Tempo di elezioni: la mia clausola

di Antonio Sparzani

Tempo di elezioni. Personalmente credo ancora, in mezzo a mille difficoltà su cui non mi metto ora a discutere, che sia una buona cosa andare a votare.
Sì, ma con quali criteri si dà il proprio voto? Quali ragionamenti, quali priorità? Non intendo certo discutere le preferenze politiche o umane di ognuno. Intendo soltanto discutere con voi un criterio, una motivazione di voto che sento argomentare da più parti, con perfetta onestà personale e, come dire, purezza di intenti.

Ovvero vorrei proporre un ragionamento generale, che valga sia per elezioni politiche generali, che per elezioni locali, primarie, o secondarie che siano.
Supponete che dobbiamo votare per i cinque candidati (mi perdonerete se userò il maschile plurale, per non appesantire lo scritto con tutti gli “i/e” del caso. Inoltre si può trattare di candidati o di partiti o gruppi vari, naturalmente), A, B, C, D ed E. La mia clausola di base suona così:

devo votare per quello dei cinque che mi convince più degli altri, per tanti motivi che sono padrone di valutare col mio proprio metro. Può darsi che sia incerto fra due o più dei candidati, ma alla fine devo pur decidermi a preferirne uno.

Clausola ovvia, direte voi, e invece no.
Non è ovvia perché la mente dell’uomo occidentale (ma forse anche quella di altri esemplari della specie) è, o ritiene di essere, più sottile di così. Nel senso che fa rientrare nei criteri di scelta anche altre cose, oltre alle caratteristiche politiche, umane e quant’altro, del candidato (o partito) in questione. Fa rientrare quelle che potremmo chiamare considerazioni tattiche. Esempio: io, di mio, preferisco A, ma, dall’andazzo corrente ritengo che la vera contesa sarà poi tra B e D e che al ballottaggio del secondo turno (quando c’è, naturalmente) saranno B e D che si contenderanno il posto, tra i quali, già lo so, io preferirò senza alcun dubbio D; e allora, se io all’inizio voto A, come vorrei, “disperdo” voti da subito, non faccio vedere che D ha tutta la forza che io voglio appaia da subito.
Conclusione: voto D fin da subito.

Io capisco il ragionamento ma non mi adeguo e credo di non essermi mai adeguato in passato. Credo una cosa completamente diversa.

Credo che la prima cosa che deve apparire è la forza autentica che ha ognuno dei cinque candidati, quella cioè che solo appare dalle preferenze vere che egli è in grado di ottenere da chi lo vota. Non dalle preferenze tatticamente deformate. Per l’ottima ragione che questo chiarisce il quadro di base, chiarisce com’è il punto di partenza, piacevole o spiacevole che sia. Se così facendo al primo turno prevale l’odiato candidato B, bene, questo ci dà informazioni vere sulle preferenze degli elettori e da lì si può partire per future coalizioni e per le azioni più opportune.

Inoltre naturalmente c’è una questione di giustizia nei confronti del candidato A: molti lo preferiscono, ma votano D per ragioni di tattica o, come le definirei io, di secondo livello. Infatti nell’ipotesi detta, A non avrebbe modo di rendersi conto della forza che in realtà possiede e questo è un grave danno per la sua azione presente e futura.

E infine, last but not least, tutto il ragionamento tattico si basa sul fatto che io “ritengo” che alla fine la contesa sarà tra B e D; ma se io mi sbagliassi? Gli umori degli elettori sono variabili e mutevoli, se la forza vera di A fosse grosso modo equivalente a quella di D, così che solo la presunta tattica farebbe prevalere D, mentre un voto autentico darebbe più voti ad A, che andrebbe quindi lui al ballottaggio con B? Sarebbe una bella beffa per la cosiddetta tattica, no?

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5 Commenti

  1. Mi è molto piaciuto leggere questa riflessione perché mi fa avere speranza…almeno voi abitate in un Paese in cui una riflessione del genere è possibile. Qua invece (Spagna) ci sono due opzioni: la A (destra non moderata) o B (sinistra che non è più sinistra e che fa politica di destra). Così ogni volta è più piccolo il gruppo di cittadini che vota e così ogni volta la democrazia, o quel che resta di essa, è più vicina all’abisso.
    Dicevo che mi fa avere speranza perché se voi siete riusciti a costruire una democrazia vera, o almeno più vera della nostra, forse, nel futuro, ci riusciremo anche noi.

  2. Il movimento americano Occupy Wall Street non ha onorato la democrazia elettorale. Fino al giorno delle elezioni compreso, sui suoi siti internet non è comparsa una sola parola sulla competizione che tutti i media stavano trattando come evento epocale. Il giorno successivo ha invece diffuso un manifesto ufficiale in cui spiega senza mezzi termini di non essere interessato a questi aspetti della società attuale. Dice di essere in un altro universo, di essere una voce aliena che dal futuro chiama all’appello contro il capitalismo.

    Non sarebbe ora di farci, anche noi, alieni e di dire basta al rito elettorale?

  3. Antonio: d’accordo, ma mi viene un dubbio. Mi pare che secondo te sia importante raccogliere “informazioni vere sulle preferenze degli elettori”. E mi pare credibile che le informazioni che vengono raccolte in una “vera” scelta siano più “vere” di quelle raccolte nei sondaggi. Tuttavia, lo scopo delle votazioni non è quello di raccogliere informazioni.
    Allora: da un punto di vista etico e civico, è sicuramente opportuno che io partecipi a una votazione “vera” come se servisse non a prendere una decisione ma a raccogliere informazioni?
    Ho il sospetto che no, che non sia la più opportuna delle strategie possibili.

  4. Trovo corretto il ragionamento. Non votare per i candidato che si ritiene migliore in quanto difficilmente risulterà finalista ci costringe, in primis, a una rinuncia “etica” mortificante e di fatto ingiustificata, essendo previsto un ballottaggio.
    Inoltre, come argomenta Sparzani, priva i candidati di una lettura per così dire netta del loro gradimento personale e non tiene conto degli errori tattici sempre possibili.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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