Trittico per Taiwan

di Massimo Rizzante

a Danilo Kiš

lascia perdere gli abissi,
e concentrati sul male dei singoli molluschi
le specie scompaiono l’individuo invece più di Cupido è anacronistico
tieni presente che per quanto pronunciate le tue scapole non sono ali
(anche se a volte le Muse zoppicano e frequentano uomini mortali)
vedi, siamo esposti alla morte come provette alla luce,
la lucidità conta solo se si è perduti
e, infine, tra «l’apparenza della pienezza e la pienezza»
esiste una differenza
che né Dio né la genetica saranno mai in grado di scoprire

Danilo Kiš (1935-1989) è stato l’ultimo scrittore jugoslavo. Nato a Subotica (al confine con l’Ungheria), è morto a Parigi. Il padre era un ebreo ungherese, mentre la madre, di religione ortodossa, era originaria del Montenegro. Trascorse l’infanzia a Novi Sad (Voivodina, Serbia) fino al 1942, quando la sua famiglia, a causa del massacro degli Ebrei e dei Serbi da parte dei fascisti tedeschi e ungheresi, è costretta a fuggire. Il padre scompare ad Auschwitz nel 1947. Kiš, con la madre, è rimpatriato a Cetinje, nel Montenegro. Dopo gli studi letterari a Belgrado, diventerà lettore di serbo-croato a Strasbrugo, a Bordeaux e a Lille, in Francia. Dal 1980 fino alla morte vivrà a Parigi. L’intera opera romanzesca di Kiš, dalla trilogia Giardino, cenere (1965), Dolori precoci (1969) e Clessidra (1972), passando per Una tomba per Boris Davidovic (1976), fino a Enciclopedia dei morti (1983) è una grande sfida lanciata al mondo artisticamente più refrattario a essere descritto: quello di Auschwitz e della Kolyma. Egli, che ha vissuto da vicino la scomparsa non solo fisica, ma anche metafisica, dell’individuo – i corpi senza tomba dei campi di concentramento –, si è ribellato alla possibilità che ogni «singolo mollusco», ogni singola vita, fosse a tal punto distrutta da non poter essere ricordata e, attraverso anche pochi dettagli, ricostruita. Se la Storia, con i suoi orrori, ci ha insegnato che ci sono state vite che non hanno meritato di essere vissute, l’arte di Kiš è lì a testimoniare che nessuna morte dovrebbe rimanere priva di un volto.

a Iosif Brodskij

solo i dannati conoscono il futuro
non si curano se qualcuno abbatte un muro
hanno buone maniere con i clienti delle hall
ascoltano Ray Charles sulla spiaggia di Cape Cod

solo i dannati soffrono di cuore a causa di staliniti acute
leggono Auden in presenza di statue mute
mandano biglietti di condoglianze a chi si è perso in digressioni storiche
bevono indifferenti alle latitudini alcoliche

solo i dannati conversano con un celeste durante un pic-nic
usano tovaglioli di carta per scrivere a M.lle Véronique
scambiano con gli antichi sigarette e consorti
prendono al volo il vaporetto per l’isola dei morti

solo i dannati conoscono il futuro
passano giorni interi davanti a un muro
scontano lunghi anni al Polo Nord
si addormentano per sempre nell’impero del Superbowl

Josif Brodskij (1940-1996), poeta e saggista, è nato a Leningrado (oggi San Pietroburgo), è morto a New York ed è sepolto nel cimitero di San Michele, a Venezia. Insofferente all’ideologia sovietica, interrompe gli studi ed è educato dalla madre. I primi versi risalgono agli anni Cinquanta. Nel 1964 è accusato di «parassitismo sociale» e condannato a cinque anni di deportazione in una regione del nord dell’Unione Sovietica. Nel 1965 è liberato. Autorizzato a emigrare nel 1972, da allora sceglie di vivere negli Stati Uniti. Incomincia a scrivere anche in inglese e soggiorna per lunghi periodi in Italia, a Venezia. Nel 1987 riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Muore nella sua casa di Brooklyn al n. 44 di Morton Street. Brodskij fu scoperto e riconosciuto da Anna Achmatova, avendo come modello Mandel’stam. Si rivolse ben presto verso la poesia di lingua inglese: John Donne, T.S. Eliot, R. Frost, Auden, «la più grande mente del XX secolo». Fu un lettore di classici latini, soprattutto di Orazio. Tutta la sua poesia è una lunga e indisciplinata elegia, che, come voleva il suo amato Auden, si regge sulle «benedette leggi metriche che vietano risposte automatiche» e sullo spirito satirico che vieta alle sue domande di essere benedette dalla consolazione. Dolore e ragione.

