Pasolini in salsa piccante

[E’ uscito da pochi giorni per Guanda Pasolini in salsa piccante, libro nato anche qui, da alcune considerazioni di Marco Belpoliti, che ora ci regala, di seguito, l’introduzione al volume. G.B.]

di Marco Belpoliti

«Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere.» Con questi versi si apre la quarta parte de Le ceneri di Gramsci, pubblicate nel 1957 da Pier Paolo Pasolini.
Versi che esprimono in forma efficace il suo atteggiamento, non solo di poeta, ma anche di uomo. Parole nette: lo scandalo, la contraddizione, l’essere con te e contro di te, il cuore e le viscere, la luce e il buio. Parole che commuovono e che chiedono, com’è stato detto, una fraterna e totale complicità. La complicità con chi ti sta dicendo che è con te e contro di te nel medesimo tempo. Una contraddizione, ma anche un’identificazione. Questo è Pasolini.
In questo atteggiamento Alfonso Berardinelli, nel suo saggio dedicato al poeta e al saggista degli Scritti corsari, ha perfettamente individuato una «sublime autocommiserazione» e un «orgoglio irremovibile della vittima» grazie al quale Pasolini ha potuto esprimere al meglio il suo messaggio. L’effetto è quello dell’emozione e della repulsa insieme: «I conflitti morali in cui Pasolini trascina il lettore sono conflitti che riguardano anzitutto lui: amarlo o respingerlo. Ma è lui stesso che sembra costretto, nello stesso tempo, ad accettarsi o a respingersi».
Che è quello che ci chiede con i suoi versi – sulla mia generazione, ma anche su quella dei miei fratelli maggiori, e anche dei padri, l’intellettuale corsaro e luterano ha avuto una influenza decisiva, sino al ricatto, o all’auto-ricatto morale –: essere con lui e contro di lui. Un esercizio difficile, ma necessario quasi non fosse possibile che l’aut aut, e non già l’et et. Tuttavia ora è venuto il momento dell’et et: possiamo accettarlo e respingerlo nel contempo.

Per fare questo occorre penetrare nelle motivazioni con cui Pasolini, a partire dal 1968-69, ha acuito la sua analisi della società italiana, della omologazione in corso, dell’inarrestabile «mutazione antropologica». Ragioni che risiedevano, e risiedono, nella sua estetica, che è poi la fonte della sua etica. Pasolini è stato osteggiato, escluso e perseguitato in vita, non solo dalla destra, dai giudici, dai giornali benpensanti e reazionari, ma anche dalla sinistra. Che non apprezzava la sua contraddizione, che respingeva la sua scandalosa omosessualità, mai nascosta ma sempre esibita, fonte e ragione della sua ispirazione poetica. E soprattutto politica. L’etica di Pasolini infatti si fonda sull’estetica omosessuale, come è evidente sin dal primo articolo comparso sul «Corriere della sera» nel gennaio 1973 e dedicato ai «capelli lunghi», ai corpi dei ragazzi, scritto che ora apre Scritti corsari (1975).
Certo c’è chi l’ha amato incondizionatamente anche a sinistra, in particolare tra i giovani aderenti al Partito comunista, cui Pasolini ha dedicato dopo il 1970 una forte attenzione e un’incrollabile speranza; ma anche questi ammiratori con ogni probabilità non hanno mai davvero preso atto della sua omosessualità, l’hanno ideologicamente sublimata, come accade sovente nell’entusiasmo dell’essere giovani, cogliendone gli esiti politici polemici ma non certo le premesse estetiche.
Poi l’atteggiamento si è rovesciato: il mondo intellettuale, la società letteraria e quella giornalistica, e perfino la politica, sia di destra sia di sinistra hanno vissuto la morte di Pasolini alla stregua di un’accusa, come un ricatto cui era impossibile sottrarsi. Come in una nemesi divina, l’ammirazione verso il poeta ha finito per nascondere una sorta di rancore, di risentimento, prodotto dalla sua «diversità», e tramutato nel suo opposto.
Oggi, a trentacinque anni di distanza c’è chi ne fa la vittima, se non proprio il martire, delle trame occulte che dal 1969, e anche prima, hanno intorbidato e manipolato la storia del nostro paese: Pasolini assassinato dai servizi segreti deviati; Pasolini che scopre le piste nere, gli autori degli attentati neofascisti e per questo viene eliminato. Una fantasia? Con ogni probabilità sì, ma anche il sintomo, in senso psicoanalitico, della propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana, o almeno alcuni intellettuali, scrittori, e persino giudici. Il Grande complotto, quello che Umberto Eco e Carlo Ginzburg hanno raccontato con efficacia in due opere diversissime ma illuminanti, Il pendolo di Foucault e Storia notturna, alla fine degli anni Ottanta, nella convinzione che occorresse liberarsene in modo definitivo. In questo modo l’attesa messianica di una Giustizia finale sul delitto Pasolini, come su tanti altri attentati, omicidi, atti eversivi degli anni Settanta – visti come un’unica catena –, finisce per diventare paralizzante e per sostituirsi a una più terrena e contingente giustizia. Come se rivelando il Complotto al paese, per questo solo fatto, lo si potesse davvero, e di colpo, dissolvere.

Senza rinunciare a ricercare gli autori dell’omicidio del poeta, è però venuto il momento di fare i conti con Pasolini seguendo le sue stesse indicazioni, ovvero perseguendo quella contraddizione che ci addita nei versi de Le ceneri di Gramsci, quella contraddizione che spesso costituisce una sorta di scacco per chi legge le sue opere, per chi vuole comprenderne le ragioni e farle sue: andare oltre Pasolini con Pasolini. Pasolini, che mette sempre il cuore in quello che scrive, il cuore e il corpo – il corpo di parole e il corpo di carne sono per lui la medesima cosa: parola che si fa carne e carne che si fa parola –; per questo, come ha fatto notare polemicamente Andrea Cortellessa, le sue affermazioni non possono essere confutate usando la sola ragione, o almeno senza adottare «il suo stesso combinato disposto». Le accogli o le respingi. Tutto nel poeta e nel corsaro e luterano è così: innocenza e colpevolezza, onestà disarmata e mistificazione ingegnosa. Pasolini lo si accetta in toto o lo si rifiuta. È il suo ricatto, condotto sino alle forme estreme, di cui la stessa morte, al di là delle molte cose oscure, ben evidenziate da Marco Tullio Giordana e altri dopo di lui, appare in definitiva come il ricatto dei ricatti. Una morte di cui non sembriamo più in grado di liberarci; per farlo, come accade e ancora accadrà, ci s’inventa un complotto e ci si fa detective e accusatori per stornare da sé quella estorsione, più interiore che esteriore, che Pasolini compie in ognuno di noi.

Ma c’è un’altra strada per fare davvero i conti con Pasolini, per uscire da quella coazione a ripetere che è implicita nel suo stesso atteggiamento, e che finisce per stregare tutti, o quasi, i suoi ammiratori, esegeti, lettori. Per andare oltre Pasolini con Pasolini bisogna seguire il consiglio che il Corvo dà ai due suoi compagni di strada, Totò e Ninetto, in Uccellacci e uccellini: i maestri si mangiano in salsa piccante. Piccante, se possibile, per digerirli meglio. Attuare il procedimento di cui il poeta è stato un maestro, quello di divorare chi ci ha preceduto in sapienza, intelligenza ed età: ingerire con il maestro anche il suo sapere e la sua forza.
Restando a livello del solo amore o, al contrario, della sola repulsa, non c’è scampo. Amarlo fino al punto di divorarlo, e ingerirlo per digerirlo. Ecco che cosa ho provato a fare in questo piccolo libro, dove ho raccolto una serie di scritti redatti nell’arco di diversi anni che hanno al centro la lettura dell’estetica del poeta in rapporto alla sua omosessualità. Il punto focale del volume è il secondo scritto, intitolato «Avere un cuore», dedicato agli Scritti corsari e alle Lettere luterane, raccolta di articoli e brevi saggi di Pasolini che costituiscono il luogo di snodo, non solo della sua ultima opera, ma anche dell’intero suo percorso di saggista, scrittore, recensore, poeta, regista.

