Articolo precedente
Articolo successivo

General (Escort) Intellect

di
Beppe Sebaste

Premessa: ho pubblicato con Einaudi nel 2007, ho recensito decine di loro libri (e anche di Mondadori), e stimo coloro che portano avanti quel prestigioso marchio editoriale. E continuerei a pubblicarci per la stessa ragione per cui abito in Italia e non sono di nuovo emigrato all’estero, Barcellona o Amsterdam, per esempio (ci vogliono soldi ed energia anche per emigrare). Ma mi ha dato pena leggere sui giornali l’ultimo simulacro di dibattito civile degli scrittori italiani, l’ipocrisia di scoprire oggi imbarazzo a pubblicare per Mondadori o l’enorme arcipelago di aziende cultural-editoriali del primo ministro, come se lo scandalo non fosse identico da 15 anni, come se il problema non fosse l’enorme e abnorme conflitto di interessi, impossibile in una qualsiasi democrazia occidentale. Se è imbarazzante e inopportuno pubblicare oggi per una casa editrice il cui “utilizzatore finale” è Berlusconi, lo era già dal 1993-94, e anche prima di allora, perché la stessa esistenza del suo governo, e la sua discesa in campo, non è dall’inizio che un sotterfugio, un escamotage ad aziendam e ad personam.

Mi ha avvilito la povertà concettuale e sentimentale degli scrittori di sinistra, alcuni dei quali amici, che hanno precisato che la Mondadori non li ha mai censurati né interferito nei loro scritti (ma Saramago è stato censurato e rifiutato: non importa se accade a qualcun altro?), e soprattutto l’assenza di senso del tragico nella posizione di questi scrittori. Nessuno ha indicato la tragica serietà della situazione italiana, il regime linguistico-mediatico-politico guidato da troppi anni da un pubblicitario-padrone, un fascismo anestetico che ha permeato così bene la società da essere stato con ogni evidenza interiorizzato anche dalla società civile colta e di sinistra. Mi ha angosciato che Berlusconi venga considerato una specie di macchietta, un’innocua maschera italiana, qualcuno da cui è facile o anche solo possibile non farsi condizionare o censurare, insomma un problema di codici culturali – argomenti questi che già mostrano la rimozione della realtà, della memoria, della consapevolezza quali sono state programmaticamente, sistematicamente compiute dai governi Berlusconi. Come napalm, ho scritto più volte, il degrado morale e culturale dei governi Berlusconi, e l’influenza da lui esercitata come imprenditore del capitalismo culturale (vedi la definizione ormai classica di Jeremy Rifkin) ha desertificato i luoghi e i modi del pensiero, della Storia, dei valori, della condivisione e della civiltà – cioè concretamente la scuola, l’educazione, la cultura, la Costituzione, la dignità del lavoro, l’ambiente. La non innocente illusione di essere risparmiati e immuni, ne attesta anzi l’avvenuta interiorizzazione. Il pervicace fascismo anestetico di Berlusconi è terribilmente serio e tragico, e ricorda la lucidità del programma di Joseph Goebbels: “Bisogna forgiare e limare le persone fino a quando saranno diventate schiave, questo è uno dei compiti principali della radio tedesca”. Nel suo recente La libertà dei servi (Laterza) Maurizio Viroli spiega perfettamente come noi, cittadini italiani sottoposti a un potere enorme, non possiamo dirci liberi se non nel senso della libertà dei sudditi o dei servi. O, come ingiustamente è stato detto solo per le donne, di cortigiani e cortigiane. In inglese si dice escort. Siam tutti escort – editori escort, scrittori escort, giornalisti escort, e così via.

Ecco la consapevolezza del tragico di cui ho sentito così fortemente la mancanza nel dibattito attuale, dove è assente e sradicato anche quel minimo di continuità di pensiero e di memoria che ci dovrebbe far sentire contemporanei ai Minima moralia di Adorno, a quella “triste scienza” (traurige wissenschaft) che è poi la coscienza morale, doloroso rovescio della “gaia scienza” di Nietzsche, oggi possibile solo nelle forme dell’orgia del potere berlusconiano, una immaginazione al potere e del potere che beffa il celebre slogan del ’68. Ben prima della società della pubblicità in cui saltellano e rimbalzano innocue le voci odierne, furono dette e scritte cose irreversibili sull’industria culturale, sui presupposti di un degrado della realtà cui Berlusconi, riconosciamolo, ha soltanto appesa il proprio cappello. Ma abbiamo rimosso, o appollaiato come soprammobile sulla credenza, anche il Pasolini della scomparsa delle lucciole, quello che scriveva “Ho visto dunque ‘coi miei sensi’ il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione”. Lasciamo che sia Tremonti a citare Marx, la cui attualità è di un’evidenza abbacinante, perdiamo ogni consapevolezza e responsabilità intellettuale degli ultimi cinquant’anni, le analisi che mai come oggi descrivono la realtà dell’Italia.

Siamo in un paese dove “pensare” è sentito come sinonimo di “essere tristi”, dove la constatazione del successo di un prodotto (che sia un libro o un leader politico) soppianta il giudizio di valore, dove l’opposizione politica di sinistra ha preferito condividere linguaggio, logica e agenda con la destra invece che col proprio popolo elettivo; e dove anche scrittori e intellettuali hanno interiorizzato i meccanismi e le retoriche del potere e del datore di lavoro, invece di denunciarne la stessa colonizzazione della mente di cui siamo – tutti, nessuno escluso – vittime e conniventi. Non stupisce se Marchionne dice “basta coi conflitti capitale e lavoro”, “la lotta di classe è cosa del passato”, pur facendola lui, e guadagnando, per la prima volta nella Storia, 400 volte più dei tre operai licenziati.

Non è colpa del cineasta essere distribuito da Medusa, ma il suo imbarazzo sia atto d’accusa verso un capo di governo che ha interessi anche nel cinema, che condiziona e decide quali film sono distribuiti, cioè visti, nelle sale (ciò che accadde in Europa solo con Hitler e Mussolini). Non vi sia accusa né proscrizione verso gli autori che pubblicano con la galassia Mondadori, ma vi sia in loro consapevolezza e non abitudine, conflitto e non rassegnazione, che è anticamera dell’assuefazione e del collaborazionismo. Infine, ecco la mia personale verità: non so altri, ma io pubblicherei ancora con Mondadori perché il mio lavoro è di difficile remunerazione, e in Italia, dove il lavoro intellettuale è il più umiliato (si pensi agli insegnanti) è già tanto non sentirsi in colpa ad essere scrittori. Difficile trovare una casa editrice non connessa alla galassia Mondadori, ma soprattutto che sia in grado di pagare, e al tempo stesso non abbia interiorizzato i criteri di spettacolarizzazione, mercificazione e rapido consumo che caratterizza oggi il mercato culturale e delle idee, commisurate ai sondaggi e non al loro valore. Mondadori paga meglio? E’ importante per vivere. Parliamo allora di questo, di povertà, di bisogni, di spazi di espressione, e del lusso eventuale di pubblicare (sono sicuro che Eugenio Scalfari se lo potrebbe permettere) di pubblicare con altri editori il cui “utilizzatore finale” non sia Berlusconi, avversario del giornale che lui rappresenta. Rovesciando il titolo del libro che otto anni fa pubblicammo anche con questo giornale (sottotitolo: “Voci contro il regime”), siamo in vendita. Per forza.

