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Soldi soldi soldi

di Romano A. Fiocchi

Andrea De Alberti, La rimozione del conflitto, Industria & Letteratura, 2024.

A Pavia c’è una libreria speciale. Si chiama Il Delfino. Speciale perché è diventata il punto di ritrovo – oltre che dei lettori, come è logico che sia – di poeti, romanzieri, novellisti, giallisti. Non è una magia, è il risultato dell’impegno trentennale di tre librai (Andrea Grisi, Guido Affini, Andrea Bordone) che sono riusciti a creare una comunità di ‘amici dei libri’. Accanto agli scaffali, mescolati tra i frequentatori abituali, trovi a chiacchierare poeti come Andrea De Alberti e Dario Bertini, narratori come Piersandro Pallavicini e Giorgio Scianna, giallisti come Alessandro Reali, autori eclettici come Walter Vai e Davide Ferrari (tra l’altro attore e regista). Trovavi, prima della sua recente e prematura scomparsa, appena cinquantasettenne, anche la bravissima scrittrice italo-somala Kaha Mohamed Aden.

È dunque in questo ‘habitat librario’ che Andrea De Alberti ha presentato, il 17 febbraio scorso, la sua ultima raccolta di liriche La rimozione del conflitto. Diciamolo subito: la rimozione psicologica e il conflitto sociale con i soldi. Si tratta di un libretto di trenta composizioni, suddiviso in cinque parti, a loro volta costituite da un numero variabile di liriche. Tecnicamente si sviluppa come un poema sinfonico con motivi che si rincorrono, ossia con immagini che affiorano e riaffiorano a distanza di pagine, che passano da una lirica all’altra, il tutto ‘narrato’ per lo più in terza persona senza esplicitare il nome del soggetto. Ed è incredibile come De Alberti riesca ad amalgamare ironia e visione poetica, concetti filosofici e semplicità lessicali. Il suo è un linguaggio che si affina sempre di più da una pubblicazione all’altra, a cominciare dalle prime raccolte: Solo buone notizie, 2007, Basta che io non ci sia, 2010, Litalìa, 2011, sino al balzo di qualità delle sillogi Dall’interno della specie (Einaudi, 2017) e La cospirazione dei tarli. L’universo di Don Chisciotte (Interlinea, 2019).

Poema sinfonico, suggerivo, inteso quale intreccio di liriche di varie misure dove le parole si ripetono come motivi musicali, ogni volta modellati diversamente e sempre più vicini al perfezionamento dell’immagine. Ad esempio l’esergo «Avrei potuto fare di più nella vita / che portare persone su un carretto di legno» in una lirica successiva diventa «Un carretto di legno a volte ci svela / il nostro posto nel mondo». Oppure l’espressione «Il denaro è un incidente» ritorna più avanti come «Il denaro è un incidente di percorso che mina la speranza». O addirittura, ci sono versi che si ripetono inizialmente pari pari e poi evolvono in ramificazioni impreviste:

L’adolescenza è in parte economica e in parte emotiva,

ci ricordiamo l’odore dei soldi

e l’effettiva disuguaglianza tra un abbraccio e una mancia.

La profondità dell’abitare è perlustrata da un detective,

la trincea da una talpa.

Nella penultima lirica si ripropone in questo modo:

L’adolescenza è in parte economica e in parte emotiva,

ci ricordiamo l’odore dei soldi,

l’effettiva disuguaglianza tra un abbraccio e una mancia.

L’adolescenza rappresenta la profondità del nostro abitare,

la trincea, l’attaccamento alla danza mascherata;

Oppure ancora, procedendo sempre per allusioni, De Alberti incastra pezzi di associazioni di idee:

Ha paura a guidare,

odia le code delle mucche,

gli piacciono le facce delle banconote,

il muso del maiale.

Tutto ciò per dire della tecnica poetica. Che un verso semplifica così: «Probabilmente una di queste cose è collegata a un’altra». Non senza ironia: «Probabilmente».

De Alberti nomina Freud, Auden, sant’Agostino, Hegel, Céline, il «carissimo» Hölderlin, allude a Leopardi scrivendo «L’immaginazione poteva superare una siepe / o un esame di coscienza», evoca il verso di Montale «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» attraverso una citazione velata: «ciò che vogliamo ma non ciò che sarà». Citazioni colte, dunque, che fanno da contrasto al mondo semplice e primitivo della campagna e dell’osteria-trattoria dei nonni dove De Alberti ha trascorso l’infanzia: i pesci nei fossi, i grilli, le libellule, le lumache, la «castità disarmante» delle nuvole, le mucche, il maiale, la stalla, l’orto, la legnaia, il fienile, i campi, le marcite, le risaie con l’acqua verdastra. Un mondo dove «tutto era gratis». Ma anche citazioni ironiche, come «strofina una lampada con un calzino», perché sa che il genio non uscirà mai. Citazioni che, grazie a una scrittura stratificata, non devono essere necessariamente decodificate: la lettura di queste poesie è su più piani, come se fosse un misto di poesia colta e di cronaca da giornale.

Andrea De Alberti e Flavio Santi

Che conta, in fondo, è l’argomento che De Alberti vuole trattare: i soldi in quanto fenomeno sociale. I soldi in quanto componente inevitabile del carattere dell’Homo sapiens, perché è lo stesso che abitava le grotte e le decorava. I soldi nella visione di un poeta. De Alberti non giudica, tutt’al più fa dell’ironia sul conflitto soldi-individuo, soldi-società, soldi-potere. Lui stesso è consapevole di vivere un rapporto conflittuale con i soldi sin dall’infanzia («Usciva dal cassetto odore di caffè, minestrone e mille lire, tutto insieme»). Ma né li ama né li odia, cerca semplicemente di capirli esaminando ogni loro sfumatura: «I soldi fanno la bava», «I soldi invece attraversano la vita», «I soldi fanno l’infanzia luminosa», «la mancanza di soldi come un attacco di angina», «Tutto ha propriamente inizio / quando per la prima volta ci danno i soldi per le caramelle», «Con i soldi il nulla viene incessantemente / convertito in tutto, / per trasformare il bene nel niente che ci serve».

Il concetto dei soldi intensifica la sua presenza (anche con la formula «denaro») nella terzultima e nella penultima lirica: Il denaro trasfigura le cose e Da ragazzi pensiamo le cose in grande, che per certi aspetti, dal punto di vista tematico, rappresentano il fulcro della raccolta. Di seguito un frammento, tra i passi più suggestivi:

I matti non pensano mai al denaro

anche se lo trovano e lo raccolgono sul marciapiede;

il denaro in questi casi può essere un mozzicone

di sigaretta usata,

una cosa da riciclare;

è la cosa che nessuno vede perché evidente,

perché ci si deve inginocchiare per raccoglierla.

Le persone chiedono in ginocchio il denaro;

quando vediamo una persona

che s’inginocchia ci viene pietà.

La pietà è nemica del denaro

perché ci fa perdere l’obiettivo della nostra ricerca

facendoci guardare verso il basso la persona

che abbiamo davanti;

per avere denaro bisogna sempre guardare in alto,

ma in alto crescono i frutti dell’albero della cuccagna.

Le parole «soldi» e «denaro» si trasformano talvolta in «Banca» (spesso scritto con l’iniziale maiuscola), che ha un valore semantico non dissimile. Ma la banca di De Alberti è anche un luogo della mente, fantastico e mitologico: «La Banca era la nostra grotta di Altamira», «L’osteria era la Banca dell’infanzia».

C’è poi il motivo della scomparsa del padre, il suo ricovero al Policlinico, che alla fine ci riconduce al tema dei soldi: «La Banca gli fa interrogare il malato / controlla gli stati epilettici del denaro, / la distanza che separa un avvenimento / da un versamento». La figura paterna torna dopo una decina di pagine in una bellissima lirica:

Scrive di notte una lettera:

Caro papà,

forse ti sei perso il mio periodo migliore,

è cambiato tutto quel giorno in cui alla televisione,

per caso, passarono la finale dei duecento,

Mennea a Mosca nel 1980 e la voce del telecronista:

recupera recupera recupera recupera.

In questi anni per me tu sei stato

quel telecronista.

(La raccolta La rimozione del conflitto è uscita per i tipi di Industria & Letteratura, qui il sito Internet)

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1 commento

  1. Anche nel nostro piccolo contesto montecosarese abbiamo ricevuto il prezioso dono di dialogare con Andrea sul suo libro, aprendo continue digressioni e suggestioni, chiedendoci quanto i soldi siano rappresentazione e chiave di lettura del nostro contemporaneo rapporto con il circostante, meccanica di relazione e cifra del proprio riconoscimento nel processo di maturità. Ancora un enorme grazie per averci portato con sé nel suo pensiero.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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