Se negli anni Settanta la sinistra intellettuale e politica disdegnò gli articoli del poeta comparsi su giornali e riviste, spesso pensando, o dicendo ad alta voce, che si trattava di cose già dette e ridette, da Marcuse, da Adorno e Horkheimer, dalla Scuola di Francoforte, una sorta di divulgazione di ben maggiori pensieri espressi decenni prima, oggi invece Pasolini diventa l’unico sociologo, o pensatore, o moralista, in grado di interpretare la grande trasformazione italiana dagli anni Sessanta in poi, mutando l’indifferenza o l’ostilità di un tempo in ammirazione sconsiderata; e non solo la sinistra, ma anche la destra non fa che manifestare questa devozione senza riserve ora, dopo averlo crocifisso con calunnie e campagne di stampa. Berardinelli – che in quegli anni militava nella sinistra, e scriveva su riviste che a Pasolini furono estranee, se non ostili – conosce bene «il vizio dell’intellettualismo formale e del politicismo diffuso nella cultura di sinistra», e nel suo scritto ha identificato con chiarezza la radice dell’attuale devozione per il poeta di Casarsa. Di lui, dell’autore di Salò, ora ci viene sovente offerto un santino quasi fosse – e per tanti magari lo è – il Padre Pio della sinistra, bisognosa, come i fedeli dello stigmatizzato di San Giovanni Rotondo, di uno sciamano che decifri in modo rabdomantico il presente, un sant’uomo cui rivolgersi con religioso stupore e abbandonata fiducia per conoscere il nostro futuro anteriore.

Mangiare Pasolini per capirlo meglio, per trarre forza da lui, dalla sua contraddizione, per non subirla, ma per declinarla. Per non restare vittime del complesso-Pasolini che attanaglia ancora chi attende la palingenesi generale della nostra società, tutta da salvare o tutta da perdere, inclinazione moralistica che il poeta per primo avrebbe, ne sono certo, colpito e sferzato con la sua urticante vis polemica.

Il libro apre con un breve resoconto di un viaggio duplice: tra le carte del processo intentato al poeta nel 1949, primo di una lunga serie, e fra le strade e i campi del Friuli, a Ramuscello, in cui si mostra come il mito dell’Eden friulano, del giardino incantato, da cui Pasolini si sentì ingiustamente e dolorosamente espulso, è appunto un mito personale. La contraddizione pasoliniana, quella che si fonda sulla lotta al moralismo ufficiale condotta dal poeta, necessita d’un amore che nello stesso tempo esalta e avvilisce il suo oggetto, lo consacra e insieme lo corrompe. Del secondo saggio si è già detto.
Il terzo scritto è invece una lettura delle fotografie che Dino Pedriali, un giovane fotografo, scattò su invito di Pasolini nel 1975, poco tempo prima della sua morte, con lo scopo di mostrare il suo corpo di scrittore, da un lato, e quello di autore di un romanzo a venire, dall’altro, un’opera in fieri, apparsa solo diciassette anni dopo la sua morte cruenta, Petrolio. Qui lo scrittore vi appare fornito, in immagine, e non solo, di un doppio corpo, nel momento stesso in cui la sua disperazione, insieme all’assoluta volontà vitale, è al culmine. Un’opera fotografica quella di Pedriali che si lega, attraverso il suo talento irriflesso e naturale, all’opera del poeta di Casarsa.
Infine, il quarto breve saggio è un intervento sulla questione della morte oscura di Pasolini, uno scritto polemico ma, credo, chiarificatore del complesso-Pasolini che blocca ancora molti, incapaci di sottrarsi alla forza medusea della sua «innocenza relativa». Qui ho cercato con il riferimento alla filologia degli scartafacci praticata dai suoi editori postumi, e in particolare da Silvia De Laude, di dissipare alcune delle pretestuose ipotesi sulla sua sconvolgente morte. La verità è come la «lettera rubata» di Poe, disposta proprio sotto i nostri occhi; purtroppo spesso non riusciamo a riconoscerla come tale, a distinguerla in mezzo a cose che non sono altro che mezze verità, falsità o menzogne costruite ad arte. Nessuno ne è esente. Proprio per questo mi appello nella parte finale di questo testo a una verità che è figlia della nostra immaginazione, e non solo del nostro insaziabile senso di giustizia.

A quella verità si atteneva Pasolini stesso scrivendo Petrolio, e anche prima nella serie degli articoli raccolti in Scritti corsari e Lettere luterane. Pasolini è stato un sublime visionario. La verità figlia del cuore, cui Pasolini si appellava contro Calvino, ha bisogno di tutta la nostra fantasia e immaginazione. Costruita con modeste pezze d’appoggio – ritagli di giornali, brandelli di conversazioni, illuminazioni improvvise – la sua verità agìta in Petrolio, e non solo lì, è il vero lascito del poeta di Casarsa, dell’autore di Ragazzi di vita, dello scrittore che proponeva di processare il Palazzo sulle pagine dei giornali borghesi dell’epoca. Un uomo, un poeta, che usava contraddirsi per restare vivo, per capire e per farci capire, un esercizio che gli costava fatica e dolore ma che gli era inevitabile.
Voleva salvare le lucciole dall’estinzione, disposto a dare l’intera Montedison, il colosso
chimico dell’epoca, per una sola di esse. Era un gesto d’amore verso i ragazzi che desiderava, e che non c’erano più, i giovani eterosessuali con cui voleva fare l’amore. Pasolini è morto per questo, per un gesto d’amore, come ha immaginato suo cugino, il poeta Nico Naldini. Una visione, non una verità giudiziaria.
Se necessario – questa è la mia idea – si riapra il processo sulla morte di Pasolini, ma lo faccia chi per mestiere e per vocazione si è assunto il compito di giudicare, la magistratura, e anche chi, come i poliziotti, di investigare. A noi ne tocca un altro: seppellire Pasolini, dare onorata e definitiva pace al suo corpo martoriato che aspetta da oltre trent’anni non la giustizia dei tribunali, ma il nostro amore incondizionato accompagnato da un altrettanto assoluto dissenso. Ciò non significa chiudere gli occhi sulla sua morte, anzi.
Mangiarlo simbolicamente per onorarlo, per liberarlo dal limbo dei cattivi pensieri e dei falsi perdoni, delle solerti ammirazioni e degli impotenti moralismi con cui ha continuato a restare sospeso nei nostri pensieri per tre decenni. Pasolini merita molto di più: essere mangiato in salsa piccante, poiché è un maestro. Un grande maestro.

Print Friendly, PDF & Email

47 Commenti

  1. Non bisogna mangiare solo Pasolini. Sarebbe ora di mangiarsi anche tutti gli altri e, se possibile, digerirli. Altrimenti si muore epigoni e cialtroni.
    Pasolini è immenso, grandissimo, totalizzante. Ma non è un maestro.

    Oggi uccidere il padre e mangiare carne umana non sarebbe sufficiente per epater aucun bourgeois.
    Oggi c’è solo Fazio e l’Innominabile.

  2. @gianni biondillo

    sì e allora? una citazione pasoliniana non ha lo stesso impatto ovunque, per cui il titolo rimane brutto e non solo per chi non sa nulla, ma anche per i lettori più avveduti.

    Sai dirmi dove pasolini ha scritto quella frase?
    Grazie.

  3. Lo fa dire al corvo di Uccellacci e uccellini: “I maestri sono fatti per essere mangiati in salsa piccante!” Il riferimento è autobiografico (infatti il corvo – cioè Pasolini stesso – viene mangiato da Totò e Ninetto).
    Ma al di là di ciò (ché se non ti piace ne hai tutto il diritto): superiamo la questione titolo e andiamo oltre, che ne dici Maria?