P.S. 1 Nel dibattito sui giornali abbiamo letto molte parole vuote, questo è un fatto. L’anestesia (il fascismo) è definitivamente compiuta da quando i fatti – tutti – sono solo parole.
P.S.2 Letto su Repubblica che Vito Mancuso è rientrato nel merito della questione, annunciando che, dopo i libri già annunciati per Mondadori, cambierà editore.

(una versione più ridotta di questo intervento è apparso sul giornale l’Unità)

Print Friendly, PDF & Email

56 Commenti

  1. Hai fatto 99 e ti manca il 100… Fino all’ultimo paragrafo ti ho amato, poi…
    Dopo che hai lucidamente espresso una linea, un pensiero, un’azione, nell’ultimo paragrafo arrivi alla deduzione errata. Come a dire, fossimo del 1943: “occorre andare in montagna e fare i partigiani, rischiare la vita per la nostra libertà… ma io sto qui a casa, andateci voi”.
    Quello che dovresti dire, caro Beppe, è che noin è vero che sia (ti cito) “Difficile trovare una casa editrice non connessa alla galassia Mondadori, ma soprattutto che sia in grado di pagare”.
    C’è Feltrinelli, Rizzoli (coi suoi marchi) c’è GeMS (coi suoi marchi…). La verità è che per qualche migliaio di euro in più, tutta la tua riflessione perde valore se IL SINGOLO pensa di non poter cambiare le cose. E allora, visto che nessuno cambia editore (perché è attaccato a quelle manciate di euro) continuiamo ad ingrassare Berlusconi.
    Conosci Roberto Roversi? Quando nacque il gruppo 63 – in quegli anni – avendo compreso che nasceva il capitalismo cularale e la mercificazione della cultura, decise semplicemente (dopo un libro Einaudi, uno Mondadori, uno Rizzoli e decine di offerte di edizione) di non pubblicare più con le GRANDI CASE EDITRICI, e iniziò ad autoprodursi i propri libri. olto semplicemente, guadagnando meno. Una cosa, oggi, impensabile?

  2. “Mi ha avvilito la povertà concettuale e sentimentale degli scrittori”

    “anche scrittori e intellettuali hanno interiorizzato i meccanismi e le retoriche del potere e del datore di lavoro, invece di denunciarne la stessa colonizzazione della mente di cui siamo – tutti, nessuno escluso – vittime e conniventi”

    Caro Beppe,
    dici con grande esattezza cose che avevo provato a mettere a fuoco anch’io qui su N.I.
    s.

  3. Anche dal pezzo di Beppe Sebaste, oltre che da quello di Stefano Petrocchi, da molti a mio avviso frainteso, emerge un problema di fondo, che si tende peraltro a rimuovere in questa discussione.
    Il problema della riapertura dei ‘formati narrativi’ imposti dall’editoria generalista (e non solo dalla Mondadori), o meglio della loro ‘distruzione’, il problema della libertà di scrivere un romanzo fitto di digressioni o flussi di coscienza, magari senza dialoghi, quando non si è nessuno. Il problema di sfanculare l’imperante (e peraltro da me amatissimo, quando parliamo degli originali made in u.s.a.) modello tutto dialoghi e trama, provincializzato in ‘generi’, ‘scollature televisive’, ‘premi letterari’, ‘film tratto dal libro’.
    Si dovrebbe distinguere fra chi può permettersi economicamente, da scrittore, di emigrare dalla Mondadori e più in generale dall’editoria generalista, e chi non può. Ora per evitare facili accuse di snobismo, di ‘armiamoci e partite’ o radicaleria chic, quanto alla posizione economica degli appartenenti alla prima ‘categoria’ che intendessero ragionare sulla proposta, sarebbe opportuno che costoro riflettessero sui possibili effetti redistributivi di ‘opportunità’, che potrebbero essere prodotti da ‘scelte concrete’ e ben ponderate. Esiste una soglia, oltre la quale il livello di vendita di un libro dipende, di fatto, dal nome del suo autore e non più dal logo della casa editrice. La distribuzione di un libro potrà anche essere controllata dai soliti nomi, ma è comunque orientata al profitto. Non conviene, in termini di profitto, ‘boicottare’ l’autore famoso che se ne va. Lo si distribuisce uguale.
    Ragionando nell’ambito del ‘mercato’ (sull’autoproduzione rinvio al pezzo di Andrea Inglese), si tratterebbe di avere un po’ di palle, di ‘premiare’ il ‘coraggio’ di qualche editore medio-piccolo ( ce ne sarà qualcuno, i cui editor non pubblichino già per la Mondadori) di dare alle stampe il ‘pluralismo’ delle forme narrative. Parlo di ‘solidarietà’, si esatto, solidarietà e non elemosina per gente che magari scrive sul modello, oggi impubblicabile dagli editori generalisti, dell’Ulisse di Joyce o della trilogia beckettiana. Queste persone, i cui manoscritti languono magari da anni, potrebbero trovare forme concrete, indirette e non isolate di finanziamento, cioè potrebbero trovare ‘spazio’, attraverso le scelte editoriali degli autori che la soglia l’hanno superata, già in termini di conto in banca (sul talento non mi pronuncio. Il talento non c’entra, necessariamente, con il conto in banca. Nè con le agenzie di scrittura creativa).
    Un saluto

  4. Articolo condivisibilissimo, ma anche il senso del tragico ingiungerebbe di andarsene da Mondadori, no? Le conclusioni rappresentano un non sequitur:

    Difficile trovare una casa editrice non connessa alla galassia Mondadori, ma soprattutto che sia in grado di pagare, e al tempo stesso non abbia interiorizzato i criteri di spettacolarizzazione, mercificazione e rapido consumo che caratterizza oggi il mercato culturale e delle idee, commisurate ai sondaggi e non al loro valore.

    A parte il fatto che mi pare che davvero pochi editori abbiano compiuto intera l'”interiorizzazione” de cuius – un processo reale ma qui dipinto per iperboli, non capisco perché si pretenda da altre case editrici così tanto più di Mondadori. Cioè, non solo pagare – perché ci sono molti casi documentabili in cui le offerte di anticipo da parte di altri editori sono stati equivalenti, o persino superiori – ma anche tutto quel che segue: mentre l'”interiorizzazione” viene perdonata a Mondadori, perché paga (ma ripeto, c’è caso e caso). Bah…

  5. Grazie per questo intervento particolarmente apprezzabile, che mette in luce diverse delle ipocrisie che sono emerse in queste settimane di dibattito sull'”affaire Mondadori”. Ho apprezzato in particolare la parte finale, in cui lei ci ricorda come pubblicare per Mondadori fosse “comodo” e remunerativo anche prima che scoppiasse lo scandalo della legge ad aziendam, ma non lo scandalo del premier-imprenditore. In nessuno dei tanti interventi che ho letto in questi giorni è stato ricordato che, oggi in Italia, scrivere, e ancor più essere pubblicati, è un lusso, e le posizioni di principio se le possono permettere, giustappunto, i privilegiati che di questo lusso dispongono. Ammiro la coerenza di Mancuso, ma è sicuramente più facile per un Mancuso fare il nobile e bello, che per un giovane scrittore sconosciuto che ha un bisogno vitale di una casa editrice che lo pubblichi e faccia promozione per il suo libro. I Mancuso scrivono su Repubblica e avranno sempre qualcuno disposto a pubblicarli. E’ più facile essere coerenti quando sai che sotto hai una rete. Ma io giovane scrittore che fa il giro degli editori, credete che se Mondadori mi propone di pubblicarmi, rifiuto per coerenza? Andiamo… Anche la coerenza è un lusso che non tutti possono permettersi.

