LORENZO RUSTIGHI is wondering why facebook wants to know what he’s doing.

di Mariasole Ariot

Facebook parla in terza persona, un walzer a tre tempi. Nel primo si accetta, nel secondo si chiede accoglienza, nel terzo ci si guarda bene dal non farsi rifiutare. Da nessuno.
Perchè mai voler conoscere il giorno dei miei amici, il loro sguardo, il loro tempo perso o ritrovato che sia,la grana della pelle, la faccia che si perde, la propria sottrazione domenicale? Perchè se prima la rete aveva il nome del nascondiglio senza volto ora è proprio il volto, la faccia, a diventare protagonista? Dire tutto nell’anonimato o non dire niente ma con i documenti in regola.
Facebook in effetti, non dice niente.

Più che buco della serratura da cui spiare l’altro, un dito nel buco del mondo che del mondo vuole vedere solo il culo.

Se il blog può vivere di vita propria, nel tracciare, nel suo dire scollato dalla voce che orgina la parola,facebook vive di quella degli altri: Gaetano thinks You are one of the nicest people in Facebook!click HERE to see your ranking, and don’t forget to vote for your Nicest friends.
Non dimenticare di votare, perchè se non lo fai non potrai vedere chi l’ha fatto per te. Non si naviga a vista, si naviga a vuoto. Eppure nel libro che si mette in mostra con le mani a nascondere la vergogna continuiamo a crescere e moltiplicare e allora una ragione ci deve pure essere. E’ l’approvazione.
Nel blog il lettore può commentarti,applaudirti, leccarti le ferite, insultarti, vomitarti la bile del pensiero, gettare fiori o pietre come una lingua che si stacca dalla gola, su facebook invece tutto è calibrato, stabilito a priori, più facile – e più falso. Nemmeno i tuoi amici meno amici (che in fondo sono la maggior parte dei contatti), ti sputeranno mai in faccia,mai ingrosseranno le tempeste, perchè la richiesta di amicizia racchiude già una prima domanda e una dichiarazione: se io aggiungo te e tu mi accetti, non puoi che approvarmi. Sempre. Un accettare a priori che più che di amicizia si nutre della logica economica di uno scambio a condizione.
Credo siano pochi, molto pochi i casi di una richiesta rifutata. Perchè rifiutare, qui, o semplicemente ignorare significa esplicitare la mia indifferenza (sacrosanta) e il mio rifiuto di chi ho sempre scartato nel quotidiano senza però avere necessità di sottoscriverlo. Dunque,per non essere smascherato, per non dirmi sgarbato e mostrarmi nella mia scelta, devo accettarti. In secondo luogo perchè anche del peggior nemico, della conoscenza più tiepida c’è il desiderio morboso di sapere. Ti ignoro, ti schifo anche, ma se mi ti metti davanti voglio vederti, voglio corteggiarti per un minuto almeno, mostrarti il mio mistero,la mia piccola guerra, scoprirti, cavarti gli stracci di dosso. E allora ti accetto anche solo per guardarti un po’.
Dove il blog è manifestazione, facebook è esibizione narcisistica, non un io dico ma un guardami sto dicendo.


Essere seduzione a tutti i costi, piacere all’amante, al fratello, all’amico, al peggiore della prima infanzia, alle madri, ai padri della letteratura e all’idoletto di turno, avere il proprio posto prediletto al vortice del quartiere rosso, con l’occhio puntato liquido e la bocca che preme sulla roba vecchia.
E la verità è che l’Altro ci stanca presto, perché ai primi gradini di ricerca non c’é già più nulla che non abbia il sapore dell’acqua – che in fondo se l’amico ci nasconde qualcosa non è certo qua che lo scoveremo – e allora la sola cosa che resta da soddisfare è la curiosità della rete intessuta prima e durante il nostro incontro per capire se ha maglie più robuste della nostra.
Meccanismi desideranti che certo non appartengono solo ad un almanacco da liceo ma che portano in sé l’ingranaggio dell’odierno, della messa in scena di un corpo vuoto. Non un corpo esposto, dunque, ma la pelle esibita, alla mercé di un chiunque scelto tra le proprie carte per dare un senso al proprio chiunque nel tentativo di annullarne l’anonimato – e trovarne, poi, un centro illusorio.
E’ inquietante questo passaggio dall’urlo necessario alla necessità del fare della propria immagine luogo libidico. “Solo se passo attraverso l’Altro, se mi vedo nell’Altro, io sono”. Non mi basta più l’assolutezza della parola, il suo essere sciolta per natura, linguaggio come scomparsa del soggetto: oggi chiedo la presenza traboccante di quell’Io e del linguaggio, mi servo solo come fosse una prima pelle comune a tutti, lisciata e abbellita a misura per la necessità di esserci ovunque, di non perdere né il tempo né lo spazio – ch’è poi lo spazio sottratto all’altro.