  4. Sono d’accordo con Belpoliti, Pasolini, come estremo gesto d’amore, merita di essere amato e cristianamente sepolto (se possibile senza salsa piccante). Nessuna novità, in questo, si tratta sempre della prima comunione, di comunicarsi e mangiare il corpo di Cristo.

    Novità, invece, nel pensare a Petrolio come il vero lascito di Pasolini, che
    non era un maestro. Un maestro era forse Elemire Zolla, il cui complicato pensiero viene ingiustamente trascurato a favore di qualunque nonnulla: il suo ” Che cos’è la tradizione ” (1971) contiene gran parte del pensiero di Pasolini, del quale ci rimarrà la vita, l’intelligenza, la sua disperazione, il suo sfrenato desiderio d’amore. il pensiero è un’alta cosa.

    Ma quello che non mi torna è il passo ” Pasolini è stato osteggiato, escluso e perseguitato in vita, non solo dalla destra, dai giudici, dai giornali benpensanti e reazionari, ma anche dalla sinistra “. Pasolini osteggiato non sta né in cielo né i terra: potette scrivere dappertutto, compreso per il teatro per il quale non era ferrato affatto; potette fare cinema senza nemmeno sapere come si guarda nell’obiettivo; ebbe amicizie letterarie e artistiche altolocatissime, a partire dalla Callas. Pasolini osteggiato ed escluso non ci sta proprio. Forse voleva dire Bianciardi?

  5. Invece “Uccellacci e Uccellini” è un bellissimo film , un gran bell’apologo, una critica ante litteram del pensiero unico in cui ci si sta avvolgendo.Poi, cinematograficamente parlando, Totò e Davoli, come coppia sgangherata, funzionano che è una meraviglia. Ad ogni modo, tutto è opinabile.
    Quanto al post di Belpoliti, non mi pronuncio. Vorrei prima leggere il libro. Ma se queste sono le premesse, mah.. non mi aspetto nulla di nuovo. E tuttavia si farebbe bene a meglio indagare il “clima” in cui venne assassinato PPP. Non snobberei l’ipotesi , più che verosimile, del ragazzo di vita utilizzato come inconsapevole esca per attirare il cineasta in un agguato. Qualche tempo prima, poco prima, Franca Rame a Milano venne sequestrata e seviziata in pieno centro, in un furgone, ad opera di una squadraccia nera, probabilmente eterodiretta da qualcuno dei servizi deviati. Su questo anche Dario Fo, a suo tempo, si è mosso, soprattutto quando qualcuno ha tirato fuori particolari che non poteva e non doveva sapere, a meno che non fosse stato al corrente , da allora, delle modalità di quell’agguato. Dopo Franca Rame toccò ad Anna Saja, compagna di Lelio Luttazzi, anche lei impegnata nel teatro di denuncia civile. E giù, a cascata, ad altre persone meno in vista, ma non meno impegnati come intellettuali. E’ in quel clima che cade l’agguato a PPP. Le foto del suo massacro, delle condizioni in cui è stato ridotto, lasciano pochi dubbi sulla credibilità circa la unica responsabilità di un ragazzino di diciassette anni, armato di due legnetti quasi marci di pioggia…E’ il caso di dire che molti “sanno..ma non hanno le prove”. Occhio duque a liquidare alla svelta questa ipotesi,né mi pare poi così vero ciò che sostiene Belpoliti, vale a dire che molti, nella sinistra, allora come ora, rimuovevano o sublimavano l’ omosessualità di PPP. Forse ai vertici istituzionali del PCI PPP non piaceva perchè la sua battaglia culturale e politica non era funzionale alla politica del “compromesso storico” che andava dispiegandosi; questo è certamente vero, ed è condannabile – allora come ora. Era la maniera provocatoria di PPP, il suo procedimento paradossale, ossimorico, di condurre la polemica, ad essere spiazzante, a portare fuori strada, perfino alcuni tra i suoi amici più cari (Moravia, ad esempio, che pure mostrò di non averlo ben inteso , con un intervento sull’Espresso del 1973-74); era questo , non certamente il non voler considerare la sua omosessualità, né essa c’entra più di tanto, se non di riflesso, data la psiche traumatica di PPP (si legga tra le righe il suo film EDIPO RE, ad esempio), circa l’edipo non risolto nei confronti della figura materna, di cui lui era consapevole: illuminante è la poesia SUPPLICA A MIA MADRE. Da qui, dunque il rappoorto traumatizzato/ante col povero padre Carlo Alberto, al di là delle idee autoritarie e/o conformistiche di costui.
    Quando fu assassinato avevo 21 anni e da qualche tempo andavo seguendo le polemiche accesesi sulla stampa ogni volta che PPP interveniva. Proprio allora andava affermandosi universalmente come regista e come intellettuale polemista, al di là della ristretta cerchia dei chierici, grazie soprattutto alla Trilogia della Vita. il che faceva sì che ne beneficiassero anche le vendite dei suoi romanzi e delle sue opere su carta, in genere. Ciò che suscitava parecchi risentimenti e invidie da parte di chi – tra i suoi coetanei frustrati dal suo successo e tra i più ambiziosi delle generazioni successive “sparava calci” per emergere. Sicchè era palmare il fatto che molti si inserivano nelle polemiche senza aver letto quasi nulla di PPP. Lo utilizzavano come grancassa di visibilità. Un po’ come avviene ora per Saviano (l’Innominabile). Ora come allora, tale e quale. Absit iniuria verbis. E che nessuno se la prenda. In definitiva, anche questo è opinabile.

  6. Nulla di nuovo sotto il sole. Neanche il velato paragone tra l’Innominabile e PPP. D’altra parte, si parva licet, è vero che alcune (piccolissime) assonanze ci sono.

  7. @gianni
    e certo, ho fatto una semplice osservazione e una altrettanto semplice domanda.
    Grazie per la risposta:-)

  8. PPP non è un maestro. Quali sarebbero i suoi discepoli? Non ci sono, non ce ne possono essere. La grandezza, l’eccezione, l’imperfezione poetica, non possono essere trasmesse.
    Siamo solo stati fortunati che sia nato qui, in questo strano paese. E solo qui poteva nascere.
    Nel XIX secolo c’era Leopardi, un altro troppo grande per essere un maestro.
    Nel XX secolo c’è stato PPP.
    Scaturiti dal mondo, non dalle accademie.
    Uno era la voce della luna, l’altro la voce del corpo.

  9. un punto importante a me pare il rapporto tra pasolini e il successo, ovvero dei danni che il successo ha arrecato a pasolini.
    concordo con belpoliti e col suo modo di stare a sinistra: PASOLINI è un grande maestro.