  6. […] Helena Janeczek Vito Mancuso Don Gallo Sandrone Dazieri Michela Murgia Franco Cordelli Luca Casarini Wu Ming Giulio Mozzi Antonio Moresco Carlo Lucarelli Diego Cugia Giulia Blasi Pietrangelo Buttafuoco, Michela Marzano, Vittorio Zucconi Mauro Corona Aldo Busi Antonio Pennacchi Evelina Santangelo Beppe Sebaste […]

  7. Non mi sono proposto di dare indicazioni da seguire. Conosco intimamente Roberto Roversi, poeta e fino a poco tempo fa libraio (la Palmaverde di Bologna). Credo che siano altri tempi – economici e di civiltà. Per esempio, si parlava forse ai tempi di Roversi di “precariato”? Cominciò a intuire qualcosa (anzi molto) Luciano Bianciardi, per le cui descrizioni impietose dell’industria culturale (fondazione della Feltrinelli compresa, cui partecipò) rmando ai suo libri. E’ stato forse l’unico scrittore beat marginale italiano (morto prima dei cinquant’anni) a parlare di queste cose.
    Un’altra piccola cosa: non mi dà gioia parlare di escort, ma mi dà un senso d verità. E quindi di denuncia. Conmtinuare a pubblicare da Mndadori, da Einaudi, ma anche Rizzoli, Feltrinelli e compagnia bella, non è un gesto molto diverso che avere votato sì al referendum della Fiat di Pomigliano. Per principio ero e sono per il “no” (i diritti!!), ma non disprezzerei mai le paure sociali ed economiche di quegli operai.
    Non “perdono l’interiorizzazione a Mondadori perché paga”, del resto lì non c’è nulla di interiorizzato, è tutto esibito, e ne sono specchio anche le librerie, le colonne di libri che ognuno di noi incontra all’ingresso di una libreria, e che ti fanno sentire un disgraziato quando chiedi al commesso un libro che non c’entra niente, che 80 volte su 100 non hanno. Credo che parlare di librerie sia importante. Nel mio blog una libraia, Flavia Caso, ha parlato diffusamente dell’importanza di una legge sull’editoria che, come in Francia, azzeri o limiti gli sconti, favorendo così le piccole librerie e, di conseguenza, anche i piccoli editori, le proposte meno commerciali.. Ma questo esula comunque dal motivo per cui anch’io ho preso la parola in questo “dibattito”. Volevo parlare del senso del tragico, e invitare a vederlo – il tragico – anche nelle sedicenti “riuscite”, nella presunta quiete, insomma nel berlusconismo che è in noi, intorno a noi, ovunque, e che precede Berlusconi, e che gli sopravvverà, temo, a lungo. Volevo solo che si incominciasse a parlare, non che si concludesse qualcosa.
    Grazie Stefano, non ti avevo letto, ora ti ho letto.

  8. Beppe Sebaste, davvero per campare lei può pubblicare solo per Mondadori? Davvero le è impossibile trovarsi un altro editore che la paga? O sta a Mondadori perché paga talmente di più degli altri (i Wu Ming affermano che se cambiassero casacca potrebbero ottenere contratti anche migliori, ma forse questo vale solo per editori Einaudi?) che la qualità della sua vita cambierebbe in peggio in modo rilevante se cambiasse editore?
    Se è così non posso dirle niente, solo che la capisco.

    Ma se può pubblicare per altri e campare più o meno bene (diciamo meno, ma non di tanto) anche con un altro editore, allora il suo articolo sa di beffa.
    E si aggiunge a tutti gli altri.

    Io sono convinto che in futuro, quando Berlusconi non ci sarà più, per spiegare come mai durante il regime berlusconiano quasi tutti gli intellettuali di sinistra non hanno saputo fare di meglio che lavorare per Berlusconi, si dirà che, per esempio, di fronte ad appelli come quello di Mancuso rispondevano
    – rivendicando la loro lotta dall’interno, senza mai dire a quali risultati tangibili ha portato (ma loro aspettavano sempre “l’acuirsi della contraddizione in cui stavano”: e i posteri crederanno che deliravano)
    – che Mondadori/Einaudi sono istituzioni dal passato glorioso, che loro onorovano, e quindi non conta niente se erano diventate, magari pure illegalmente, proprietà di un ducetto nonché losco figuro di imprenditore
    – che ognuno doveva decidere per sè, che uno scrittore cambia casacca solo se lo si censura perchè deve render conto solo di quel che scrive, e chi se ne frega se intanto Mondadori/Einaudi aveva dimostrato di aver già censurato scrittori italiani e pure stranieri premi Nobel
    -che i loro redattori e editor di riferimento erano bravi e che contavano più loro, le persone, della proprietà
    -che grazie alla loro opera meritoria per Mondadori hanno evitato che questa si trasformasse in una macchina da guerra propagandistica berlusconiana (come no), cosa che secondo loro avverrebbe di certo se gli intellettuali di sinistra la l’avessero lasciata
    – che Mondadori pagava più puntualmente degli altri o un qualcosa di più degli altri.

    E allora i posteri capiranno subito la statura degli intellettuali dell’epoca del berlusconismo, e non avranno difficoltà, una volta affiancata a quella di politici e giornalisti, a capire come mai il berlusconismo ha prosperato per così tanto tempo.

  9. Caro Beppe, in un certo senso aspettavo la tua voce, in questo dibattito che ha coinvolto tutto il mondo di chi scrive e chi legge, che quasi ormai mi sembra un mondo a parte, dal momento che – vi ricordo – solo una piccola parte degli italiani legge libri abitualmente (Istat: “Nel 2009 il 45,1% della popolazione di 6 anni e più – oltre 25 milioni
    e 300 mila persone – dichiara di aver letto almeno un libro”).
    Mi sembra però che la cifra costante degli interventi sia stata assolutamente personale: una messa a fuoco del proprio (in genere magnifico) rapporto personale con un gruppo di professionisti, un catalogo prestigioso, un mondo (anche quello a parte) che sembra non avere alcuna connessione col feroce hardware aziendale. E invece è una questione più complessa, e certo non individuale.
    Beppe lo mette a fuoco con la sua sommessa, implacabile nitidezza, e ci chiama in causa tutti, autori e lettori, testuanti e acquirenti, librai e libranti.
    E’ questione di linguaggio, è questione di senso, è questione di “fascismo anestetico” che è arrivato più in profondità di quanto siamo disposti ad ammettere o persino a capire.
    Nessuno ne è fuori, che sia fuori o dentro la Mondadori. E questo non lo ha detto, finora, alcuno degli scrittori o scriventi che si sono fatti vivi per discolparsi, o dire che non avevano niente da dire ma solo da scrivere, o che si chiedesse agli operai fiat, di licenziarsi.
    Purtroppo per loro, scrivere è un fatto così etico che riguarda sempre comunque tutti noi.
    Infine, trovo che non sia possibile reperire alcuna giustificazione all’appartenenza alla Mondadori-Einaudi, non in questo momento storico. Non nel momento in cui l’azienda – mitologica quanto volete, con un passato glorioso e un impeccabile presente – avvalendosi di quella leggina assolutoria si piazza nel nodo purulento attorno a cui è imbastito questo regime: il conflitto d’interessi.

