La terra con la t minuscola

di Giacomo Sartori

Oggi è la giornata mondiale del suolo. Il suolo è quella sostanza sporca che chiamiamo comunemente terra, nello stesso modo cioè della Terra, il globo terrestre, che invece i suoi quarti di nobiltà li ha. La terra, il suolo, è quella pellicolina fangosa che riveste le parti emerse della Terra. Un velino da niente dal quale dipende tutto il nostro avvenire, perché solo su di esso cresce il cibo che mangiamo, vale a dire le piante coltivate. Basta un niente per stracciarlo o devastarlo, e invece poi per riformarsi impiega migliaia d’anni, decine di migliaia d’anni. Ma noi non potremo aspettare qualche decina di migliaia d’anni, se lo mettiamo fuori uso, come stiamo facendo. Che la Terra vada rispettata cominciamo a saperlo tutti, che anche la terra sia preziosa ne sono coscienti ancora in pochi. Perfino molti agricoltori non lo sanno, o lo hanno dimenticato.

Il cemento, ma anche l’agricoltura industriale, stanno distruggendo i suoli. Basta guardarsi in giro in questo periodo: i suoli sono sempre più chiari, vale a dire sempre più poveri di sostanza organica. E in molte regioni vengono strappati via dalla pioggia, finiscono nel mare. E stendiamo un velo pietoso sui rifiuti tossici camorristici. Di questo l’economia non se ne cura, perché l’economia non si occupa del futuro non immediato, e comunque l’agricoltura è una insignificante voce nell’economia globale. Solo che noi non mangiamo caselli di autostrada o telefonini, con tutto il rispetto per l’industria e le altre attività, mangiamo cereali, leguminose e pomodori eccetera. Questi prodotti ora sono sufficienti: il miliardo di persone che hanno fame dipende sono dalla sperequazione. Presto invece non saranno abbastanza: la popolazione mondiale cresce, e nei paesi in via di sviluppo diventa più esigente, mangia più carne. Per nutrire gli animali ci vogliono stratosferiche quantità di cereali e di leguminose, gli identici alimenti che mangiamo noi. E adesso ci è venuta la bella idea di trasformare i cereali, il cibo, in benzina, spendendo quasi altrettanta energia che quella ottenuta. Per venircene fuori bisognerebbe avere altri suoli a disposizione. Solo che i suoli coltivabili sono già tutti coltivati, se si eccettuano i fazzoletti residui di foresta tropicale, che hanno altre importantissime funzioni.

Noi lo roviniamo e lo devastiamo il suolo, anche in Italia, anche nella nostra regione, e non pensiamo al futuro. C’è chi è convinto che con la genetica si otterranno delle superpiante che risolveranno tutti i problemi. Finora – anche se certo l’ingegneria genetica in futuro porterà grossi miglioramenti – le piante modificate non hanno l’aumento delle rese annunciato, e anzi danno crescenti problemi. Questa è la realtà attuale. E comunque mettere a punto piante modificate è molto costoso, e le varietà prodotte sono quindi poche. E adatte ai suoli più ricchi, alle pratiche agricole più generose. Quando invece la limitazione alla produzione agricola viene nella maggior parte dei casi dai suoli, sempre più sterili e sempre più poveri, e dalle limitazioni sociali, non dai limiti genetici.

Per vincere la fame nella maggior parte dei casi andrebbero benissimo le vecchie varietà rustiche e resistenti alle malattie, migliorando un minimo le pratiche agricole e lasciando coltivare chi sa coltivare. Contrariamente a quello che si pensa comunemente i modi di coltivare tradizionali sono più produttivi (come rese a ettaro), più intensivi, dell’agricoltura industriale, che in genere è estensiva (l’Europa occidentale è un’eccezione), e danneggia l’ambiente. A noi sembra fantascienza, ma nei tre quarti del globo solo le pratiche agricole tradizionali, opportunamente supportate, potranno produrre il necessario per sfamarci senza rovinare i suoli, e quindi con la necessaria sostenibilità. Lo dice la FAO, lo dicono le persone che conoscono a fondo l’agricoltura mondiale (e non solo la nostra, che è minoritaria).

Agricoltura tradizionale o industriale, colture di qualità o comuni, e industria o non industria, strade o non strade, se roviniamo e eliminiamo i suoli ci tagliamo l’erba sotto i piedi. Il Trentino ha varato una legge di salvaguardia dei terreni agricoli, si spera che il disegno di legge del governo sia approvato e faccia altrettanto. Ma non basta. Bisogna che ci rendiamo conto che la terra è poca e fragile, e che impariamo a rispettarla. Le tecniche ci sono, e spesso non sono nemmeno più costose, anzi. L’unica soluzione è che ci riconciliamo con quell’umile straterello, e prendiamo atto che dipendiamo da lui. A questo serve la giornata mondiale del suolo.

(questo testo è apparso sul quotidiano “Trentino” del 4 dicembre, in occasione della “giornata mondiale del suolo” indetta dalla FAO, il 5 dicembre: http://www.fao.org/globalsoilpartnership/events/detail/en/c/161407/ e http://www.facebook.com/pages/World-Soil-Day-December-5/165018620273203, e del convegno workshop del 4 e 5 dicembre “L’Uomo e il Suolo: una storia infinita” al Museo di Scienze Naturali di Bolzano)

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4 Commenti

  1. Il bosco.

    Verticali possenti creature
    pali viventi
    braccia che trattengono
    il terreno e un enorme
    ebbro soffitto verde
    in confidenza con il vento,
    con il cielo:
    che non ci riguarda,
    abitato dal cinguettio
    senza scimmie
    d’ontologie segrete,
    esseri che volano
    in confidenza con il vento
    con il cielo
    sopra le nostre aristocratiche
    coscienze di sé
    che non fanno le uova
    fanno gli aerei
    che infilzano le nuvole
    e si specchiano nelle olle,
    dagli oblo gli adolescenti
    vedono le nuvole,
    prevedono aquile,
    che svendono i loro segreti,
    sogni senza bisogni,
    senza scoiattoli,
    sarà forse vietato
    con lo scooter
    entrare nelle nuvole,
    entrare in confidenza
    con l’ebbro
    soffitto verde del bosco
    minacciato dai pavimenti
    di assessori velenosi
    con accendini diserbanti.

  2. bon, quello della foto invece è un bosco abortito, frutto di un disastroso tentativo russo di rimboschimento (nord dell’Algeria)

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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