Teocrazia imperfetta

di Alessandro Carrera

Un mio collega che segue le cose italiane mi ha chiesto di spiegargli che cosa significa per l’Italia la controversia intorno a Eluana Englaro (che in America ha fatto capolino anche su CNN). Senza pensarci, istintivamente, gli ho detto che per capire l’Italia di oggi deve pensare all’America coloniale, prima della dichiarazione d’indipendenza. Finché è durata la Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana aveva un’importante funzione di mediazione tra il Vaticano e l’Italia. Venuta meno la DC, la mediazione è saltata, e gli italiani si sono trovati esposti alla lotta che da allora, a Roma come nel resto d’Italia, si svolge tra due stati per il controllo dello stesso territorio. Il risultato è una situazione coloniale e una teocrazia imperfetta.

In una nota dello “Zibaldone” datata 1 dicembre 1825, Leopardi osserva che i romani e in generale gli italiani, per via del gran numero di papi non italiani che hanno avuto, sono l’unico popolo che non trova strano il fatto di essere comandato da un capo di stato straniero. Tale situazione di “pacifica e non cruenta schiavitù, e quasi conquista” (parole testuali) non solo è data per scontata, è anche obliata. Molti italiani non sanno affatto di vivere in una colonia e non in uno stato sovrano, che le curie vescovili agiscono sul loro territorio come agenzie coloniali, e che lo stato non è retto da governanti ma da governatori.

Alcuni di questi governatori hanno mantenuto un certo grado di autonomia e infatti sono stati rimossi. Altri, come quello attualmente in carica, si vogliono distinguere per zelo e fanno di tutto per guadagnare crediti agli occhi del loro sovrano.

Che cosa vuole un potere coloniale? Riscuotere le tasse (l’otto per mille, pagato in anticipo dallo stato italiano, prima ancora di averlo incassato) e tener buoni i nativi. Non interviene a gestire la cosa pubblica. A tale scopo ha bisogno di una classe di colonizzatori collocati nei governi locali, nell’istruzione e nei media, e che avrebbero tutto da perdere se la popolazione locale alzasse la cresta e volesse prendere decisioni autonome. Non disponendo di un esercito, la potenza coloniale dalla quale l’Italia dipende fa di più e di meglio: sostenendo di essere l’unica istituzione in grado di interpretare il diritto naturale (ma se è naturale come può avere un solo interprete?) sottrae al popolo la possibilità di gestirsi come soggetto morale. Agli occhi di questo potere coloniale, la popolazione è fatta di indigeni senza autonomia decisionale e che devono essere guidati, premiati o castigati a seconda dei casi.

Vivo in America da ventun anni. Quando torno nel paese in cui sono nato, ogni volta che varco le porte di un’istituzione connessa alla gerarchia religiosa capisco di trovarmi di fronte all’unica classe dirigente che esista oggi in Italia. Sono svegli, colti, informati. Viaggiano, imparano, e hanno un’idea molto chiara dello scopo che perseguono. Tra loro vi sono serie differenze d’opinione, naturalmente, perché la Chiesa è una grande istituzione, tanto vasta al suo interno da poter essere reazionaria su alcuni punti e progressista su altri, nonché dotata, su alcune specifiche questioni, di maggiore buon senso dei governanti laici. Voglio solo far notare che questa classe dirigente, la sola attiva in Italia, non lavora per l’Italia ma per un altro stato, che i suoi rappresentanti sono agenti di una potenza straniera operante su un suolo colonizzato e che i funzionari indigeni, se in un momento di crisi devono scegliere tra la potenza coloniale e la colonia, sanno benissimo che la loro lealtà deve andare alla prima.

Le conseguenze di questa teocrazia imperfetta sono molteplici. Da un lato, la potenza coloniale costituita dal Vaticano, dalla CEI, dalla Compagnia delle Opere (stavo per dire la Compagnia delle Indie, ma del resto i gesuiti nel Settecento chiamavano le isole “le Indie d’Italia”) raccoglie tutti i benefici; dall’altro non si assume responsabilità spicciole. Non deve costruire ferrovie, risolvere crisi economiche o ripulire i cantieri dall’amianto. Questo è compito dei funzionari indigeni. Se falliscono, la colpa è interamente loro. La potenza coloniale aborrisce i dettagli, glielo impedisce la sua stessa superiorità morale. Molti studiosi della modernità, stranieri e non, osservano spesso che gli italiani non hanno ben chiaro che cosa sia la responsabilità individuale, e nemmeno di che natura sia il vincolo che lega il cittadino alla legge. Ma nessuno può crescere come soggetto morale e giuridico se ogni giorno constata che nemmeno i governanti da lui eletti sono padroni in casa propria, e che l’ultima autorità non risiede mai presso di loro, bensì presso i rappresentanti di uno stato straniero che lui non ha eletto e non avrebbe potere di eleggere.