  10. “Mettendo da parte quel che non dipende da te (tipo impedire che i tuoi libri siano venduti da una catena di librerie di proprietà del tuo avversario politico anche se sono pubblicati da una casa editrice non sua), che cosa puoi fare, tu, personalmente? Quali sono le cose che puoi controllare e mettere in atto? Decidere per chi pubblicare è una di queste. Bene, per favore non pubblicare in una casa editrice che appartiene alla parte politica che avversi”.
    
    da “la rava e la fava”
    http://www.ilprimoamore.com/testo_1942.html

  11. mi dispiace, ma io credo che galbiati non abbia letto il mio pezzo, né quello c’è scritto né quello che vi è sottinteso. a parte il fatto che io non sono un autore mondadori, che non ho ma pubblicato per mondadori, né ci ho mai (per ora) pensato. un libro per einaudi, sì. e per vari altri editori “indopendenti”, e per vari, anche, cosiddetti “piccoli” editori (per scelta poitico-esistenziale). ma non importa rispetto al mio discorso. la sua lettura (di galbiati) riporta molto indietro il dibattito, in una zona di avvitamento su se stesso, anche demagogica, da cui ho cercato d farlo uscire per aprire, per allargare… va beh, non ho davvero altro da dire oltre a quello che ho scritto. per ora.
    mangino brioches: grazie, di cuore.

  12. Tutti gli scrittori che si sentono in qualche modo impegnati diciamo per comodità a sinistra e che sono consapevole di questo enorme macigno rappresentato dal conflitto di interesse
    (anomalia di cui è responsabile esclusivamente la sinistra che e’ andata al governo, primo secondo e terzo, questo detto per inciso a chi continua a ripetere che l’anomalia si sconfigge con il voto, l’anomalia purtroppo consiste nel fatto che possa accadere quello che e’ accaduto in paese democratico)
    dicevo tutti questi scrittori sentono il bisogno di spiegare, fare dei distinguo, addurre giustificazioni personali, politiche, ideologiche, che sono tutte palesemente pretestuose, irrisorie, contradditorie, retoriche.
    Da una parte l’ipocrisia di chi è pronto a gridare allo scandalo e fare il giacobino quando sono gli altri che devon oasumersi le responsabilità e fare delel scelte coraggiose.
    Dall’altro di chi non intende rinunciare ai vantaggi acquisiti, economici, di visibilita’ di prestigio, ma nello stesso tempo intende ipocritamente fornirsi un alibi.
    Questo articolo è molto bello e interessante.
    ma è ingenuo quando afferma con spudoratezza che in questo paese se non si pubblica per mondadori si muore di fame. Insomma sembrerebbe che ormai tutta l’editoria è controllata dall’innominato che o mangi questo minestra o etc.
    E’ evidente che una scelta di lasciare puo’ farla solo chi ha possibilità di scelta, cioe’ lo scrittore affermato, e non il povero esordiente squattrinato.
    Stimolato dal dibattito mi sono andato a legegre cio’ che dice Moresco al riguardo
    Io ho letto l’ultimo suo libro, mi è piaciuto anche se no nentusiasmato.
    Ho letto l’articolo c da lu iscritto su primo amore. Beh lo stim ocomescrittore ma quell’articolo è davvero penoso, ridicolo e non entra nel merito della questione.
    Per favore signori scrittori della scuderia di mondadori. Nessuno vi mette alla gogna ma per favore, vi scongiuro, smettela di spiegarci i nobili principi che vi impediscono di abbandonare l’alta missione politica che conducete nel cuore dell’impero.

  13. io trovo ingenuo e non innocente chi si sente al riparo, e perfino chi crede che esistano ripari. a partire da qui, da questa consapevolezza (che non ve ne siano, e che vi sia conflitto) ha inizio e forma ogni lotta e ogni verità.

  14. Mi scusi Sebaste, ma perché dice che io non l’ho letta?

    Ho letto invece, e molto bene.

    Ho solo fatto un riassunto, alla fine, di tutti i motivi con cui gli autori Mondadori giustificano il loro operare, mettendo in luce alcune contraddizioni – tra cui cose che ha scritto anche lei, come l’indifferenza verso le censure a terzi.

    Lei ha dato un giudizio, inizialmente, che io condivido appieno: non è cambiato niente dal 1994 a oggi: Berlusconi aveva già varcato il segno oltre cui non ci si può non ribellare 16 anni fa. Io lo scrivo qui, nei commenti di NI, da giorni

    (ne sa qualcosa francesco pecoraro, che affermando che solo ora la misura è colma, si è dovuto sorbire tutte le mie obiezioni).

    Detto questo, mi spiega, CI spiega perchè continuerebbe a pubblicare per Mondadori – come LEI SCRIVE NEL SUO ARTICOLO- ?
    Solo per motivi di soldi?
    E sono motivi così rilevanti, economocamente?

  15. Che bell’articolo! Chiaro, semplice e capace di dare degli spunti nuovi su cui ragionare. Riflettiamo sul fatto che in Italia ” “pensare” è sentito come sinonimo di “essere tristi” “; oppure che “il lavoro intellettuale è il più umiliato (si pensi agli insegnanti) è già tanto non sentirsi in colpa ad essere scrittori”. Cappero gli insegnanti, e la scuola. Proprio stamattina ho sentito alla radio Riccardo Iacona (giornalista di presa diretta su rai3) che presentava il suo nuovo libro con un capitolo dedicato alla scuola italiana. è fallita, ma non dal punto di vista didattico, dal punto di vista contabile; se fosse un’azienda avrebbe il cartello fuori che recita: chiuso per bancarotta. E poi per forza abbiamo il cervello sotto vuoto, nessuno più ce lo fa usare!

  16. io trovo ingiusto nel dover constatare che tutti i vostri discorsi assolutori
    e, nel migliore dei casi esortativi (il tuo quando dici: ma vi sia in loro consapevolezza e non abitudine, conflitto e non rassegnazione, che è anticamera dell’assuefazione e del collaborazionismo, quell odi cortelelssa quando auspica la costruzione di ponti)
    sono, amio parere, una implicita (in buona fede ovviamente) e involontaria mancanza di rispetto , nei confronti delle altre case editrici, che devono fronteggiare una concorrenza sleale e degli altri autori che nonostante gl isvantaggi diciamo cosi’ mercantili pubblicano con le altre case editrici, grandi medie e piccole.
    I vostri auspici e i vostri buoni propositi non trovano risocntro nell’esperienza passata (molti vi hanno fatto delle precise domande sugl iepisodi dicensura e enssuno ha risposto).
    Non ho motivo di dubitare che tu converrai con me che vi siano ragionevoli probabilità che la la storia non è finita che assiteremo ad altri strappi, abusi e crimini e spero che tu convenga con me che il problema rischia di porsi di nuovo in termini piu’ drammatici.

    io spero solo che quando cio’ avverra’ non sia troppo tardi.

