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Elegie ritmiche inedite

di Daniele Ventre

1.

L’erba sussurra nell’ombra ai giardini delle delizie,
brezze di quieti ronzii lente la pettinano:
piano fra sponde di sassi parlottano liquide voci,
echi di futilità favole modulano:
musiche dietro pareti traslucide, grida di giochi,
ritmano riti e magie fragili d’intimità:
poi la parola ritorna con il chiacchierio degli incontri
callido di bisbiglii, dentro le sale da tè.
La ierodula sottile discrimina scaltra i momenti,
trame, le piccole dita, anime temperano
d’urti e schermaglie e le ninfe indulgenti, al cupo dei boschi,
giocano nelle sorgive, esili diafanità,
mani a dispetto, a spruzzare d’oblio, a rapire nel buio,
dove il sorriso notturno orli di vie cancellò:
l’alto sfiorarsi furtivo dei petali, l’ultimo abbraccio,
l’ansia sottesa, l’invidia avida che incenerì.
Qui per i chiusi canneti traspare il silenzio dell’alba,
l’onda si frange nei golfi iridescente e si sfa
nelle carezze di spume su torpide code di sabbia,
nelle parole che al vento ora rimemorano
l’umile monotonia degli amanti mai corrisposti,
l’intima grazia punita a compiacersi di sé.

2.

Lungo colline invernali le nuvole vanno remote
sull’orizzonte di rocce e sedimentano qui
schegge di freddo. Ora il tempo assetato assorbe le vite
in stillicidi d’attese e d’esistenze a metà,
pallide monotonie di veglie e visioni d’inquieta
tenebra, larve di nebbia, avide permeano
gli esseri nudi. In un giorno agitato di fantasie
sterili passo la via, che s’alimenta di me
e mi consuma e divora se stessa: in un bianco di nubi
liquide, in un’afasia d’anime, canti ed età,
rigo di neri silenzi le pagine scarne del vuoto,
che la ragione del vento ostica disseminò.

3.

Era nascosta la via, fra remoti intrichi di selve,
lungo i sentieri che il buio orlo del sogno tracciò,
orma notturna, a segnare il cammino in rughe di rupe,
fino a una grotta di scogli, alle rimosse realtà
sotto le coltri di spuma. E s’aprì fra cenge la riva,
madida di sinfonie, echi che l’onda intessé
con i racconti di ninfe e d’esilii e persi ritorni,
d’uno che s’innamorò di lontananze e svanì,
sposo a Colei-che-nasconde. Non restano che le memorie
a ritornare con l’onda, a riportarne, quaggiù,
pallide forme che il mare dell’essere sfuma nei gorghi,
ombre che in alghe e sciacquii diafane scivolano.

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2 Commenti

  1. Caro Daniele ho letto le poesie, queste, e le piccole barbare e sentivo il bisogno di esprimere alcune personali impressioni. Penso che la forma, anzi le forme metriche che usi e padroneggi in un modo fuori dal comune, tendano a volte a prevalere sui contenuti, e a schiacciarli. Ecco forma e contenuto, una distinzione discutibilissima certo, come ‘mezzo’ e ‘fine’, non credo nemmeno che possa parlarsi di una dicotomia, talora, fra queste espressioni. Però sono anche convinto che un angelo preso da solo sia terribile, senza un demone che lo accompagni e che gli tenga testa. Penso inoltre che questa ricchezza stilisitica e questa capacità formale che tu hai, talora rischino di essere troppo dominanti e di schiacciarti, perchè comportnao il sacrificia una cosa assai umana, che spesso si accomapgna alla necessità di ‘esprimersi’. Questa cosa secondo me è l’imperfezione. Mi colpisce, ad esempio la scelta, credo da te voluta, di un insieme di aggettivi, sostantivi, usi del passato remoto (‘e s’aprì…’), posticipazioni del soggetto al verbo etc, che presi nel loro insieme suonano al mio orecchio talora antichi, e correlati a stati d’animo del poeta, e talora invece arcaici, come pretesi dalla forma metrica, che gli stati d’animo stessi investe, e travolge, conformandoli alle ‘parole’ di una tradizione e alla loro riconoscibilità sociale. Credo che le ‘forme’, per chi ha la fortuna di saperle padroneggiare, siano ottimi servi, laddove consentono di esprimere diverse ‘voci’, magari in una corale ‘commedia’, o che addirittura possano essere indistinguibili dai contenuti stessi, e diventare appunto le voci, e il linguaggio originali non dico di un indemoniato ecco, ma quantomeno di uno che abbia a che fare tanto con Uriele quanto con Berlicche. Credo invece che le forme, se dettano troppo l’agenda, rischino di assumere il ruolo del padrone (buono o cattivo che sia, sempre un padrone è…). Un saluto.

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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