  10. “Ti faccio fare la fine di Pasolini”, me lo sentii dire un paio di volte negli anni successivi alla morte di Pasolini: era come uno slogan in certi ambienti, veniva usato come deterrente, quando non ci si comportava propriamente da “clienti”.
    Pasolini lo avevo incontrato in una occasione di poesia a Roma nel luglio del 1972, ma non ero riuscito a suscitare il suo interesse. In compenso sentii parlare molto di lui in quel mese di esami di maturità, come supplente neo-laureato nella commissione dell’Istituto Tecnico-Linguistico Femminile “Caterina da Siena” di via Panisperna. Non come regista o come scrittore, non ce n’era bisogno. Sentivo parlare di lui la sera dal mio aiuto-bagnino. Aveva vent’anni, lo avevo incontrato sulla spiaggia di Ostia, dove qualche volta mi recavo al pomeriggio dopo gli esami. Ero sceso a Roma con la mia 128 gialla nuova comprata a rate e targata Varese. La sera ci piaceva scorrazzare su è giù fino a Piramide e poi al centro. Tardi lo riaccompagnavo a Ostia e ci fermavamo proprio lì, nei pressi del Lido. Seppi tutto del Pasolini notturno: abitudini, contatti, preferenze, insistenze, concessioni. Era assolutamente noto presso chi non aveva letto una riga dei suoi scritti. Ma non aveva più “storie” con nessuno. Mentre per me allora non era concepibile non vivere la storia. E con l’aiuto-bagnino Riccardo, che la sera indossava camicie sgargianti e portava pantaloni lucidi a zampa di elefante, io vissi una bellissima storia.
    Tre anni dopo, quando accadde il disastro, Testori ricordò sul Corriere che sì, si cena con gli amici, ma più tardi – soli – si finisce col cedere e col cercare qualcuno nella notte. Mentre Arbasino, più pragmaticamente, scrisse che non era possibile che si finisse in un posto del genere senza avere ben deciso prima chi doveva fare che cosa a chi.
    Io avevo capito. Trovavo ragionevole che per Arbasino dovesse essere così, ma sapevo da fonte certa che per Pasolini così non era. Non era più così da tempo. Con alcuni ragazzi il suo gioco era proprio quello di farli anche cedere. Un gioco più che altro cerebrale, che difficilmente concretizzava: gli bastava il gesto del cedimento. Che contestualmente significava anche avere chiuso con lui per sempre. Solo chi gli resisteva e lo “menava” aveva nuove chance di incontro.
    PER QUESTO MI PARVE VEROSIMILE IL PRIMO RACCONTO DI PELOSI.
    Per questo non mi parvero convincenti le posizioni di chi, come Enzo Siciliano, Alberto Moravia, Laura Betti – da subito e molto saggiamente, dico oggi – parlò di agguato ordito contro di lui. Erano le attribuzioni relative all’agguato che proprio non mi convincevano: neofascisti e/o il racket della prostituzione maschile (sul quale, si aggiungeva, Pasolini da tempo stava indagando). Oppure altre inchieste che forse stava conducendo. Ma a chi potevano dare fastidio le inchieste di un poeta che parlava di lucciole e di nuche di adolescenti? Pensavo: solo chi conosce il nostro mondo dall’interno può capire. Ero d’accordo con Bellezza, con Naldini.
    Trascorsero diciassette anni. Pelosi intanto usciva e tornava in galera per piccoli furti e spaccio. Apparve Petrolio. Non mi bastò: lo lessi a tratti, svogliatamente, infastidito. Carlo nel salotto: narcisista. Carlo si autoaccusa, tra quelli dei nemici mette anche il suo nome: masochista. Carlo si fa dieci ragazzi infoiati in fila: non giova alla causa dei nostri diritti civili. Certe parti contro l’Eni e la DC le saltai a pie’ pari, pensando che ormai era cambiato tutto: non aveva più senso pensare alla DC. Un romanzo fallito più che incompiuto, mi sembrava, già era troppo lungo così.
    Perché oggi sono qui ad accusarmi di miopia e a chiedere scusa alla sua memoria e a coloro che colsero subito la verità? Perché in rete ho visto finalmente le foto del suo corpo martoriato. Chiunque si rende conto che quel massacro non può essere stato compiuto da un ragazzo ritrovato con una sola macchiolina di sangue sul pantalone. Persino ammettendo che lo abbia davvero travolto fuggendo in auto. Erano in tre o quattro, avevano le catene, disse subito il testimone che abitava nella baracca lì vicino (NON PIU’ INTERROGATO): gli gridavano “arruso” e “comunista”, lui gridava “basta” e poi “mamma”, che fu la sua ultima parola. Il volto e il corpo recano i segni della lapidazione. Solo nell’estate del 2005 ho visto quelle foto. Dopo la confessione televisiva di Pelosi del 7 maggio 2005.
    E sono grato a Gianni D’Elia e al suo editore Giovanni Giovannetti (Effigie) che – invitandomi a presentare a Milano alla Festa dell’Unità nell’agosto 2005 L’eresia di Pasolini insieme a Barbacetto di “Diario” – mi indussero a rileggere Petrolio.
    Oggi mi resta solo il dubbio se Pelosi fu esca consapevole o inconsapevole. Propendo per la seconda ipotesi. Con forti minacce per farlo tacere fattegli giungere in carcere, immediatamente dopo l’arresto. Pelosi doveva scappare e basta. A piedi. Nel piano degli assassini.
    Ormai che la verità sia in Petrolio e soprattutto nel petrolio non lo dice un poeta o uno scrittore, ma un giudice. Come D’Elia ricorda a p. 98 del suo libro: ”Secondo il giudice Vincenzo Calia, che ha indagato sul caso Mattei, depositando una sentenza di archiviazione nel 2003, le carte di Petrolio appaiono come fonti credibili di una storia vera del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo italiano fascista e di stato”. E ancora: “Calia ha scoperto un libro, che è la fonte di Pasolini, un libro nato dai veleni interni all’ente petrolifero nazionale”. Pubblicato nel 1972 sotto pseudonimo, Questo è Cefis (L’altra faccia dell’onorato presidente) fu subito ritirato dalla circolazione e mandato al macero per ordine della magistratura. Pasolini riuscì ad averlo in fotocopia. In Petrolio l’onorato presidente si chiama Troya.
    PASOLINI E’ STATO UCCISO PERCHE’ STAVA PER SCRIVERE SUL CORRIERE LA VERITA’ SUL CASO MATTEI.
    Stava per dimostrare che le Sette sorelle non c’entravano, che la questione era interna, nostra, italiana; veniva da una saldatura tra istanze di potere politico-mafioso e certe disinvolture “resistenziali” per le soluzioni drastiche: Cefis e Mattei erano stati entrambi anche uomini della Resistenza.
    E oggi possiamo forse domandarci quanto di quella acutezza nella conduzione della sua indagine venne a Pasolini dalla conoscenza dei meccanismi interni alla fine drammatica del fratello maggiore Guido.
    Come ho potuto per tanti decenni – io intellettuale, io poeta, io omosessuale – non capire?
    In parte, certamente, fu per i comportamenti di Pasolini nella sua vita “privata”. Che di privato non aveva nulla. E furono proprio quei comportamenti che indussero i mandanti e gli assassini ad andare sul sicuro: stavano costruendo un delitto verosimile con tanto di movente. Ci cascarono molte persone oneste, come il pittore Gabriele Mucchi, rigorosamente marxista, che si schierò violentemente a difesa di Pelosi, considerandolo vittima dello sfruttamento sessuale di chi adescava minorenni con l’Alfa 2000.
    Per incidens, alla fine di maggio 2005, dopo la confessione televisiva di Pelosi, nella trasmissione di Rai 3 che si occupa di critica televisiva con i giovani analisti della Cattolica di Milano, la signora Poggialini, critico di Avvenire, definì Pasolini “pedofilo”, tout court. Un’accusa assurda alla quale nessuno dei presenti ritenne di dover obiettare.
    Ma la vera ragione per cui, per tanti decenni, sono rimasto al buio, l’ho capita casualmente imbattendomi in questa frase del libro di D’Elia: “L’omicidio di Pasolini è stato un atto premeditato e politico, non un delitto omosessuale”.
    UN DELITTO OMOSESSUALE?
    La questione non è solo lessicale. Diventa subito di sostanza. Nel delitto di gelosia è il geloso che uccide. Ad uccidere gli omosessuali, invece, sono sempre degli eterosessuali che ci tengono tantissimo a dichiararsi tali. (Ed è questa la ragione per cui gli omosessuali li cercano). Ricorrendo a tale definizione, se ne perpetua oggettivamente l’assassinio, inducendo quelli ottusi e miopi come me a ritenere verosimile, concepibile, spiegabile un delitto “omosessuale”. Un delitto omofobico, piuttosto, si dovrebbe dire.
    Quindi, non si dica che Pasolini – comunque – è stato ucciso dalla sua debolezza, che lo induceva a porsi in situazioni “a rischio” con i maschi “eterosessuali”. L’omofobia ha solo reso più cruento un delitto politico.
    PASOLINI SAREBBE STATO UCCISO LO STESSO. AVREBBE FATTO LA FINE DEL GIORNALISTA MAURO DE MAURO. Che fu fatto sparire proprio mentre indagava sul caso Mattei: mafia-Eni-Dc.
    Ma a differenza del coraggioso giornalista De Mauro, il coraggioso giornalista Pasolini fu anche un artista, un grandissimo artista, che attraverso il personaggio di Carlo – il cui corpo in Petrolio si consustanzia in merce, divenendo esso stesso petrolio – è riuscito a trasformare l’inchiesta che gli costò la vita nell’opera letteraria-summa della realtà italiana nel secondo dopoguerra.