  17. Continuo a pensare che l’intervento di Galbiati sia centrato.

    Proviamo a distinguere l’analisi dello status quo, dalle ‘proposte’ e dalle ‘soluzioni concrete’ relative all’editoria italica e alla posizione degli autori. C’è una cosa che Beppe Sebaste potrebbe forse chiarire. Quali sono le ‘soluzioni concrete’? Che cosa propone?

    Sul pezzo di Scarpa postato da Viola Amarelli. E’ verissimo che, spesso per problemi di ‘bulimia creativa’, ma sopratutto perché sarebbe impensabile che un editore generalista pubblichi quattro libri in dodici mesi di uno stesso autore che ha sotto contratto per il romanzo candidabile allo strega, tanti autori affermati pubblicano anche per case editrici diverse dalla casa madre. Si tratta nella maggior parte dei casi di ‘opere’ in più, da smaltire. Questa prassi bulimica è una delle tante espressioni dell’esistenza di contatti ‘interni’ fra scrittori, editor, addetti ai lavori in genere della grande e della piccola e media editoria (oltre al fatto che talora gli editor della piccola e media editoria sono autori che pubblicano per la grande editoria). La bulimia da pubblicazione rischai di essere talvolta un modo per togliere spazio agli esordienti, agli sconosciuti , agli invendibli, non certo una forma di solidarietà.
    E ancora: oggi il flusso degli ‘esordienti’ verso le ‘case editrici grandi’ passa per un piccolo mondo fatto di ‘contatti’ e, chiamaimole così, ‘relazioni umane’, non solo e non sempre attraverso il ‘successo in termini di vendite’. Lo scrittore sconosciuto è un ‘investimento’, per le ‘imprese culturali’ di cui parla Tiziano Scarpa Questo è un profilo senza dubbio da considerare, quando parliamo invece di ‘trasmigrazione’ di autori affermati dall’editoria generalista alla piccola e media editoria, con la finalità politica di riaprire, quantomeno, quell’orrida cosa che tutti chiamano ‘mercato’, ‘premiando’ (uso il linguaggio da impresa culturale) gli editori che ‘investono’ sulla ‘qualità’, e non sul ‘formato’ precostituito di ‘romanzo tutto dialoghi e trama, cui segua film’

  18. PS Sebaste:

    “Infine, ecco la mia personale verità: non so altri, ma io pubblicherei ancora con Mondadori” (nell’articolo)

    “mi dispiace, ma io credo che galbiati non abbia letto il mio pezzo, né quello c’è scritto né quello che vi è sottinteso. a parte il fatto che io non sono un autore mondadori, che non ho ma pubblicato per mondadori” (nel commento)

    Sono io che non leggo o lei si spiega in modo non esattamente chiaro (eufemismo)?

  19. Il livello di degenerazione percepito secondo i sondaggi sarebbe in lieve decremento di crescita al nord, sud e isole.

  20. @galbiati: mi scuso se le ho detto di non avere letto il mio testo, è saltato un avverbio dopo il èarticpio “letto”. pubblicherei, sì (consapevolmente ecc. ecc.). non ho mai pubblicato (verità di fatto).
    lavorerei alla fiat di pomigliano (se… ecc. ecc.); non ci ho mai lavorato.
    io credo che il titolo che qui è stato dato al mio intervento sia piuttosto eloquente.
    nel 2002 sono stato co-curatore di un pamphlet collettivo dal titolo “Non siamo in vendita” (sottotitolo: “Voci contro il regime”). Ma c’era ancoa un’ingenuità, una pretesa (d) immunità in quella rivendicazione (vedi mio commento sopra). E’ di questo che mi premeva parlare.
    (Per il resto, sono d’accordo con tutte le iniziative le riforme le idee le proposte di buon senso avanzate qui e altrove per salvaguardare e salvare l’editoria ecc. ecc., così come sono d’accordo sulla lotta per la salvaguardia dell’ambiente ecc. ecc., sapendo però che l’ecologia non si riduce alla difesa dei panda).

  21. sebaste,
    grazie della spiegazione, ma la mia domanda resta: se ora è “consapevole”, perchè dovrebbe farsi pubblicare proprio da Mondadori?
    Non sarebbe più logico, sensato, etico se vuole, pubblicare per altri – avendone la possibilità, s’intende?

  22. vi sono dei momenti in cui la “complessità” – richiamata anche in buona fede o per motivi ermeneutici – delle situazioni diventa gordiana e va quindi in una maniera o nell’altra recisa, senza appunto perdersi tra la “rava e la fava”. Detto ciò, dell’onestà intellettuale di Sebaste io, ma penso anche la stragrande maggioranza dei suoi lettori, non ho mai dubitato né dubito.

  23. grazie viola.
    ma ci sono certe domande, rivolte con lo spirito del guardare dal buco della serratura, o forse meglio quello del vedere fino-in-fondo come nello streap-tease, a cui proprio, per principio, non rispondo. quelle che voglioni schematizzare, semplificare (nulla di peggio: in tutti i casi agli antipodi del mio desiderio e movente di scrivere). in genere quelle domande si chiamano retoriche, ma ci vorrebbe una definizione più forte e aspra.
    senza polemice personali, con galbiati (che non conosco) né altri. punto.

  24. @galbiati, è senz’altro colpa dei miei limiti, ma secondo me lei non mi legge bene: ora sono “consapevole” del fatto che non c’è un fuori-mondadori, non c’è un fuori (un’immunità, un riparo), e quindi la sua domanda per me non ha senso.
    il bello è che queste cose le diceva, in altri contesti è ovvio, ma con la stessa logica, karl marx.
    la “fabbrica” non è solo nelle fabbriche. sono decenni che la società si è strutturata su quel modello.
    sì, forse c’è proprio da ripassare, da rileggere, da ripensare, da riprendere le fila. troppo abbiamo perso per strada con idiota noncuranza. confernmo tutto quello che ho scritto nel mio intervento, anche quello che non c’è e balugina tra le righe. ora vorrei parlare d’altro. approfondire altro.

  25. Caro Ssebaste, io leggo quel che scrive, non quello che NON scrive. Non sono ancora telepatico.
    E se secondo lei non c’è un mondo fuori da Mondadori, allora le consiglio anche di scrivere per il Giornale e di offrirsi per le tivù Mediaset. Siete in vendita, scrive lei. E se non ha neanche senso la mia domanda sulla sua possibilità di scegliersi un editore diverso da Mondadori dato che non c’è nulla di diverso fuori, potrebbe anche votare e candidarsi per il PDL: chiederle di fare diversamente non ha senso.
    Tanto, non esiste un fuori, e quindi conviene star dentro nel mondo più centrati possibile.

  26. Il succo del discorso di Beppe Sebaste mi pare distillato nel suo commento pubblicato il 9 settembre alle 14:02: «io trovo ingenuo e non innocente chi si sente al riparo, e perfino chi crede che esistano ripari. a partire da qui, da questa consapevolezza (che non ve ne siano, e che vi sia conflitto) ha inizio e forma ogni lotta e ogni verità».
    Ci saranno pure dei motivi che hanno portato Sebaste a fare una considerazione del genere – e nel suo post mi sembra che li esponga con chiarezza. A me, però, di ripari sembra che ce ne siano.