La situazione di teocrazia imperfetta toglie agli italiani la dignità di decidere e quindi anche di sbagliare, affrontando da adulti le conseguenze delle proprie decisioni. Agli occhi della gerarchia coloniale gli italiani sono dei Renzo Tramaglino, tanto bravi e un poco sciocchi, e se non interviene Fra’ Cristoforo a dirgli che cosa devono fare non ne combinano una giusta.

Finché il popolo italiano non si renderà conto di essere colonizzato non avrà nessuna speranza di diventare adulto. E nulla cambierà finché non verrà sottoscritta una Dichiarazione d’Indipendenza del Popolo Italiano. Che potrebbe cominciare ispirandosi a quella stesa da Thomas Jefferson: “Quando nel corso degli eventi umani diventa necessario per un popolo dissolvere i legami politici che l’hanno legato a un altro e assumere, tra le potenze della terra, lo statuto separato e uguale al quale le leggi della natura e divine gli danno diritto…”. Gli italiani potranno allora ascoltare quello che i loro funzionari ex-coloniali hanno da dire, e potranno loro rispondere: “Grazie, terremo conto del vostro parere, ma siamo indipendenti, siamo un’altra nazione”.

È difficile per due nazioni condividere lo stesso territorio, ma una nazione è formata dai suoi cittadini e dalle sue leggi, non dai suoi chilometri quadrati. E siccome la strada verso questa indipendenza sarà lunga e faticosa, intanto è bene che la Dichiarazione d’Indipendenza venga sottoscritta interiormente, cittadino per cittadino, che si faccia ricorso ad essa ogni volta che si tratta di prendere decisioni difficili, e che in ogni momento della giornata venga sempre tenuta in mente, stampata a caratteri d’oro, costi quello che costi.

*

[Articolo già apparso su Zibaldoni e altre meraviglie.]

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25 Commenti

  1. C’è una ragione, se il popolo colonizzato non sente il peso della colonizzazione. E questa ragione sta in un tacito patto che riguarda il denaro. Finché la Chiesa non tocca direttamente questo interesse – e non lo tocca, salvo alcuni deboli memento sull’obbligo fiscale e i guasti degli eccessi del capitalismo – limitandosi a ricordare il valore della carità, la maggior parte degli italiani continuerà ad avere due morali, una di facciata che riguarda il corpo e che è facilmente trasgredibile nell’ipocrisia e risanabile nella confessione, e l’altra privata dove tutto è ammesso purché non faccia scandalo.
    E’ vero, la Chiesa è una grande istituzione, ma qualcosa le è sfuggito di mano, la televisione commerciale, cioè il denaro, quella parte del patto che le ha permesso di non avere oppositori, ha cfinito per creare un nuovo ibrido, un cittadino schiettamente pagano, superstizioso, disinteressato ormai alla vecchia morale di facciata, ma pronto a baciare l’immaginetta di padre pio, a “credere” comunque, a darlo per scontato, in una schizofrenia così manifesta che neppure la Chiesa sa dove mettere le mani.
    C’è qualcosa che manca, in questo pezzo di Carrera che condivido, un pezzo di analisi che forse dovremmo fare.

  2. La teocrazia italiana (più fondamentalista di quelle mediorientali) è formalmente imperfetta per essere sostanzialmente perfettissima. Perfezione codificata attraverso il “dogma” dei due Stati, quando in realtà sono uno solo: stesso territorio, stesso popolo, stessa direzione politica. Con la consueta ipocrisia cattolica si definisce l’Italia uno Stato laico perché i due poteri (quello religioso e quello politico) “appaiono” collocati in organi e mani diverse. Di fatto il secondo obbedisce al primo, anzi assembla col primo un potere unico, al contempo secolare e trascendente. Ciò è palese quando il governo tenta di basare scelte illiberali (come nel caso Englaro) con motivazioni “spirituali” o addirittura “morali” (berlusconi che pontifica di etica è di per sé un paradosso, ma abbiamo visto anche questo): lo Stato che si occupa delle scelte morali dei cittadini è uno Stato totalitario. Formalmente, peraltro, siamo in un ambito di perfetta democrazia: alla maggioranza va bene così, ed è una maggioranza in aumento. Rovesciando un vecchio slogan libertario, possiamo parlare di “ipocrisia al potere”: esattamente quella delle masse cattoliche che ammettono l’eutanasia sottobanco, che copulano fuori del matrimonio purché non si venga a sapere, che invocano la pena di morte e rifiutano il perdono, che non vanno nemmeno a messa ma seguitano a girare col vestito buono alla domenica, lo stesso con cui sperano di entrare in paradiso.

  3. Non scriviamo baggianate. Dagli Stati Uniti poi… Sono i politicanti italiani che feudali soggiacciono a Mammona. Senza mai riuscire mai ad emanciparsene piSSicologicamente. Perché alla Chiesa si può dire di NO. Col consenso degli Italiani.

    Prodi? Don Abbondio!
    Veltroni? La Perpetua!
    D’Alema? La Monaca di Monza!

  4. E qui ritorniamo, anche senza volerlo, a citare un verso memorabile della Costituzione Italiana. Si tratta dell’Art. 7 che cita testualmente:
    Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
    Ma non dice che l’uno non possa influire nelle scelte politiche, religiose, civili e morali dell’altro.
    Non vorrei deridere la Costituzione Italiana, che io stesso difendo come cittadino del mio belpaese, ma spesso, leggendola questa Costituzione, non capisco se quegli articoli rappresentano gli ideali dei padri fondatori oppure le basi ferme sulle quali doveva essere costruita la nostra Repubblica e che poi sono state suo malgrado disattese.
    Dico questo perché non sempre la Costituzione viene rispettata, nei suoi principi fondamentali, che sono invece spesso soggetti ad interpretazione.
    A partire dall’Art. 1, secondo il quale, la Repubblica Italiana è una Repubblica fondata sul lavoro. Ma non spiega esattamente cosa intende, se ogni cittadino ha il diritto ad avere un lavoro oppure che la Repubblica è fondata sul lavoro di alcuni, mentre gli altri ne godono dei loro frutti.
    Quante volte abbiamo constatato, dal dopoguerra ad oggi, che non è stato così? Si fanno le regole del gioco e poi si decide, di volta in volta come interpretarle. Pertanto mi sovviene un dubbio:
    o la Costituzione Italiana non viene presa sul serio oppure è soggetta a libera interpretazione. Un po’ come avviene nelle aule dei tribunali, quando i giudici, applicando le leggi dello Stato, applicano ad esse la loro personale e spesso opinabile interpretazione.
    L’Italia è senza dubbio uno strano Paese, per le sue contraddizioni interne, è forse per questo motivo che, chi ci osserva da fuori, ci giudica un popolo sregolato ed inaffidabile.
    La chiesa ha sempre messo il naso nelle questioni nazionali, impedendo o comunque frenando, quel processo di cambiamento e di rinnovamento inevitabile del nostro Paese.
    Ma come per ogni cosa, le resistenze non sono destinate a durare in eterno. Basta pensare alla battaglia sul divorzio e sull’aborto.
    Anche in quei casi ci fu ingerenza da parte della Chiesa, che vi si oppose fermamente, ma che non poté evitarne il cambiamento, dietro la forte spinta della volontà popolare.
    In molte situazioni la Chiesa ha preso atto di questa volontà popolare e, pur di non perdere il suo consenso, la ha assecondata.
    Cosicché ci siamo trovati a confrontarci con una Chiesa più moderna e meno bigotta a cui eravamo abituati. Ma la strada è lunga.
    Oggi la Chiesa si trova di fronte a nuove battaglie. Vuole impedire il matrimonio fra gay, vuole impedire l’interruzione dell’alimentazione nei pazienti in stato vegetativo permanente (che essi sostengono trattarsi di eutanasia) e molte altre limitazioni alla trasformazione sociale del nostro Paese. Ospitare uno Stato ecclesiastico nel proprio territorio comporta una lunga serie di svantaggi, ecco perché il nostro Paese fatica a compiere quelle riforme sociali che in altri paesi invece sono consolidate da anni. La Chiesa però, può soltanto rallentare questo percorso di cambiamento ma non può impedirlo del tutto.
    La Chiesa deve realizzare la sua trasformazione molto più lentamente di uno Stato laico, perchè, se a questi ultimi una qualche concessione sull’interpretazione costituzionale è più o meno concessa, agli altri nessuna interpretazione ideologica deformante è ammessa.

  5. Mah… l’articolo del caro Alessandro mi pare ispirato da un laicismo sconsolato, ma lui stesso dice che la chiesa romana è un’istituzione vasta, credo che intenda complessa, e quindi il discorso dovrebbe riflettere questa complessità. Carrera pone un tema serio, le relazione tra istituzioni che dovrebbero essere sovrane, ciascuna nel suo ambito, ma qui da noi gli ambiti si sovrappongono, a partire dal territorio. E’ un dilemma presente in altri paesi a maggioranza “cattolica”, beninteso, Irlanda, Polonia, Spagna, ma non con le forme che ha in Italia.
    E tuttavia ciò che la chiesa affronta da qualche secolo è la questione della secolarizzazione, che è tema da far tremare i polsi. Io non direi che la chiesa si possa utilmente descrivere come un potere sovrana che esercita un dominio coloniale. La chiesa, mi sembra di poter dire, è profondamente in crisi anche a partire dai fondamenti (adesioni=vocazioni, istituti, etc.). Ma è l’intero mondo a essere in crisi.

  6. qui da far tremare i polsi c’è una sola cosa, a voler ben guardare in faccia la situazione del “paese reale”: lo strapotere, in qualsiasi luogo di lavoro ad esempio, dei clericali, che possono tutto, possono intervenire dappertutto, possono perfino farti perdere il lavoro, se vogliono. soprattutto nella pubblica amministrazione, e soprattutto, ancora ad esempio, al sud. se si guarda, inoltre, alla situazione di degrado di civiltà complessivo del medesimo sud, la cosa è ancora più grave, perché la chiesa succhia il suo strapotere da queste radici di inciviltà o barbarie; le sfrutta, le capitalizza, le rinvigorisce. con il risultato che stiamo come stiamo e ci vorrebbe qualcosa di veramente rivoluzionario per cambiare. ma le rivoluzioni, si sa, le fanno i popoli civili.

  7. La metafora della madrepatria dovrebbe esser presa solo come ipotesi esplicativa. Ma è utile per impostare un ragionamento, che non viene accennato, sulla sovranità italiana.
    La carta dice che dovrebbe essere sovrano il popolo, giusto?
    Sovranità popolare. Ciò che osserviamo è uno svuotamento di questa sovranità, non una sua fondazione teologica. Invece di scomodare l’iperbole della teocrazia, tentiamo di capire perchè manca la democrazia. Gli Usa, il Vaticano, la Confindustria, l’oligarchia inamovibile partitocratica, sono i surrogati di questa sovranità puramente retorica, cartacea. Non è da oggi che l’italiano mostra la sua incivile latenza, la sua clericale latitanza. La pancia è piena del suo particulare, chi glielo fa fare di gettarsi nella battaglia contro i diversi poteri coloniali? Non è la teocrazia imperfetta che TOGLIE la dignità di decidere. L’italiano non la vuole questa dignità. Nessuno l’ha mai educato; pochi l’hanno esortato a rivendicarla.

  8. Il pezzo di Carrera sembra scritto nel 1800 ! Prima di tutto l’Italia è una nazione senza sovranità dal momento in cui ha aderito all’Unione Europea, inoltre la Chiesa oggi non ha nemmeno più una dottrina propria e in materia di fede prende ordini di volta in volta da ebrei e musulmani…
    E poi l’alternativa quale sarebbe ? Le Chiese Protestanti americane, con gli invasati che aspettano l’Apocalisse ?

  9. eh sì, meglio il walhalla tappezzato di rune e di svastiche, meglio odino e thor. e tutti in costume, mi raccomando, aspettando l’arrivo dei fantastici quattro previsto proprio per carnevale. o forse, meglio ancora, farsi vedere da uno veramente bravo…

    come se non bastassero già il pastore tedesco e la sua banda di invasati

  10. signor satana, è vero, considerando l’ottusità di questi nostri tempi, l’articolo di carrera viene proprio dall’ottocento, ma da quell’ottocento che guardava ben oltre il proprio naso, come dimostra ad esempio questo leopardi qui, sul quale lei farebbe bene a meditare, prima di sparare inutili sentenze:
    “Roma, la prima e più potente città che sia stata al mondo, è stata anche l’unica destinata e quasi condannata a ubbidire a signori stranieri regolarmente, e non per conquista né per alcuno accidente straordinario. Ciò negli antichi tempi, sotto gl’Impp. (Traiano, Massimino ec. ec.), e ciò di nuovo ne’ moderni sotto i Papi (moltissimi dei quali furono non italiani), e l’una e l’altra volta ciò passò in costumanza ed ordine fondamentale dello Stato, cioè che il Principe di Roma potesse essere non romano e non italiano. Così la prima città del mondo, e così l’Italia, prima provincia del mondo, pare per una strana contraddizione e capriccio della fortuna essere stata (nel tempo medesimo del maggior fiorire del suo impero, sì del temporale e sì dello spirituale) condannata a differenza di tutte le altre ad una legittima e pacifica e non cruenta schiavitù, e quasi conquista. (Bologna 1. Dec. 1825)”. Giacomo Leopardi, ZIBALDONE, p. 4157

  11. Mi spiace, ma Roma non valeva un cazzo già ai tempi del grandissimo Leopardi. Il problema sta nella nostra classe dirigente. Non nella Chiesa.

  12. Condivido. E’ necessario un ricambio generazionale in questa classe di dirigenti senz’arte né parte.
    E’ presto spiegata l’ascesa, senza ostacoli, di Berlusconi & C.
    Ha trovato la strada spianata, nessuno che potesse dargli del filo da torcere, che potesse contrastarlo, dargli battaglia fino in fondo.
    Occorre trovare un soggetto politico nuovo, con idee innovative, rivoluzionarie, convincenti, che guardino al futuro.
    Non intendo cambiarsi d’abito di tanto in tanto.
    Intendo una vera rivoluzione, politica e culturale, che dia la vera svolta,
    che sappia dare fiducia e credibilità alla gente.
    E’ necessario anticipare i tempi, capirne i cambiamenti e ad essi imparare ad adeguarsi.
    Ad oggi non c’è ancora stato un soggetto politico che si sia illuso di sopravvivere al vento del cambiamento e del rinnovamento ideologico.
    Quindi, avanti i giovani. Forze fresche con idee fresche.

  13. Il clero di Roma intuisce che innanzi alle merci e al tecnicismo non potrà nulla, ciò non vuol dire che vuole capitolare prima del tempo. Resistenza a una modernità che è, allo stato attuale, inaffrontabile, si fonde con un passivo adattamento alla stessa. Questa religione sacrilega e moralista si avversa con una nuova interrogazione su ciò che è sacro. Gli atei in questo si dovrebbero impegnare.

  14. Non c’è una sola parola che io non condivida e, anzi, potrei aggiungere che nemmeno la mafia sfugge a questo giogo il quale, si badi bene, non ha chiavistelli torniti su principi spirituali, che sarebbero da me ben accetti e auspicati, rappresentando il servizio, da quella superiore visuale, l’unica forma sensata di governo. Purtroppo essendosi perduta ogni consapevolezza dei principi, universali e non morali, sui quali l’esistenza si ordina da sé, resta solamente l’ordinamento democratico (si fa per dire) che è specializzato nel dare ragione alle maggioranze, guidate da minorati spirituali.

  15. alcor scrive:
    “…un nuovo ibrido, un cittadino schiettamente pagano, superstizioso, disinteressato ormai alla vecchia morale di facciata, ma pronto a baciare l’immaginetta di padre pio, a “credere” comunque, a darlo per scontato…”.
    sintesi esatta.
    un paese di ornitorinchi etico-politici.
    mi convinco che il corruttore non è tanto la chiesa, ma proprio il cattolicesimo, il cristianesimo cattolico.
    per esempio la prassi dell’indulgenza, dell’assoluzione e dell’auto-assoluzione, che produce de-responsabilizzazione sistematica, per esempio.
    ma è solo un aspetto.
    concordo sull’indicazione di alcor a ripartire da qui.

  16. A Leopardi vennero offerte tre cattedre universitarie in Germania, che lui rifiutò per ragioni di salute. Come cittadino dello Stato della Chiesa avrebbero potuto offrirgli un posto di professore o bibliotecario anche a Roma, ma la gerarchia pose una condizione: che prendesse l’abito talare. Se Leopardi avesse sopportato meglio il freddo avrebbe insegnato filologia classica o studi danteschi a Bonn o a Berlino. La fuga dei cervelli non è cominciata ieri.

  17. l’8 settembre 1943, quando se la diedero a gambe il re, badoglio, gli alti comandi di marina, areonautica ed esercito ecc. ecc., quando ca 700 mila soldati italiani furono disarmati e deportati dai tedeschi in pochi giorni, quando la popolazione italiana, illusa che la guerra fosse finita, non sapeva più dove voltarsi fra bombardamenti perloppiù alleati, violenza dei tedeschi (e mettiamoci pure la fame, il freddo ecc), le unica autorità che non se l’era svignata e continuava ad essere punto di riferimento, era la chiesa: dal prete di paese fino al vescovo.
    Tiro fuori questo esempio di un trauma storico temo ancora sottovalutato, per dire che in questo paese la chiesa mi pare aver svolto un ruolo spesso ambivalente. Da una parte qualcosa che bloccava la formazione di una nazione e di uno spirito nazionale maturi. Dico “nazione” perché credo che per il formarsi della cosidetta coscienza civile ci voglia pure questo. Un sentirsi nazione che non implica dover essere nazionalisti.
    Dall’altra parte però la chiesa – non in astratto il Vaticano e le sue gerarchie, ma sopratutto quella radicata nel territorio, ha spesso sopperito alla mancanza di senso di responsabilità in cui si sono espressi generazioni di governanti italiani. E in parte continua a farlo persino oggi, nei tempi della peggiore involuzione reazionaria. Questi, gù dall’alto del Vaticano, lanciano accuse terrificanti all’indirizzo del povero Englaro padre, ci rintronano con la formula del “non dover mai più morire di fame e di sete”, e al tempo stesso si esprimono contro il pacchetto sicurezza e contro la denuncia dei clandestini. E se sono così potenti, se sono infiltrati ovunque nei gangli delle cose pubbliche (non solo al Sud, mario, qui siamo sub Formigoni e cl e Compagnie della Opere da decenni), temo che questo potere se lo siano in parte pure conquistati con la capacità di fare un po’ meglio. Così poi sfugge quel che chiedono in cambio, quelli che Carrera chiama giustamente l’unica nostra classe politica.
    Lo dico non in difesa, ma solo per mettere a fuoco meglio una situazione complicata.

  18. L’intervento di helena ha centrato il nocciolo della questione: i cattolici hanno lo stimolo a creare una rete capillare di associazionismo. E i laici ce l’hanno questo stimolo ?

  19. io credo che si trascuri, da parte un po’ di tutti, forse anche mia, una cosa fondamentale, di questo testo di carrera: il suo carattere iperbolico e paradossale, tendente, quindi, per natura, alle più impensate aperture. è scontato, ad esempio, che l’italia non è colonizzata, ma lo è perché non esiste paese al mondo in cui tutti i tg e i media in genere passino ogni giorno decine di comunicati e comunicazioni di ogni tipo provenienti dal vaticano, che, a dir poco, si intromettono nella vita politica e culturale italiana. non è difficile inquadrare la causa di questo strapotere invasivo: basta prendere le osservazioni di leopardi, poi anche quelle di helena (ma sono molto secondarie, secondo me, secondarie proprio in senso diacronico), e tutto torna. ma il punto, qui e ora, non sono le cause, bensì gli effetti e le soluzioni. non a caso l’iperbole di carrera fa riferimento alla storia americana e alla dichiarazione d’indipendenza. è curioso che nessuno, qui, abbia ripreso questo aspetto, che è anche il più forte e politico del suo testo. è curioso, ma è anche un segno dei tempi paradittatoriali in cui viviamo, tempi in cui vige ormai una silenziosa forma di dittatura che impone certi modi anodini del pensiero (e della scrittura), che ha paura di andare un po’ più in là dell’ordinario, esattamente come i cittadini delle ordinate città hanno paura di uscire di casa perché ci sono delinquenti, stupratori e rom. le vicende ultime del pd, e dell’opposizione in genere in italia, mostrano questo, secondo me: una incapacità diffusa (o paura) di pensare in termini di indipendenza per il proprio futuro, in termini, cioè, che prescindano da qualsiasi chiesa (qualsiasi ne sia la storia) e da qualsiasi ideologia o religione (altro nesso trascurato qui).
    ps: sulle differenze del clero tra nord e sud ci sarebbe molto da discutere. qui ci sono i sanfedisti, ancora.

  20. @helena
    sì, è così.
    quando ero bambino, negli anni cinquanta, il territorio non solo era presidiato dalla chiesa cattolica, ma per un ragazzino la parrocchia era l’unico luogo dove andare, dove trovavi sempre un pallone gonfio, di cuoio, tavoli da ping pong, un cinema che dava un film diverso tutti i giorni e costava poche lire, persino fisarmoniche e chitarre da suonare, si trovavano.
    in cambio ti facevano servire messa, oppure la funzione serale, ti davano la tessera dell’azione cattolica e il tuo primo educatore, maestra delle elementari a parte, era sempre un prete.
    ora questa è strategia e l’ha inventata, se non sbaglio, papa pio decimo.
    certo, dopo l’otto settembre il prete è sempre stato lì e talvolta c’ha lasciato la pelle, ma non credo che la cosa sia stata molto importante: l’italia era profondamente clericalizzata, il prete era una presenza assolutamente costante e naturale: che ci fosse anche in quella fase storica così dura, che aiutasse e si preoccupasse dei poveri e degli indifesi, era una cosa percepita quasi come ovvia.
    quando i movimenti social comunisti cominciarono a nuotare in quella stessa acqua, lo scontro si fece immediatamente durissimo e si vide subito che quella presenza non era solo pastorale, ma era anche, soprattutto, politica e culturale.
    insomma era potere.

  21. Il vuoto nel quale si innesta il potere del clero è, necessariamente, di ordine spirituale. Ma che significa “spirituale”, dal momento che lo Spirito è innominabile nella Sua essenza? Se nel Suo non essere diviso né limitato in alcun modo, perché assoluto, non è possibile considerare lo Spirito senza affermarlo, è però possibile osservare il senso relativo che da Quella spiritualità proviene, e questo “senso” è propriamente la direzione. La direzione stabilisce l’orientamento nello spazio fisico quando è riferita all’estenzione spaziale, e alla sfera delle intenzioni quando riguarda la spiritualità, individuale o sociale che si voglia. Se nello spazio fisico la direzione indica la qualità degli elementi fisici (spaghetti e zucchero sono composti analoghi di molecole, solamente ordinati differentemente nello spazio), in quello spirituale sono appunto le intenzioni che qualificano l’agire. A sua volta l’intenzione è sotto l’intera responsabilità individuale e lo è al di là dell’influenza ambientale, perché non è dipendente dal risultato. Si deve quindi dire che il potere del clero si avvale della capacità di definire principi sui quali poi s’innesta il suo agire. Agire che accumula prestigio e potere. Ma quali sono questi principi attraverso i quali la chiesa opera? Sono principi universali o sono principi morali? La differenza è grande, perché la morale è costituita dall’intrusione del sentimentalismo nei principi universali, con la conseguente corruzione delle leggi superiori che sono la norma dell’esistenza. La manifestazione della realtà è in continuo movimento e questo muoversi di ogni cosa è la conseguenza di uno dei principi universali il quale, imponendo all’esistente di cercare migliori equilibri, lo deve imporre da una situazione di fissità propria, perché se questa legge universale non fosse immobile e non costituisse l’asse centrale del movimento, questo muoversi cesserebbe al variare di questa stessa legge e la vita si fermerebbe. Ho dovuto mostrare cosa è un principio universale per fare capire che i principi della chiesa, pur derivando dalla conoscenza sovra individuale e universale del Cristo, si è corrotta nel considerare questi superiori principi solo in una visuale sentimentalistica che ha sistemizzato, piegandolo al proprio tornaconto esteriore, il senso dell’essere cristiani.

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franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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