  11. Grazie Franco. Dal tuo commento ho capito molte cose di quel periodo (caso Mattei) e di quella vicenda in particolare (Pasolini) che per motivi anagrafici e personali mi sono sempre stati lontani, ma che mi interessano per il discorso politico su energia e dintorni.

  12. Buffoni, sveglia. Hai mai sentito parlare di omofobia interiorizzata? Pasolini era affetto non solo da questo. Un personaggio mediatico con tantissimi limiti. Culturali. Basti pensare a tanti altri suoi contemporanei. Molto ma molto piu’ avanti. E grandi.

  13. @comedire

    l’articolo di carla benedetti, pur non del tutto condivisibile, è molto preciso e giusto: l’ansia di archiviare il caso Pasolini restringendolo alla motivazione sessuale è quantomeno intellettualmente sospetta.

    @ama

    Sono completamente d’accordo: ” Un personaggio mediatico con tantissimi limiti. Culturali. Basti pensare a tanti altri suoi contemporanei. Molto ma molto piu’ avanti. E grandi “. Aggiungo che il suo romanzo postumo contiene finanche la descrizione di un rituale in cui egli stesso viene sacrificato forse a fini di depurazione e rigenerazione. Aggiungo che la pratica di sapere non avendo le prove poggia su una fede nella razionalità e nello stesso tempo su una presunzione di sapienza sacra: non promette nulla di buono. Se sai, ma non hai le prove, come tanti di di noi, ironizzi, alludi, giochi, ti avvicini e ti scosti dall’obiettivo, come fece Giampaolo Rugarli nel suo romanzo di esordio ” La Troga “, che descrive il marcio del potere, in quanto tale, nella società italiana. Di La Troga si disse un gran bene quando uscì, lo si paragonava a Gadda. Pian piano Rugarli, che è ancora vivo, è stato accantonato. Chissà perché.

    PS: a scanso di equivoci volevo precisare che a dire che Pasolini non sapeva nulla di cinema, tecnicamente parlando, fu Bernardo Bertolucci, suo aiuto regista, cito a memoria: ” si inventava tutto, pareva di assistere alla nascita del cinema “. Non a caso Pasolini, affermando la superiorità del suo cinema di poesia, se la pigliava con il formalismo di Antonioni (che era uomo di cinema). Rimane che Mamma Roma e Accattone furono due grandi film. Dopo non so. Ma so è ne ho le prove che il genio cinematografico di quell’epoca fu Marco Ferreri.

  14. Franco Buffoni complimenti, un ottimo commento in un post banale.
    Altro che fastidiosamente “il corpo di parole e il corpo di carne sono per lui la medesima cosa: parola che si fa carne e carne che si fa parola” (manco fosse Cristo), altro che corpo omo o etero che sia, ma il filo nero della nostra storia, quel filo-pipe-line, che lega matteotti, mattei, de mauro, pasolini: il petrolio. Quel petrolio che oggi nel più totale silenzio di tutti è tornato alla ribalta nelle concessioni, quasi segrete e clandestine, off shore, nella storia scajola, nel ministero dello sviluppo economico liberatosi e tenuto per troppo tempo (ma non a caso) ad interim dal caimano.

  15. Ringrazio Georgia e il fu GiusCo per i loro interventi. Ad Ama rispondo: sono profondamente convinto che sia appropriato parlare di omofobia interiorizzata con riferimento a Pasolini. Se lei rilegge il mio intervento non trova nulla che vada in un’altra direzione. Che significa una frase come questa (“Con alcuni ragazzi il suo gioco era proprio quello di farli anche cedere. Un gioco più che altro cerebrale, che difficilmente concretizzava: gli bastava il gesto del cedimento. Che contestualmente significava anche avere chiuso con lui per sempre. Solo chi gli resisteva e lo “menava” aveva nuove chance di incontro.”) se non omofobia interiorizzata?
    Non parlo esplicitamente di omofobia interiorizzata perché l’intervento aveva un altro taglio e altre motivazioni ed era già sufficientemente ampio.
    Aggiungo soltanto che di omofobia interiorizzata parlo in due miei libri:
    ZAMEL, ed Marcos y Marcos 2009
    LAICO ALFABETO, ed Transeuropa 2010

  16. Vorrei ricordare a Belpoliti che a “fare davvero i conti con Pasolini”, evitando le stregonerie e i riti antropofagi o culinari sia pur simbolici che lui qui suggerisce,
    qualcuno ci ha pensato prima di lui e meglio di lui:
    Franco Fortini, ATTRAVERSO PASOLINI, Einaudi 1993.
    Se lo rilegga (o lo legga).

    P.s.
    Anche Fortini era dell’opinione qui espressa da
    Larry Massino:
    “Ma quello che non mi torna è il passo ” Pasolini è stato osteggiato, escluso e perseguitato in vita, non solo dalla destra, dai giudici, dai giornali benpensanti e reazionari, ma anche dalla sinistra “. Pasolini osteggiato non sta né in cielo né i terra: potette scrivere dappertutto, compreso per il teatro per il quale non era ferrato affatto; potette fare cinema senza nemmeno sapere come si guarda nell’obiettivo; ebbe amicizie letterarie e artistiche altolocatissime, a partire dalla Callas. Pasolini osteggiato ed escluso non ci sta proprio”.

  17. Si’, ho letto Zamel. Non faccia il maestro risentito con me. Quello di Pasolini e’ stato un “suicidio”. O una sorta di morte in diretta. Una cosa del genere diverse volte e’ stata suggerita da Pannella ad esempio… Poi potete continuare a menarvela quanto volete per i prossimi 30 anni. Senza poesia.

    Lei, Signor Buffoni, sa benissimo che molti omosessuali della sua generazione amavano il rischio e cercavano la morte. Quasi una forma di espiazione. Quando non era solamente esorcismo. E brivido.
    Di sicuro impotente e solitaria rottura di menti colonizzate dalla morale cattolica. O altrimenti qui stiamo rimuovendo una componente fondamentale del sesso marchettaro di Pasolini, un “frocio” borghese come tanti in quegli anni.

  18. Fra l’altro Buffoni ha fatto solo il copia e incolla. Aveva gia’ postato questo post altrove sempre qui su NI.

    Ma soprattutto… Pasolini non era qualcosa altro. Era perfettamente inserito nel sistema. E si scontrava con altri benpensanti e reazionari come lui. Tutto in famigli insomma…

    Col suo moralismo cattolico, e come investito da una sorta di potere temporale, Pasolini riusciva a lordare perfino la cronaca. Quasi un uomo di chiesa. Contro ogni forma di laicita’. E di superamento. Viveva come mutazione apocalittica ogni scossa di assestamento. Ogni transizione. Oggi a chi mancherebbe il suo assolutismo arcaico?