    E mi pare si vedano, questi ripari, in un altro commento stringato, quello pubblicato da Edoardo il 9 settembre alle 14:17: «Che bell’articolo! Chiaro, semplice e capace di dare degli spunti nuovi su cui ragionare. Riflettiamo sul fatto che in Italia ” “pensare” è sentito come sinonimo di “essere tristi” “; oppure che “il lavoro intellettuale è il più umiliato (si pensi agli insegnanti) è già tanto non sentirsi in colpa ad essere scrittori”. Cappero gli insegnanti, e la scuola. Proprio stamattina ho sentito alla radio Riccardo Iacona (giornalista di presa diretta su rai3) che presentava il suo nuovo libro con un capitolo dedicato alla scuola italiana. è fallita, ma non dal punto di vista didattico, dal punto di vista contabile; se fosse un’azienda avrebbe il cartello fuori che recita: chiuso per bancarotta. E poi per forza abbiamo il cervello sotto vuoto, nessuno più ce lo fa usare!».
    La conclusione di Edoardo è che se abbiamo il cervello sottovuoto non è colpa nostra, bensì di chi non ce lo fa usare.
    Ma, scusate, perché dovremmo lasciarglielo fare (a queste entità terribili, berlusconidi o meno) di non farci usare il nostro cervello?

    Io mi sento di usarlo, il mio cervello. E questo lo considero un bel riparo.
    Mi sento di usare il mio cervello perché navigo molto in internet, leggo libri (anche Mondadori), vado al cinema, guardo tv. Ehm, ascolto poca musica, in effetti. Insomma ho una vita intellettuale oltre che organica.
    Mi sento di avere un cervello che funziona perché la cultura che fruisco me la scelgo. Scelgo i siti web dove navigare, scelgo i libri da leggere, scelgo i film da vedere.
    Potrebbe essere che io sia così intriso di berlusconismo da non capire una cippa, e quindi la mia sarebbe soltanto un illusione: quel che mi pare di scegliere in realtà mi è imposto da un sistema gigantesco e pervasivo, che mi offre molto di più di quello che potrei mai fruire dandomi così la sensazione di essere libero di rifiutare ciò che ritengo indegno. Però non mi pare.

    Sto scrivendo questo commento, in un luogo della cultura libero da condizionamenti. E mi sovviene una cosa che diceva Paolo Rossi, il comico, quando per un periodo era andato a lavorare per Berlusconi su Italia 1: «I soldi non importa chi te li dà, importa come li spendi tu».

  27. @guido tedoldi: perfettamente d’accordo su tutta la linea. (scrivendo su l’Unità da anni, credo che il pensiero critico, e anche più che critico, sono avvezzo ad esercitarlo insieme a tanti altri).

  28. Faccio notare a Tedoldi che un autore Mondadori i soldi li fa guadagnare a Berlusconi.

    Comunque, leggo solo ora questo vecchio post di Gad Lerner, che per fortuna ha uno spirito critico molto meno sviluppato di Sebaste:

    Facendosi a voce alta la domanda che riguarda tanti altri, il mio amico teologo Vito Mancuso ripropone a modo suo il tema spinoso della coerenza degli intellettuali. Lavorare per la Mondadori? (Ma, se permette, anche per Mediaset?) Magari dandosi l’alibi “di sinistra” che tanto tutti i padroni sono uguali, e di ciascuno puoi indicare una rogna?
    Non mi addentro nella vicenda dell’emendamento “ad aziendam” con cui la Mondadori sarebbe stata favorita, consentendole di chiudere vantaggiosamente una controversia col fisco. Più in generale mi chiedo se scrittori che possano permettersi di pubblicare altrove facciano bene a consegnare le loro opere a un’azienda posseduta da Berlusconi facendo finta di ignorare l’impronta culturale di quest’ultimo.
    Io non ho nulla contro chi lavora in Mondadori (e a Mediaset) essendo privo di alternative. E ovviamente riconosco che vi sono in quelle aziende ottimi professionisti. Ma chi invece può scegliere, cosa sta lì a fare? Segua l’esempio di Giorgio Bocca, che se n’è già andato. E di Vito Mancuso che per contratto deve ancora consegnare un libro all’editore di Segrate, ma poi intraprenderà nuove strade. Vale anche per Roberto Saviano, naturalmente.

    http://www.gadlerner.it/2010/08/22/mondadori-ha-ragione-vito-mancuso.html

  29. (incredibile pensare che io abbia sostenuto qualcosa di diverso. nel mio testo ho fatto l’esempio solo di Eugenio Scalfari, che mi sembra immenso…)

  30. (ma da qui a pensare che chi pubblica da rizzoli o feltrinelli sia un eroe, anche solo che abbia assalto il proprio dovere politico e civile, ne corre… ci sono commenti che si ostinano a riavvitare la questione su se stessa, che la chiudono, mentre io sono partito da tutto ciò, da tutto un dibattito che mi è sembrato reticente e ipocrita).

  31. Sebaste salve, non ci conosciamo ma ho letto il suo intervento, appena lo mise sul suo blog. Lo riportai io stesso in una discussione. Il boicottaggio mondadori einaudi qui, non è mai stato citato come fonte risolutiva di alcunché. Si parla di autoproduzioni, poco più sopra. Sarebbe bello se intervenisse lì perché mi sembra che comunque, nonostante io dissenta dal suo restare in einaudi (dove tra l’altro ha pubblicato solo un libro) nessuno vuole mettere con le spalle al muro nessuna altro, e anche io non credo che lei sia un berlusconiano venduto che vuole solo arraffare i soldi. Questo circolo vizioso lo abbiamo superato. Abbiamo già litigato a suo tempo, sarebbe il tempo di provare a cercare strade e strategie alternative. Spero in un suo intervento nel post che le ho indicato.

  32. Gentile Sebaste,
    avendo aperto con il primo commento, spero mi leggerà (come mi ha letto, citandomi Roversi).
    Conoscendola come scrittore e avendola letta in questa discussione, animata e molto civile, le sottopongo una domanda alla quale vorrei una risposta sincera.
    Crede davvero che non serva a nulla nessuna forma di “ribellione” – sotto la civilissima forma di pubblicare per altri editori? Perché dice che quando questa scelta la fece Roversi “erano altri tempi”? Erano, senz’altro, tempi molto più chiari di questi!
    Sono QUESTI, e lei lo ha capito benissimo, i tempi bui di un asservimento strisciante alle logiche dell’apparire, del guadagno, del sovvertimento nascosto delle istituzioni… proprio i tempi in cui gesti come quello di Roversi (come dimostra Mancuso) devono essere fatti.

    Dato che lei questo lo ha spiegato con lucidità nella prima parte del suo intervento, allora perché non dice chiaramente che boicottare le edizioni di proprietà di Berlusconi è quasi un DOVERE? Non sto parlando di scrittorucoli che durano lo spazio di un mattino o di subrettes che hanno il loro momento di gloria: questi non contano nullain questa discussione. Si parla degli autori VERI. Non lo dice per amicizia con molti di loro? non trovo altra spiegazione!

  33. ho trovato ambiguo l’articolo di beppe sebaste, specialmente nell’ultima parte, che sembrava contraddire e azzerare tutta l’urgenza del suo dire.

    ho trovato lucido lorenzo galbiati, specialmente nel suo primo commento.
    se i revisionisti non ci metteranno lo zampino, i nostri pro nipoti potrebbero leggere così la storia di questi tempi confusi sui loro libri di scuola….

  34. beppe s.
    se ti riferivi a me ti vorrei dire che non penso che scrivere per feltrinelli sia un atto di coraggio o rivoluzionario, Allo stesso modo non penso che restare da mondadori sia una tto ricoluzionario o politico, Punto.
    non penso che le altre case editrici siano diverse da mondadori: tutte seguono la logica del mercato, pubblicano per vendere e fare profitti. diciamo che mondadori gode di una posizione di quasimonopolio (succede anche in altri paese. Diciamo che l’ultimo episodio lede la concorrenza, oltre a degradare le istituzioni. Qualcuno potrebbe aver deciso che e’ stato superato il limite e se ne va. Punto. altri restano per svariati motivi, se son omotivi politici, saremo contenti di vederli all’opera.
    Il suo articolo è molto bello e profondo. Ma forse dire che si resta per sopravvivere è giustificabile per gl iesrodienti, non per chi ha possibilita’ di scegliersi l’editore che vuole. tutto qui.
    l’iniziativa murene potrebbe essere qualcosa di veramente diverso sia da mondadori sia da feltrinelli.

  35. a proposito di storia futura del presente: io non so dove eravate voi in questi 15 anni e passa di regime. so he sono stato il primo (con furio colombo) a usare quesa parola. con i miei strumenti – la parola – ero (e sono) in prima linea. qui mi sono espresso su un dibattito vacuo letto sui giornali, ma ho l’impressione che qualcuno guardi soli il dito di ciò che ho indicato scrivendo. mi dispiace. lo accetto. però basta. (quanto all’autoproduzione di libri, ho giò dato anche in questo, fate voi).

  36. se posso dire la mia opinione io penso che in molta parte della sinistra serpeggia una sorta di rabbia e insofferenza una specie di sensazione di impotenza.
    Tutto è nato col primo governo prodi
    dopo quaranta anni di regno democristiano (ricordo l’articolo di Pintor che si chiedeva se saremmo morti democristiani) dopo mani pulite, finalmente c’era un governo di sinistra. Tutte le speranze di tutto il popol odella sinsitra. tutti ci aspettavamo una legge sullo stramaledetto conflitto di interessi. una legge sull’asseto della pubblicita e dei media.
    Che cosa è successo?
    lo sappiamo cosa è successo, dopo tanti sacrifici viene fatto cadere il governo dal sig. bertinotti per motivi stupidi. Dalema che allora pensava di essere un fine politico e che berlusconi fosse ingenuo si fa infinocchiare con la bicamerale.
    Insomma la legge n on si fa.
    Tutta questa rabbia, che è stata ben rappresentata da moretti, è rimasta e non trova nessuno sbocco politico. Ogni volta che viene commesso l’ennesimo abuso, la rabbia aumenta e pure il senso di impotenza, non succede niente, nessun oritiene di dover far niente e forse ha anche ragione. il veleno si insunua e avvelena goccia dopo goccia il paese.
    Oltre al danno infine la beffa. Ieri ho sentito italo bocchino dire che non consentiranno che berlusconi faccia un’altra legge ad personam?
    non è deprimente tutto questo?.
    ecco perche’ secondo me non ha senso parlare sol ose si fa qualcosa. ed ecco perche’ le persone non accettano che gli intellettuali continuino a scrivere articoli per spiegare i motivi politici che li inducon oa restare.
    Ecco perche’ fa incazzare quando si dice che berlusconi si manda a casa con il voto.

  37. beppe, quella del dito e la luna è la foglia di fico più abusata e logora della retorica da blogghini di periferia.
    ormai la scivono anche sui baci perugina.
    peffavore! ;)

    le assicuro che quando c’è luna piena scanzo il dito e anche la pesona….

  38. “io trovo ingenuo e non innocente chi si sente al riparo, e perfino chi crede che esistano ripari. a partire da qui, da questa consapevolezza (che non ve ne siano, e che vi sia conflitto) ha inizio e forma ogni lotta e ogni verità”

    grazie beppe sebaste
    da questa consapevolezza ha inizio ogni lotta e ogni verità
    e anche io trovo ingenuo e non innocente chi si sente al riparo
    ma credo che se si ha la consapevolezza di essere orfani di “porti” si possa tentare di farsi “porto” per sè e per gli altri
    come? in che modo?
    agendo una testimonianza di onestà o un tentativo di onestà
    questo che lei ha scritto è un tentativo di onestà ed io l’ho riconosciuto
    chebello!
    grazie e baci
    la fu

    ps io però non credo ai mancuso ma questa è solo una mia fondata “sensazione”

  39. Sebaste io ero a stampare libri, dieci anni fa. A cucirli, a dire il vero. Ha già data nell’autoproduzione e quindi le sembra tempo sprecato? Mi spiace non ci venga a spiegare cosa ha fatto e perché s’è disilluoso. Con immutata stima.

  40. Mo’ volete boicottare pure i baci perugina? Ma come fa uno che si fa chiamare stalker a rimproverare gli altri di fare uso di cliché? Ma che fa, il correttore di stile?

  41. grazie a voi ho scoperto che esiste un giornale che si chiama l’unità. non lo sapevo perché non l’ho mai visto dal giornalaio e non conosco nessuno che lo ha mai letto. però mi è venuto la curiosità soprattutto di capire di che parla anche perché sicuramente è autoprodotto e quindi faccio i complimenti a tutti quelli che ci scrivono che sicuramente devono anche pagare per pubblicare quelle copie.

  42. qualche anno fa, ma neanche tanti, mi trovavo a diano marina, ospite di una specie di fiera del libro. era stato invitato anche beppe s. e assieme
    parlammo dei nostri libri. Chiudeva l’evento un incontro tra giornalisti, un buon pubblico, sotto un tendone, ma era una trappola, erano stati invitati solo giornalisti del Giornale di Genova e uno che mi dicono sia sempre in tv, i nomi non li ricordo davvero. Una cosa preparata dalla giunta. Dissi all’organizzazione che si poteva sedere tra i giornalisti anche Sebaste. Una specie di contraltare luminoso, dissi. Avete paura? Lo stritolano, fu la risposta.
    Al pubblico, tolte le prime due file di gallonati, brillavano gli occhi. Io lo ascoltavo, lo vedevo combattere e battere e battere colpo su colpo mettendoli a tacere. Ecco, mi dicevo, forse la Resistenza è stata questa.
    Eppure: Ma cosa dice, si chiedeva qualcuno. Diceva le stesse cose di oggi.

  43. @Guido Tedoldi

    Provo a spiegarmi meglio: è vero, ho dei ripari, ma non sono delle scuse per lavarmi la coscienza, sono dei rifugi dal bombardamento anticulturale che ci colpisce attraverso i media tradizionali (tv su tutti, non perché di per sé sia “cattiva”, ma è “cattiva” la maggior parte di quello che ci sta dentro). I miei ripari sono Internet, i blog come Nazione Indiana, i libri, il cinema e la musica. Non a tutto tondo chiaramente, anch’io ho i miei gusti. Questi sono i luoghi e i tempi reali o virtuali o inventati in cui uso il cervello. E sono contento che i suoi ripari coincidano con i miei; alla fine l’idea di base è la stessa per entrambi, io ho solo peccato nell’esporla.
    Aggiungo solo un’altra idea sulla quale mi piacerebbe che si insistesse un po’ di più: io ho 23 anni, vengo da una famiglia di genitori laureati (mia madre è insegnante) e la mia casa è piena di libri e di film. Per questo credo che se anche avessi frequentato scuole e professori che non fossero stati in grado di stimolarmi, io sarei stato comunque capace di formarmi una coscienza critica. Non voglio essere presuntuoso, voglio semplicemente sottolineare che la scuola è il luogo in cui la Cultura (intesa come letteraria, artistica, linguistica, matematica, scientifica) deve essere strumento (e non fine) d’insegnamento per formare altra Cultura; dove il confronto aiuta la formazione di individui capaci di scegliere; dove le opinioni diventano concetti e idee per il futuro. Se però è il primo bersaglio di tagli istituzionali, concorderà con me che c’è ben poca speranza.
    Spero di essere stato più chiaro e la ringrazio.

  44. Non approvo nemmeno una riga di ciò che hai scritto: siamo tutti escort?
    SIETE TUTTE escort.
    Condivido il pensiero di Viroli e sono certo che in Italia esistono persone, anche nel dominio della cultura, che mantengono la schiena diritta e, costi quello che costi, non vogliono rassegnarsi ad essere cortigiani.
    Basta volerlo.

  45. L’articolo di Sebaste (scrittore che stimo) lo condivido pienamente.

    aggiungo questa :‎…e gli autori del gruppo Mondadori pensano solo al “tanto pagano bene e regolarmente” . Mi sembra di sentire un noto cantente napoletano che in un intervista disse : “Ho fatto concerti nelle case dei camorristi , ma quelli però pagano bene e anche di più!”. L’etica pubblica signori scrittori!!! Non vogliamo che lasciate la Mondadori ma che ritorniate a guardare e a scrivere di cose un pò più lontane dal vostro nasino!!!

    leggete questo:

    nota:http://www.repubblica.it/cronaca/2010/09/11/news/pressione_consulta-6958250/?ref=HREC1-5

  46. Così parlò Beppe Zarathustra

    “in un paese dove “pensare” è sentito come sinonimo di “essere tristi”….doloroso rovescio della “gaia scienza” di Nietzsche, oggi possibile solo nelle forme dell’orgia del potere berlusconiano

    un capo di governo che ha interessi anche nel cinema, che condiziona e decide quali film sono distribuiti, cioè visti, nelle sale (ciò che accadde in Europa solo con Hitler e Mussolini).

    noi, cittadini italiani sottoposti a un potere enorme, non possiamo dirci liberi se non nel senso della libertà dei sudditi o dei servi.Siam tutti escort – editori escort, scrittori escort, giornalisti escort, e così via.

    Marx, la cui attualità è di un’evidenza abbacinante
    —————————-
    Non le sembra di esagerare col “siamo”,provi magari ad usare il “sono”,mangi nel suo piatto…
    C’è tutto il campionario da piazzista… alternativo….Hitler,Goebbels,Mussolini,Marx…mancan solo Stalin e Pippo Baudo.
    Un’invettiva degna del profeta Daniele nella fossa dei leoni,una prodigiosa e nobile visionerietà del presente,tanto che un povero viaggiatore arrivando in Italia gli sembrerebbe d’entrare alla Cayenna.
    Ma poi leggendo il seguito:

    “…ma io pubblicherei ancora con Mondadori perché il mio lavoro è di difficile remunerazione,Difficile trovare una casa editrice non connessa alla galassia Mondadori, ma soprattutto che sia in grado di pagare.!Mondadori paga meglio? E’ importante per vivere.”

    si rassicurerebbe subito,è il solito chiagnefotte italico del tengo famiglia.
    Qua parlano,parlano…..ma di capitani coraggiosì,manco l’ombra.Tutti accasati col Papi.
    Eppure per i finti guerriglieri ,una soluzione ci sarebbe,per non esser più servo,escort come dice lei…far fagotto e semplicemente andarsene.
    E’ dura eh…ma pensi un po’ quanti operai han dovuto far così,quanti peones lo fanno tutti i giorni senza dover usare tanti fazzoletti ad asciugar pianti…..provi a dar l’esempio alla confraternita conigli,suvvia un po’ di allegra e gaia scienza…altrimenti si faccia mezzo litro e giochi a briscola,lì le crederanno.

  47. johnny doe (detesto rispondere a nick), ma lei quanti anni ha, 12? sembrerebbe, davvero. si crogiuoli nella sua presunta soddisfatta libertà da nickname, appunto, parli d aprole, se vuole, ma non entri nel merito delle vite reali altrui, quando non (ne) sa nulla.

  48. Va a sapere che c’entrano il nick e la sua libertà!
    Comunque è lei che entra nelle vite altrui col “siamo”,se avesse usato il “sono” magari…
    Per il resto,è sempre divertente per noi bambini leggere le allucinazioni dei grandi…

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Avanguardia Vintage: l’intervista

a cura di di Nadia Cavalera
"C’è un brano di Kafka che dice che la scrittura deve essere come un’ascia, che rompe uno strato di ghiaccio. Per cui, sostanzialmente, al povero lettore gli diamo, come dire, delle botte sulla testa."

Deus ex Makina: Maniak

di Francesco Forlani
Da un po'sto collaborando con Limina Rivista, con delle autotraduzioni dal francese di piccoli assaggi ( essais) letterari pubblicati in oltre vent’anni sulla rivista parigina l’Atelier du Roman diretta da Lakis Proguidis. Dopo Philip K Dick, Franz Kafka, Anna Maria Ortese, Charles Dickens è stata la volta di Boris Vian. Qui una nota a un libro indispensabile.

Overbooking: Eugenio Manzato

Alberto Pavan
Il romanzo narra la vita di Antonio Romani, vissuto tra la campagna trevigiana, Padova e Venezia, tra il 1757 e il 1797, l’anno in cui nella notte del 12 maggio, con Bonaparte alle porte, la narrazione si interrompe con un finale aperto che alimenta nel lettore il desiderio di un sequel.

Les nouveaux réalistes: Pierangelo Consoli

di Pierangelo Consoli
Per questo, quando mia madre divenne Alberta, tramutandosi in qualcosa di più collettivo, io non soffrii tanti cambiamenti, almeno per quello che riguardava la gestione delle faccende, perché erano già molti anni che me ne occupavo. Usciva pochissimo, come ho detto, eppure il giorno dei morti restava, nel suo calendario, un rito al quale non poteva rinunciare.

Colonna (sonora) 2024

di Claudio Loi
15 album in rigoroso ordine alfabetico per ricordare il 2023 e affrontare le insidie del quotidiano con il piglio giusto. Perché la musica, quella giusta, è la migliore medicina che si possa trovare sul mercato. Buon ascolto!

Les nouveaux réalistes: Annalisa Lombardi

di Annalisa Lombardi
Per questa nuova puntata dei nouveaux réalistes, un polittico di esistenze minime perdute tra i massimi sistemi della vita e della storia. Come nei Racconti con colonna sonora di Sergio Atzeni, la voce dei personaggi è incisa sulla musica di fondo delle cose. (effeffe)
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: