni sia quando dice con e di entrambi

    paola

  3. cari Raimo&Dresda, lette alcune parti in inglese, davvero uno sforzo di traduzione raffinato e laborioso, saremo qui per i prossimi vent’anni ad aspettare tutti i tetrametri e i capitoli, giuro!

    Volevo ricordare il romanzo in versi di Attilio Bartolucci “La camera da letto”.

    [cara cara polvere, ti ringrazio, anche tu sei sempre appassionata e generosa di parole, si tratta di decidere perchè uno viene qui e commenta… e poi come dici tu commentare prende tempo e lasciare poi tutto al vento, come molto spesso succede anche a me, dispiace un po’. A rileggerci!]

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