Per lo più si arriva a facebook come all’ultimo buco disponibile: c’eravamo già nel blog, nel forum di periferia, ad imbellettare i lustrini di una pagina di myspace,tra i commenti del nuovo nato e a lasciare un segno alla ragazza dal nome coperto – ma non basta più. C’è da riempire tutti gli spazi, tutto il disponibile,che per esserci ho bisogno di prove, che solo la mia traccia fisica trasferisce giustificazione al reale.
E torna alla mente Angela, la donna anoressica dei novanta barattoli di marmellata,che pur negandoseli allo stomaco,ne conservava in ogni luogo della casa: tutto traboccava del suo feticcio. Otturava di questo oggetto-cibo il proprio vuoto centrale.
“Il gusto – diceva – sta solo nel conservarli”.
Riempire di oggetti consumabili i vuoti della propria dimora lasciando intatto quello del soggetto. Che ci consumino gli altri, allora.

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20 Commenti

  1. Interessante ed attenta critica. Forse addirittura clemente nell’ignorare il meccanismo di cause, eventi, gruppi e regali. Mi associo ai complimenti.

  2. non c’è nulla al mondo per me più irritante del trovarmi d’accordo con El garouf
    sob!
    effeffe
    ps
    …eppur ci muove (facebook) e ci commuove

  3. analisi perfetta

    …eppur ci muove (facebook) e ci commuove

    non a tutti
    per fortuna
    ad alcuni può provocare un istintivo rigetto
    il non esservi un distintivo

    Facebook è un supremo horror vacui e il triste trionfo del meccanismo di “validation” che imperversa ovunque.

    validation, convalida, validazione è un termine tecnico che indica il processo per vedere se qualcosa per essere quel qualcosa rientra in certi parametri stabiliti

    se ci sono errori debbono essere corretti

    negando agli errori la qualità di pregio
    alle difformità mistero ed originalità

    se hai fatto un sito lo sotttoponi ad un test di WC3 detto
    Markup Validation Service
    inserisci l’indirizzo e ti dicono se il tuo sito è conforme a tutti i siti conformi

    oppure in campo farmaceutico

    Fornire un’evidenza documentata garantendo, con un alto grado di sicurezza, che uno specifico processo (o sottoprocesso) sia in grado di rendere in maniera ripetibile un prodotto conforme alle specifiche registrate ed agli standard di qualità predeterminati a priori

    Nell’arte e nella letteratura è molto forte il meccanismo di validazione:
    se tu piaci a tizio che piace a caio che piace a sempronio, tu piaci, o forse credi di piacere in assoluto
    piaci per catena di Sant’Antonio di piacenza
    e non ti interessa più nemmeno il piacere di per se

    lo standard di facebook è che per vedere ti devi validare anche tu, e potrai essere visto solo dai validati, e che tutti siano della stessa confraternita

    ,\\’

  4. E’ un articolo che ho molto apprezzato nel paragone Facebook e Blog.
    Devo dire che Facebook mi ha sempre fa paura, non per mancanza di adattamento, ma per sensazione di varco senza limite.
    Universi di amici che attraversano lo schermo, scia infinita dei vincoli, questo infinito mi fa paura.
    Ho sempre girato con una piccola pianeta dell’amicizia, sapendo ricordarmi degli occhi di un amico, della musica della sua anima; ho paura di un universo di volti affascinanti, ma senza vincolo dell’affetto, di un narcissismo
    che non si interesse all’altro, della pelle in superficie, del sorriso ben studiato: mi scarto del giocco.
    Per il blog è diverso, posso fare corrispondere un commento con una sensibilità, un’anima, e nella grazia dell’incontro ricordarmi un volto, una voce, una manera di vivere nel mondo.

  5. Mi sembra poco concreto, questo articolo. Facebook, come ogni cosa della rete, è uno strumento. Più che altro di cazzeggio. Ma demonizzarlo… Non sono d’accordo, non ancora perlomeno. Si vedrà. Le cose si possono vivere anche con distacco; le vetrine, esistere nell’Altro… cose che succedono da sempre anche nella vita cosiddetta reale. Niente di nuovo. Cosa c’è da demonizzare?

  6. Il fatto è che Facebook è l’immobilità assoluta, un altro passo avanti verso la distruzione della temporalità. Su FB nulla accade; esso è il Fuori, l’atemporalità che descrive, per negazione, la realtà, di cui essa è il ri-getto.
    Su FB si è terzi perchè l’io e il tu, la possibilità della relazione è ex-clusa, ruminata nella presentazione impossibile di relazioni passate, oppure sconfitta ed emarginata mediante il meccanismo di inclusione obbligatoria e reciproca, che questo articolo ben descrive. Si è amici per forza, perchè lo si è stati o perchè non lo si è mai stati e questa assenza di amicizia è l’inquietante da cui si rifugge.
    Ciò detto, tutto ciò è un ottimo motivo per stare su Facebook, per ricercare nell’evidenza della sua matrice panoptica l’ipotetica falla che consenta opportune e segrete evasioni nella realtà.

  7. Cara Mariasole Ariot, ti ho appena inviato una richiesta di amicizia su facebook!! Se tu accetterai saremo amici! Che ne dici? Ti si aprirebbero infinite strade! Prendere o lasciare! La decisione è tua!

  8. Devo leggere con calma (e non ho tempo perché vado a un’assemblea territoriale nella mia scuola, per parlare di Gelminismi), ma non mi pare di concordare quando dici “E’ inquietante questo passaggio dall’urlo necessario alla necessità del fare della propria immagine luogo libidico. “Solo se passo attraverso l’Altro, se mi vedo nell’Altro, io sono”.
    Sarà anche inquietante però è esattamente il meccanismo dialettico descritto da Hegel a Sartre, per non dir nulla di Freud e Lacan.

    Mi sembra che i blog, che non mi sono mai piaciuti, non fossero altro che Facebook in potenza, in attesa di essere attualizati da Facebook.
    Il blog è onanistico, Facebook è socializzazione, comunità-
    E la scrittura d’altra parte è sempre un gesto che dice: leggimi, io parlo.
    Il problema non è (mai stato?) il medium ma il contenuto e la forma di ciò che si scrive/dice, e il loro rapporto, ossia lo stile.
    Si possono dire meravigliosamente cose false, e malamente cose vere.
    La filosofia si basa sulla non coincidenza tra pensiero e linguaggio, a differenza della poesia.

    Facebook manifesta il nostro desiderio di Comunità Virtuale, più di qualsiasi altro social network precedentemente conosciuto

  9. Edoardo, centri un punto importante a parer mio. Ma quel punto dev’essere superato. Freud, Lacan – ma allora anche, e anzitutto, Girard. La comunità, certo – ma quale? Questo è il punto. Perché la comunità che accetta supinamente di giacere nei desideri altrui – ha un nome: Dogville. E facebook – io trovo, concordemente con mariasole, che sia esattamente un mix di Dogville e di un reality per tutti (sai, il quarto d’ora di celebrità warholiano).
    Solo una comunità che, consapevole di questa presenza dell’Altro, decide (performativamente) di andar oltre, e di ri/crearsi – può essere una società emancipata (e il richiamo del lemma alla dialettica hegeliana non è casuale). Solo dicendo No, si distrugge Dogville – e ci si fa madri di se stessi. A Facebook-ville, invece, il meccanismo è annichilirsi, in nome del compiacimento dell’altro.

  10. Rispondo sempre di corsa, Marco, perchè ora all’assemblea territoriale sulla scuola vado davvero (appunto: mi interessa la Comunità Reale).

    Io su Facebook ho conosciuto molta gente interessante, che dei dogvilliani non ha proprio nulla, almeno di questo sono certo.
    Uno per tutti, che non si può certo tacciare di conservatorismo: il grandissimo Aldo Nove, non a caso poi scacciato da Facebook, e per il quale stiamo chiedendo il reinserimento agli ottusi gestori.

    Il problema semmai è questo: Facebook non è perfetta perchè è un’azienda, con tutto l’arbitrio di ogni azienda.
    La socializzazione virtuale di cui parlo, dunque, è ancora soltanto un simulacro della vera socializzazione connettiva, la Rete di cui tutti i web-deleuziani, da Lévy a Raf Valvola, hanno sognato da decenni.
    Questo non ce lo dobbiamo scordare. Ma è un po’ come il capitalismo per Marx o per Negri: è lo stato reale delle cose che bisogna abolire, ma in esso ci sono i germi del futuro.
    La distruzione di cui parli tu, Marco, mi pare un po’ troppo bakuniana e nichilista per permettere un’immaginazione positiva del futuro stato reale della cose.

    Mi scuso ancora per la fretta, ma l’argomento Facebook mi interessa molto.
    Ora vado davvero a incontrare famiglie, colleghi, politici cittadini e sindacalisti. Santa Gelmini, che ha suscitato un fermento come non ce n’erano da qurant’anni (almeno credo, io son più giovane)

  11. Cosa buona e giusta, la Comunità Reale. E fai bene a scappare da facebook per codesta…;-)
    Comunque – un argomento ad personam (il fatto che tu hai conosciuto persone interessanti) non può confutare questa tesi – che sta su un piano “trascendentale” – ché essa espone le dinamiche proprie di questa specifica reticolarità – e il perno di questo ragionamento è questo “nulla” esposto, e la modalità relazionale che invita al consenso e all’approvazione reciproca. In questo senso, se mai, è l’esatto contrario del blog.

  12. Come detto altrove, ovvero su Facebook, a proposito delle medesime parole di Edoardo: io non credo affatto nè alle comunità virtuali, nè a quelle reali. Accadono, diciamo, degli incidenti di percorso, degli apparati di cattura(plagiando e deviando questa metafora ormai moribonda), e FB è uno di questi apparati. Il fatto è che l’unica possibile comunità è prigionia, ma solo da prigionieri si può realmente evadere.
    V’è dell’altro, certamente: meglio, Altri, una pluralità inesauribile di istanze desideranti, che smaglia qualsiasi network sociale e continuamente riproduce la necessità di un’altra rete ancora più estesa eppure più stringente, che ci consenta paradossalmente di restare infinitamente soli e indefinitamente multipli.

  13. c’e’ tanto bisogno di espressione in giro ed espressione non sempre vuol dire narcisismo. ogni “medium” ha il suo pro ed il suo contro. dipende sempre dall’uso che si fa del “veicolo” in questione. l’ovvieta’ del mio commento e’ quasi imbarazzante. ma e’ anche molto ovvio l’articolo che sto commentando con ovvieta’.

  14. Mi chiedo solo perché si debba necessariamente dire cosa si sta facendo. O accettare l’amicizia solo perché ci viene chiesta. Lo chiedo a lei, Rovelli: perché ha accettato la mia richiesta di amicizia se pensava che questa potenzialità di conoscenza reciproca non valesse la pena? Non sarà invece allora che il meccanismo come è ovvio che sia amplifichi, sottenda o citi quello che accade là fuori, ivi comprese le coazioni a ripetere? Ho conosciuto gente molto interessante lì, intrecciato discussioni, riflettuto sulle potenzialità e i rischi del mezzo. Da qui a proiettare i propri incubi dogvilliani…mi sembra, beh, un po’ troppo…

  15. Signorina Renda, lei avrà notato che su facebook non sono residente, ma è un barino che frequento solo di passaggio. Peraltro, così come è accaduto a Mariasole, certi meccanismi li puoi esperire unicamente dall’interno – evidentemente. Io mi sono iscritto un paio di mesi fa, credo, e ho osservato quel che Mariasole ha osservato. Dopodiché continuo a mantenere attivo il mio account per mero interesse, lo ammetto: è un’ottima mailing list, per quanto mi riguarda, per far sapere della mia attività musicale. E se me ne servo per questo, ciò non significa che non veda il trascendentale della sua dinamica comunicativa.

  16. Certo, il trascendentale della sua dinamica comunicativa non le impedisce di farsi vedere, conoscere, comunicare :-)

  17. Mariasole. tuo fratello mi consiglia di leggere. Anche io scrivo. Su internet.

    Mi ripromettevo di spendere anche io delle parole su questo fenomeno telematico di amicizia/cordialità/sterile abbraccio freddo fra sconosciuti.
    alcune di quelle parole che non ho ancora trovato le hai trovate tu. Non posso dire di essere d’accordo con tutto quel che dici perché ho la netta e solidissima convinzione che ci sia bisogno, come dici tu, dell’Altro. che sia virtuale o fisico, amato o disprezzato: siamo un po’ troppi per esserei schizzinosi. E troppi per non esserlo.
    Il gatto si morde la coda, questo gattone che abbiamo creato noi e che nutriamo.
    Non so ancora su quale gradino del podio sia collocabile facebook o qual per esso.

    Io le parole non le ho ancora trovate.

    Misha

  18. Riprendo la parola e insisto.
    Facebook è come l’Analizzante: è un automa spirituale, disumano e immaginario.
    E’ freddo e immondo se vi proiettate dentro la vostra freddezza e la vostra paura. Ma se invece socializzate il divertimento può essere uno strumento interessante, può generare relazioni positive.
    Non è affatto vero che il mezzo è il messaggio, non soltanto, almeno. Su FB ci sono degli idioti che insultano i rom – e infatti ora li denunciamo – ma ci sono anche degli persone che socializzano affetti, intelligenza, idee, progetti ecc. ecc.
    Il difetto di Facebook, insomma, sta tutto nelle persone che lo usano: se gli utenti fanno schifo, fa schifo anche Facebook, se invece gli utenti sono delle persone meravigliose, anche Facebook è una cosa meravigliosa.
    Facebook è un insieme di relazioni, non è un luogo e nemmeno una sostanza. Non è un soggetto né un oggetto: è intersoggettività; non è un mezzo né un messaggio, non è nè forma né contenuto: stile comunicativo

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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