  19. Quoto al 100% Franco Buffoni: razionale,lucido, onesto. Ho letto Zamel e dice molto e bene sui meccanismi della omofobia. Non sono omosessuale, ma mi fido di lui quando attribuisce a PPP una interna omofobia e come essa poteva aver condizionato il suo comportamento in certe situazioni. Aggiungo che in lui agiva un senso di colpa non risolto (forse l’archetipo della figura paterna) che lo induceva a prendere delle posizioni a volte sconcertanti sulle modalità di lotta dell’allora nascente movimento gay (il FUORI) e femminista, al di là dell’ormai sua sperimentata tecnica dell’ossimoro nella polemica socio-politica e letteraria.
    E’ vero, PPP utilizzava poco e male le possibilità espressive del mezzo cinematografico (il cosiddetto specifico filmico) e capiva poco delle “tecniche” legate al mezzo. Ma lui , per esplicita dichiarazione, si rifaceva alla pittura , a Giotto, al Pontormo, al Masaccio, via Dreyer,il grande regista danese e via Longhi, il suo professore di Storia dell’Arte: amava “citare” continuamente da quadri del medioevo e rinascimento italiano (si pensi ai gruppi di comparse de La Ricotta nella scena propria della “Deposizione” del Pontormo, o al figlio di Mamma Roma, nella scena finale, che muore sul letto di contenzione dell’infermeria del carcere, inquadrato come il Cristo Deposto di Masaccio; o anche a intere scene, inquadrature e sequenze dal Decameron o dal Vangelo secondo Matteo, un vero e proprio trionfo di citazioni dall’arte pittorica giottesca e medievale); amava la camera fissa e le inquadrature frontali,proprio perchè agiva in lui il sostrato pittorico. Era la sua peculiarità ma anche il suo limite. Non a caso i film più riusciti sono Accattone, Mamma Roma, La Ricotta, la Sequenza del fiore di carta, Che cosa sono le Nuvole, la Terra vista dalla Luna, Uccellacci e Uccellini, dove i movimenti di macchina e le profondità di campo, il carrello-sequenza e l’uso del “fast forward”, vale a dire di alcune tecniche “specifiche” del mezzo, sono più funzionali e prevalenti, rispetto all’estetica del mezzo nella Trilogia della Vita o negli apologhi ideologici di Teorema, Porcile, Medea, Edipo Re,in cui prevalgono le influenze dalle tecniche pittoriche o da altre fonti espressive. Discorso a parte meriterebbe SALO’/SADE o le 120 giornate di Sodoma. Grande lo è stato come documentarista nel cinema d’inchiesta di COMIZI D’AMORE o nell’opera a quattro mani , speculare e opposta, con Guareschi de LA RABBIA. Come scrittore deve molto a Gadda, nella lingua e nelle tecniche mimetiche; come narratore non è tutto oro quel che riluce; come poeta è splendido ne LA RELIGIONE DEL MIO TEMPO, in particolare nei poemetti de L’Umile Italia, che sono dei veri e propri “piani sequenza” poetici; qualcosa di nuovo per allora, non tanto nel “cosa” ma nel “come” della narrazione poetica. E grande lo è stato come intellettuale e polemista, a prescindere dalla condivisione o meno del suo pensiero:lucido, ferocemente visionario, spietato nel denunziare tutti i sintomi dell’omologazione (quello che adesso, più estesamente, si chiama pensiero unico),:che reazionario. Al contrario,un intellettuale marxista, gramscianamente eretico, dal pensiero fluido, ma legato più alla grande cultura decadente, al Novecento che alle forme nuove che guardavano al presente coi mezzi del futuro, della società di massa. Per tornare a Belpoliti, Pasolini un Maestro? Non so e non credo che avrebbe amato sentirsi tale (cfr la citazione di Gianni Biondillo di Uccellacci e Uccellini). Di sicuro un grande. A cui si dovrebbe rendere giustizia illuminando i punti oscuri della sua tragica morte/massacro, un vero e proprio agguato di matrice fascistico/mafiosa per quanto riguarda
    gli esecutori, e legato alla “zona grigia” del potere, per quanto riguarda i mandanti.

  20. Devo dire che in ogni thread qui su NI aspetto sempre con “ansia” i commenti di Larry Massino e AMA.
    Al di là del fatto di essere o meno d’accordo con loro, riescono sempre a illuminare aspetti nuovi di problemi vecchi e per questo li ringrazio.
    Mi piace sopratutto il fatto che non hanno santini a cui inchinarsi. O magari li hanno, ma non sono qui.
    PS. Concordo pienamente con Larry su Ferreri.

  21. Che sia stato assassinato per Salo’ o Petrolio, che facesse ormai una vita ritirata o meno, Pasolini e’ morto come ancora oggi – piu’ a Roma che altrove in Italia – muoiono gli omosessuali omofobi, spesso devastati non solo ma soprattutto dal cattolicesimo, che vanno con marchette eterosessuali, non sempre straniere. Di sicuro altre. Non e’ cambiato molto. Gli stessi problemi di allora. La morte di Pasolini, chiunque l’abbia messa in scena, resta un archetipo. Che nessun critico o fanatico potra’ allontanare. Mai.

    Tutta questa morbosa attenzione al suo caso fa capire anche i plastici da Vespa. E la stagione dei giallisti. In tv.

  22. Il tema dell’omOcidio credo sia il rimosso vero dell’omicidio di Pasolini. Quasi che morire così fosse poco glorioso per un grande intellettuale. La sua morte in fondo poteva diventare una bandiera per portare avanti un discorso sui diritti e sulla paura che la comunità omosessuale aveva ed ha, ancora oggi, in una società cambiata radicalmente, ma non per questo meno aggressiva nei confronti degli omosessuali.
    In questo credo nel discorso di Belpoliti ci sia uno scatto in avanti (per me ben inteso, che questa è una mia rifessione).
    E non penso che una lettura “sessualizzata” della sua opera e della sua morte vada a detrimento o in alternativa con l’idea di rileggere quell’oscuro omicidio. Reputo, però, che ci sia stata una lettura unidirezionale, dietrologica, che nobilitava “pudicamente” una morte “oscena”. Quindi intrisecamente puritana.

  23. il problema caro biondillo è che in italia (ma non solo) chiunque (intelligente e in grado fare collegamenti non banali e di poterli far circolare) va a indagare nei gangli profondi dei fatti di petrolio fa una brutta fine e questo al di là del fatto se fosse omosessuale o eterosessuale, di sinistra o di destra.
    Secondo me non è un fatto di secondo piano se la morte di matteotti (malgrado i contemporanei sapessero bene le cause compreso i vignettisti che ne hanno lasciato testimonianze buttate però poi, e non a cso, nel dimenticatoio) ce l’hanno sempre e solo presentata come dovuta unicamente all’ultimo discorso alla Camera (che avrà avuto certo il suo peso ma che già era stato fatto) e non alle prove su scandali di petrolio e tangenti (che avevano coinvolto fascisti e casa savoia) che aveva raccolto in inghilterra e che il giorno dopo avrebbe presentato alla Camera.
    Per Pasolini ancora più facile farlo passare come uno dei tanti casi di violenza omofoba, che certo ci sarà stata, sicuramente, come dice anche buffoni, ma che difficilmente fu la vera causa dell’omicidio.
    Poi uno può esercitarsi a fare tutte le rutilanti ipotesi e analisi che vuole sul corpo, sulla carne, sullaparola, sulla mamma ecc. ecc. … e un altro può anche definirsi estasiato. Tutto legittimo ;-), poi però c’è anche altro e a me, sinceramente, interessa quasi sempre quel Altro perché spesso, non a caso, è più logico.

  24. Georgia, ma la mia impressione è che a destra s’è lavorato, depotenziando, sullo scandalismo codino e bacchettone e a sinistra solo (correttamente, figuriamoci) sul versante politico di quell’omicidio. Perdendo per davvero la possibilità di discutere collettivamente del problema cocente dell’omocidio. Come se fosse un problema minore (e io reputo che, ancora oggi, soprattutto oggi, sia una questione di civiltà autentico). Uno non esclude l’altro, ma “l’altro” è stato comunque escluso.

  25. perchè l’omicidio fu veramente politico, se omofobia ci fu, scatta negli esecutori al momento dell’omicidio (ogni sicario, come in guerra, si autocarica contro la vittima) ma non ne è stato il movente.

  26. Ma dico, cosa c’era in Petrolio che non fosse gia’ stato reso noto fra l’altro dalla stessa stampa? Certo, Pasolini poteva dare maggiore visibilita’ alla cosa. Fare clamore. Scandalo.
    Resta il fatto che le affermazioni di Georgia mi risultino un tantino… Pasolini non e’ finito impiccato ad un ponte di Londra, tanto per dire, ma nel tentativo di difendersi, percosso e poi schiacciato da una macchina in fuga. Il tutto in un campo fangoso fuori mano a lui non certo sconosciuto, raggiunto probabilmente di sua spontanea volonta’.

    La cosa piu’ importante resta COME e’ stato ucciso Pasolini. E la ragione ultima della modalita’ della sua morte sta nella non accettazione della sua omosessualita’. E nella pulsione di morte fortissima in tutta la sua opera. Non stiamo parlando di giornalismo d’inchiesta, ma di qualcosa di diverso.

  27. Che poi, voglio dire, Pasolini sapeva di essere in costante pericolo, e molto vulnerabile ogni volta che riprendeva il suo battuage. Di sicuro e’ morto come sempre aveva pensato che potesse accadergli un giorno. E ha messo in scena il suo omicidio come pensava che dovesse avvenire quel giorno, forse nell’attimo stesso in cui ha realizzato che stavano per intimidirlo con un agguato. Pasolini si e’ difeso si o no? Ha messo in fuga i suoi aggressori si o no? E’ stato investito da una macchina si o no? Volevano solo fargli paura, non si sa per quale ragione, o farlo invece fuori per le sue inchieste giornalistiche, facendo pero’ passare la cosa per omicidio a sfondo sessuale? Boh! Resta il fatto che i suoi aggressori hanno seguito un copione pasoliniano. E lui ne e’ stato il regista. In punto di morte. Altrimenti di cosa stiamo cianciando?

  28. @AMA

    Morgillo, guardi che ciò che lei sostiene (che Pasolini avrebbe inconsciamente messo in scena il suo suicidio per mano altrui) non è ipotesi nuova, ma cosa di cui si è discusso già pochi giorni dopo la sua morte e per anni, in seguito. Ipotesi suggestiva, sul piano simbolico, affatto peregrina. Ma – visto che siamo nel campo delle congetture- ipotesi che non necessariamente esclude quella ben più corposa e verosimile delle delitto politico/punitivo, come sta via via emergendo anche sul piano giudiziario per via di indizi sempre più corposi. Ripeto, le due cose possono anche essere lette incrociate, integrate. Probabile, come sostiene Buffoni, che PPP sia stato affetto da una omofobia latente, ma ciò non esclude “a priori” la concreta e corposa ipotesi del delitto politico. Sul piano della lotta per i diritti civili, e tra questi quelli dei gay, che allora in Italia andava assumendo le caratteristiche di un movimento di massa, di sicuro PPP aveva una posizione a favore, ma tendeva a distinguersi con posizioni spiazzanti, che inquadrava nella più ampia visione strategica dell “omologazione”. Non dico che avesse ragione, perchè commetteva un errore di “presbiopìa politica” sullo specifico. Ma su questo terreno aveva una sensibilità nè omofoba nè “reazionaria”: basti leggere POESIA PER MARYLIN, che la dice lunga sulla sua capacità di vedere molto al di là del quotidiano e di anticipare i tempi circa certe rivalutazioni.
    Quanto al PCI dei primi anni Settanta – almeno una parte di esso ne diffidava per via che le sue posizioni erano di ostacolo alla strategia del “compromesso storico”. E meno male e chi se ne frega, aggiungo io.
    Ma mi creda, Pelosi – allora diciassettenne e gracilino, non ha potuto DA SOLO ridurre PPP in quel modo, nemmeno passandogli sopra con la macchina.Le foto del suo cadavere dicono di un autentico massacro compiuto da almeno quattro persone e con vari oggetti contundenti, tra cui catene e sbarre di ferro. E’ probabile che il marchettaro Pelosi sia stato utilizzato come esca, lui consapevole o meno poco importa; e proprio a causa delle “ben note” abitudini di PPP . Chi lo aveva “attenzionato”, di certo le conosceva e ne avrà tenuto conto. Non sottovaluti,poi, quanto ho gia riportato in altro commento, circa “clima e temperie” nei confronti di certi intellettuali scomodi (vedi Franca Rame, Anna Saja ecc.). Che PPP abbia potuto avere inconsce pulsioni di morte è possibile, probabile, perfino quasi certo; ma da qui a liquidare la sua morte e le modalità della stessa, come la “naturale” conseguenza di questa pulsione, senza dare il minimo credito all’ipotesi del delitto politico/punitivo, ce ne corre. Quanto meno sarei più prudente e – se lo lasci dire – meno sprezzante. Quanto all’utilizzo di certe espressioni, sarà una questione di stile – e passi – ma non credo che fare delle ipotesi dignitose sia “cianciare”. Suvvia, sia meno apodittico, meno insofferente. Mi raccomando, non si infiammi. Fa male, peraltro.

  29. @gianni biondillo

    a proposito della tua ultima risposta a georgia, dici cose interessanti e condivisibili. Chissà perchè, rileggendola, come in un flash, m’è venuto a mente un romanzo di Bassani “GLI OCCHIALI D’ORO”, che provò a dire – con un linguaggio alla portata di tutti – a partire dal 1958 – dell’omofobia e del tema della “diversità”(il romanzo è ambientato nella Ferrara degli anni trenta). E c’è da dire che ancora prima l’aveva fatto Carlo Coccioli, cattolico, medaglia al valor militare per la resistenza antinazista a Livorno, e- a causa del suo FABRIZIO LUPO (1952) costretto a lasciare l’Italia, osteggiato dalle due “chiese” dominanti. Voglio dire, che non bisogna mai dimenticare di “storicizzare” , anche a proposito di omosessualità, di omofobia e di difficoltà e ipocrisie dei protagonisti soggetti/vittime del problema, anche fra intellettuali di primo piano (sublimati, velati o meno).Non foss’altro per comprendere certe posizioni. Fai bene, dunque, a sollevare il problema. E mi pare che certa sinistra odierna, che non perde mai qel sentore “parrocchiale”, in proposito tenda ancora a rimuovere, smorzare, moderare, ottundere. Dunque ben vengano dieci, cento mille “illuministi” alla Franco Buffoni.

  30. Ed infatti non perdetevi di Franco “Laico alfabeto in salsa gay piccante” (Maria: citazione pasoliniana) ;-)

  31. ???

    Sostenere qualcosa di nuovo? Perche’ dovrei? Come potrei! Dissero gia’ tutto a loro tempo intellettuali come Arbasino ad esempio.

    Vediamo… Quattro, cinque uomini con spranghe e catene che accerchiano un Pasolini che si difende, mentre qualcuno in fuga lo investe con la macchina… A voi cosa suggerisce? A me un agguato di miserabili. E la pornografia del plastico di Cogne da Vespa nel momento stesso in cui si parla della ricostruzione del delitto oltre un certo limite massimo di tempo.
    Magari qualcuno voleva davvero fare fuori Pasolini per Petrolio, magari dopo aver visto Salo’. Ma non potevano trovare un modo meno ‘osceno’ di ucciderlo? Come fate a NON capire che la modalita’ dell’esecuzione e’ piu’ politica del movente? E perche’ avete bisogno di un movente? Ad ogni costo?

  32. Morgillo, personalmente lo capisco benissimo. Ha ragione, la MODALITA’ DEL MASSACRO è OSCENAMENTE POLITICA , quale ulteriore sfregio e aggravante, ma NON E’ LA SOLA. Non si tratta di essere legati a una “mistica”. Ma è la costante, certosina, continua attenzione agli elementi di novità che qui e là emergono che ME lo fa pensare. A proposito – e per cortesia- non usi quell’apodittica generalizzante “seconda persona plurale”, mi fa pensare a tanti troppi professorini dell’estremismo col ditino puntato che facevano le bucce a tutti, tanto LORO erano i detentori della verità e , a furia di fare la corsa all’estrema sinistra, a sinistra della sinistra, si son poi ritrovati dall’altro lato, e oggi non si vergognano nemmeno un po’ di fare i palafrenieri di Berlusconi. Non è il suo caso, naturalmente, ma quel puntare il dito del “voi” me li fa venire in mente.Suvvia, abbia rispetto prima della sua intelligenza e poi (anche) della nostra, lasci perdere Vespa e il plastico di Cogne. Lei magari avrà appena passato la trentina e sarà nato proprio quando PPP veniva massacrato, e noto che se ne infischia di “storicizzare” il contesto ( e fa male, non foss’altro perchè si autopreclude un altro possibile punto di vista), ma le assicuro che il CONTESTO, QUEL CONTESTO , nel caso di PPP contava ( e conta) molto. Mi sbaglierò, vista la liquidità del mezzo, ma lei mostra di non avere la minima idea della reticenza e della pavidità a dire certe verità da parte di molti intellettuali dell’epoca. PPP, tra le altre cose, era oggetto di costante attenzione” da parte dei Servizi e del sottobosco fascistico, nonchè oggetto di costante persecuzione giudiziaria (lo sa di quanti processi – e dei più assurdi e pretestuosi- è stato intestatario?). Non semplifichi, nè svilisca la questione – gravissima e oscura- dei delitti politico/persecutori legati al petrolio e alle trame di Stato ( ne ha accennato con intelligenza anche georgia). Non mi stupirei affatto che il delitto Pasolini, prima o poi, venisse finalmente illuminato come tale, come il caso Mattei, De Mauro e via elencando. La MODALITA’ di cui lei parla costituisce un’ulteriore aggravante in quell’ottica. E fa bene anche a parlare a chiare lettere della problematica legata all’omofobia all’interno stesso del mondo omosessuale. Non ho molto cultura specifica, in merito, ma mi creda, se si storicizza – anche qui – il contesto, si comprende benissimo perchè PPP è stato massacrato in quel modo e per le ragioni da lei addotte. Ma una cosa è dirlo ORA, trentacinque anni dopo, con trentacinque anni di acqua passata sotto i ponti della “cultura del problema”, sebbene -a livello di diritti effettivi esigibli e di valori di vita liberi, laicamente spendibili come meglio uno crede, al di fuori dell’ipocrisia , della doppia vita da “velati” ecc. ecc. sia cambiato ancora poco nella vita materiale.
    Questo è giusto, lo comprendo benissimo e ritengo sia UNA BATTAGLIA DI TUTTI, di liberta tout court, senza sè e senza ma e SENZA QUARTIERE, aggiungo. Perciò ho stima del lavoro che conduce Buffoni.
    Non so se mi sono fatto intendere. Non se ne abbia.

    PS Dietro un delitto c ‘è sempre un movente. Anche il più insensato, anche la mancanza di un movente , di per sè, è un movente.Magari si scoprirà che UNO dei moventi sia stato l’omofobia, il più immediato e riconoscibile, stando alla lettura della pur inquinatissima “scena del delitto”, e che dietro a questo vi sia stato anche quello più complesso e raffinato della vendetta e/o del delitto politico; a sostegno del quale sono stati raccolti molti e univoci indizi. Ripeto, le due cose non si escludono.

  33. “PASOLINI SAREBBE STATO UCCISO LO STESSO. AVREBBE FATTO LA FINE DEL GIORNALISTA MAURO DE MAURO. Che fu fatto sparire proprio mentre indagava sul caso Mattei: mafia-Eni-Dc.” Franco Buffoni.

    Mi chiedo come si possa affermare così categoricamente che Pasolini sarebbe stato ucciso lo stesso, magari come De Mauro. In base a quale criterio o idea si può ipotizzare una cosa del genere e con tanta sicurezza?

    Pasolini usciva ogni sera con la sua automobile di grossa cilindrata in cerca di ragazzi , non faceva mistero di questo, si esponeva ogni sera in incontri mercenari con dei coatti, dei borgatari, talvolta fascistelli, che si prostituivano per quattro soldi e che magari un ora prima avevano dileggiato e disprezzato i froci.

    Ma è così inverosimile che Pasolini abbia fatto, allora, la fine di molti omosessuali? Quanti morti ammazzati o picchiati, nelle pinete, nelle case, sulle spiagge di tutta Italia specialmente in quel periodo dove linguaggio e atteggiamento omofobi erano sfacciatamente e apertamente diffusissimi a tutti i livelli della vita sociale, chi ricorda i lazzi e frizzi, le volgarità all’indirizzo di Pasolini in un in un programma televisivo della rete pubblica e riportato nel film recentemente riproposto, La rabbia?

    Perché non avere nessun dubbio circa il pericolo che Pasolini correva ogni sera, perché pensare che per lui non potesse esserci un sera fatale come per tanti altri? L’omosessuale Pasolini, in questo non era diverso dagli omosessuali sconosciuti, comuni

    Qualcuno ha ricordato la sua pulsione di morte, non so , ma certo impressiona sfogliare le pagine del catalogo “Pierpaolo Pasolini, corpi e luoghi” dedicato all’analisi del suo cinema , corredato da centinaia di foto e strutturato per temi, c’è un tema- capitolo , Morire ,con immagini di corpi mutilati, feriti, uccisi, in luoghi desolati, marginali, corpi sfregiati proprio come il suo , sul litorale di Ostia.

    maria

    ps. un saluto particolare a gianni biondillo per i chiarimenti sulle citazioni:-)

  34. Maria, lei cita le righe conclusive di una ampia e articolata argomentazione. Se ha la pazienza di rileggerla integralmente, vedrà che le risposte alle sue domande ci sono già tutte.

  35. Franco,

    lo farò ben volentieri, però le dico che il dibattito intorno alla morte di Pasolini nasce all’indomani della suo assassinio, già allora si prese a parlare di cosa fosse accaduto, delitto politico, fascista per la precisione, aggressione di gruppo, “lezione” finita male, ed era giusto dal momento che difficilmente poteva essere stato soltanto Pelosi a fare quel quel macello.

    Nel corso del tempo poi alla versione per così dire “complottista” si sono aggiunti altri motivi fino ad arrivare a Petrolio.

    Mi sono , quindi, sempre posta gli interrogativi che ho espresso qui e me li pongo ogni volta che, di nuovo, si esclude la tragica casualità che ,ovviamente nel caso di Pasolini, assume una problematicità che la morte di un omosessuale comune non potrà mai avere.

  36. franco,
    io non pretendo di commentare, commento, se poi lei ritiene che i miei commenti siano a capocchia o altro non posso farci nulla.

    Ho ri-letto il suo post e prendo atto di quanto dice a proposito delle ipotesi che circolavano già allora, successivamente dopo l’indagine del giudice d’elia lei cambia opinione e si convince che il delitto fu politico e non legato soltanto alle circostanze e alla casualità come io invece continuo a ritenere
    magari sbagliando.

    Credo che per adesso non ci siano sviluppi all’ipotesi del magistrato da lei citato, e infatti se non erro si chiede la riapertura del processo, staremo a vedere, per ora io rimango della mia opinione.

  37. Per i fiorentini ma non solo, segnalo che oggi a Firenze è stata aperta la mostra, Pasolini. Dal laboratorio.

    La mostra promossa dal gabinetto Vieussex e realizzata dall’Archivio Contemporaneo A. Bonsanti, riguarda l’archivio personale di Pasolini, si tratta di dattiloscritti, manoscritti ,lettere , cartoline, appunti, prime edizioni dei suoi libri, disegni, pagine di giornali e settimanali dove lui scrisse, ci sono anche le tessere di iscrizione al PCI del 1947 -1948, e le bozze di Petrolio:-).

    Il materiale, conservato dalla madre ed ereditato da graziella chiarcossi che lo ha donato all’archivio, copre tutta la vita intelletuale di PPP, dal 1940 fino alla morte e mostra ancora una volta il talento straordinario, la creatività, la capacità di sperimentare, la versatilità di questo grande italiano.
    Guardando quelle carte mi sono un po’ emozionata.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: