La follia dei numeri #3, però . . .
di Antonio Sparzani
“L’italiani sono di simulato sospiro”, dice il Gadda nelle sue fantasmagoriche Favole e aggiunge “L’italiani sono dimolto presti a grattar l’amàndola: e d’interminato leuto”. Bene, l’italiani matematici non son da meno: i nomi di Gerolamo Cardano (pavese, 1501-1576) e di Rafael Bombelli (bolognese, 1526-1572) sono tra quelli più implicati nella ulteriore follia che esaminiamo adesso.
Qual è il problema ? Il problema è che i matematici si rifiutano di ammettere problemi senza soluzione. Adesso che qualsiasi numero, anche con una sfilza di infinite cifre qualsiasi dopo la virgola, è stato fatto esistere, portando all’esistenza così le radici quadrate, cubiche, n-esime di qualsiasi numero, cos’altro si vuole? Si vuole che queste ultime parole “qualsiasi numero” abbiano senso; infatti avrei dovuto scrivere “qualsiasi numero positivo”. La radice quadrata di 1 è 1, e anche –1 , cioè ci sono due radici quadrate di 1, poco male, abbondanza di soluzioni. Ma –1 ce l’ha una radice quadrata? Abbiamo nei nostri scaffali, così accuratamente costruiti (e che contengono quelli che abbiamo chiamato “numeri reali”) uno, o più numeri che abbiano come quadrato –1? Certo che no, perché ognuno dei numeri che finora abbiamo creato, moltiplicato per stesso fornisce un numero positivo, dato che sappiamo che più per più fa più e che meno per meno fa più. Orrore e raccapriccio! Come è mai possibile? Se lasciamo le cose così ci saranno equazioni anche molto semplici senza soluzione, a cominciare da x² + 1 = 0, che diventa x² = –1, dunque irrisolvibile. Ecco dunque l’intollerabile aporia: ci sono equazioni algebriche che non hanno soluzioni.
Qual è il rimedio più semplice a questa “intollerabile aporia”? Semplice: grattiamo, come suggerisce il Gadda, l’amàndola, che metterà in moto la nostra illimitata fantasia matematica, ovvero immaginiamoci un numero il cui quadrato fornisca esattamente –1, per sua definizione! La cosa più importante, per farlo esistere, è dargli un nome: dato che è un numero immaginario lo chiameremo “i”, definito dalla proprietà i² = –1. Dopodiché lo si vuole “mettere assieme” ai numeri reali già noti e si forma così un camppo (parola non casuale in matematica, ma sulla quale qui non insisto) nel quale, se a è un numero reale, ha senso definire sia il prodotto ia che la somma a + ib , con b ancora reale – e tutti i “numeri” di questo tipo, forniti di una parte reale, a, e di una parte immaginaria, quella che “moltiplica” la i, qui indicata con b, vengono detti numeri complessi. Tra essi è “naturalmente” definita una somma:
(a + ib)+(c+id)= (a + c ) + i (b + d)
e un prodotto
(a + ib) (c+id)= ac – bd + i (ad + bc ),
nella quale si è appunto tenuto conto che i² = – 1. Pronto fatto! In questo così allargato insieme numerico, detto campo dei numeri complessi, l’equazione mostrata sopra che non aveva soluzioni nel campo reale, ha due soluzioni: i e –i e ogni equazione di grado n ha esattamente n soluzioni, reali o complesse che siano. Visto che colpo di mano?
Sì, voi direte, va bene, ma lasciamo i matematici farsi le proprie elucubrazioni mentali, per quanto bizzarre siano e stiamo attaccati alla realtà che di immaginario non ha nulla. Eh già, sarebbe bello se ce la si cavasse così, ma c’è un inaspettato ma.
Come raccontavo qui, nel giugno del 1925 (l’anno venturo festeggiamo il centenario) Werner Heisenberg, causa febbre da fieno contratta a Göttingen, andò a Helgoland, isoletta nel Mare del Nord e lì inventò, o intuì, i primi barlumi di quella che poi venne definitivamente chiamata meccanica quantistica e che ancor oggi, con tutti gli opportuni sviluppi e miglioramenti avvenuti in un secolo, è la migliore teoria che possediamo della struttura atomica e delle interazioni tra quei pezzettini di materia piccoli piccoli.
E questa teoria, ormai assai collaudata e potente, necessita assolutamente, per la sua corretta formulazione matematica, del campo dei numeri complessi. Erwin Schrödinger l’anno seguente formulò una versione detta “ondulatoria” della stessa teoria e nell’equazione che la esprime, ormai universalmente nota come “equazione di Schrödinger” compare inevitabilmente la famosa i .Non si può formularla usando soltanto i numeri reali. Non c’è naturalmente alcuna spiegazione “intuitiva” o “comprensibile” di ciò.
È un fatto matematico. È un fatto matematico?
La matematica l’abbiamo creata e costruita noi sapiens, e qui naturalmente si potrebbero porre diverse questioni, di quelle di respiro enorme, tipo: questo strano fatto (insieme con tutti gli altri “strani” fatti delle teorie scientifiche che abbiamo) è insito nella natura delle cose o dipende da come è configurato il cervello dei sapiens? E via così, naturalmente io qui non comincio neanche a parlarne.
Così finisce la serie delle follie, non perché non ce ne siano altre, ma perché richiederebbero conoscenze poco adatte alla divulgazione.