a Seferis

Non ci sono testimoni, fumata nera

Ma almeno tu, Apostolos,
vieta al cancro dell’acqua di corrodere Venezia
Salva questo documento di pietra
perché io possa aggiungere al catalogo delle navi
qualche barchetta di carta
Per troppa concentrazione troppo a lungo
sull’acqua alta ho camminato e non ho camminato
Ti ho perduto

e non ti ho perduto

Giorgos Seferis (1900-1971), poeta e saggista, nasce a Smirne. Frequenta il liceo ad Atene e si laurea in Legge a Parigi. Nel 1922, in seguito ai massacri in Anatolia, la grecità è sradicata dalle rive dell’Asia minore. L’evento rimarrà impresso per sempre nella memoria di Seferis. Nel 1926 rientra ad Atene. Nel 1931 inizia la carriera diplomatica che lo porterà a vivere nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta in molti paesi (Londra, Albania, Egitto, Turchia, Libano). Nel 1963 riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Muore ad Atene.
La Grecia antica, la relazione tra la Grecia moderna e la Grecia antica, la relazione tra la Grecia e l’Occidente: ecco i tre assi della poesia e della riflessione di Seferis. L’essenza dell’Ellenismo è la misura come giustizia. Così anche il verso di Seferis è misurato, giusto, privo di ricercatezza, di enfasi, né lirico né mai troppo figlio delle parole della tribù. Antico e moderno, ma profondamente storico, perché in grado di concepire la tradizione come un fiume che si rinnova ogni volta che il corpo del presente vi si immerge.

P.S. Il mio amico YU Jen-chih, redattore della rivista INK di Taiwan, mi ha chiesto tre poesie. La mia scelta è caduta su quelle dedicate a tre poeti europei a cui sono molto grato. Il mondo è vasto e non tutti i lettori di Taiwan conoscono Kiš, Brodskij e Seferis: che i miei minuscoli ritratti servano da ponte tra l’Europa e l’Oriente.

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12 Commenti

  1. Quello che cattura, in questo testo, è il tono affettivo-divulgativo che percorre con la naturalezza del battito di un cuore un’impalcatura fatta di elementi rarefatti e apparentemente scontati. Le informazioni sugli autori, infatti, qui non sono solo informazioni, ma qualcosa di più (acuiscono la curiosità e il mistero, la poesia); e i versi non sono solo versi, ma qualcosa di più (mettono in musica e rendono misteriosa l’ordinaria esistenza). Mentre leggevo, pensavo a che cosa potesse significare “per Taiwan”, e scoprendo alla fine che si trattava di “gettare un ponte” (con l’Oriente), mi confermavo nell’intuizione secondo cui un tale modo di scrivere e parlare di letteratura è il migliore per “gettare ponti” a prescindere – ossia in tutte le direzioni. E pensavo ai tanti mestieri che si svolgono a partire dal “gettare ponti”: e non mi stupisco, ad esempio, che Massimo Rizzante sia un professore e un critico letterario, perché un tale “pontificare” affettivo-divulgativo è forse l’essenza di ogni insegnamento o di ogni critica. Insomma, un’utile lezione per tutti i professori di scuola, ma anche per i tanti divulgatori cultural-industriali delle gazzette patrie, i quali spesso tutto sanno fare tranne che “divulgare”.

  2. le tue scapole non sono ali
    e l’addormentarsi nel Superbowll
    e le barchette di carte da aggiungere al catalogo delle navi
    volutamente elegiache e ferme, come in ogni omaggio ai padri, ognuna modulato sull’opera – e la vita – dell’affetto letterario., molto efficaci

  3. purtroppo e’ facile nella rete perdere la concentrazione, più che leggere si ingurgita tutto di fretta, si guarda appena la superficie. Tutti sono presi dalla smania di scrivere o meglio, scribacchiare – e nessuno di leggere -, tantopiù se hanno occasione, di stroncare, condannare e disprezzare….

    L’ultima poesia mi piace più delle altre, forse ne capisco meglio il sottofondo. E mirabili e intensi sono i miniritratti, che denotano la sapiente arte del critico e saggista qul è Massimo Rizzante è, e quale io conosco per aver letto il suo non siamo gli ultimi edito da Effigie.
    Ma da quale raccolta sono tratte le poesie ? vorrei chiedere all’autore

  4. @carmelo. La prima poesia è tratta da “Lettere d’amore e altre rovine” (Biblioteca cominiana), mentre le altre due da “Nessuno” (Manni). Se vuoi dammi il tuo indirizzo che te le mando.

  5. @franz krauspenhaar

    “ooops, è di rizzante, a kis è dedicata.

    senza offesa, è semplicemente la mia opinione (estremamente soggettiva ecc. ecc.)”

    chiedi scusa anche a Kis però.

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