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La prova del cuoco : Ivan Ruccione

chf

 

Pasto nudo

di

Ivan Ruccione

È successo prima che lo cacciassimo in cella.
L’ho sbattuto con la pancia a terra, gli ho immobilizzato gli arti.
Ancora si dimenava ma non aveva più scampo: ce l’avevo in pugno.
Afferrai il coltello e glielo puntai al centro della schiena. Poi affondai – crack!- e squartai a metà l’intero corpo. Quando arrivai alla testa, un pezzo di cervello schizzò sulla mia guancia sinistra. Il sistema nervoso diede impulsi per una manciata di secondi ancora. Dopodiché  au revoir, douceur!
“Poveraccio…”, disse il giovane Stefano, con la faccia inorridita, accanto a me che assisteva alla scena.
“È uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo”, dissi io. Alzai la leva del rubinetto e passai le due metà del cadavere sotto il getto d’acqua per eviscerarlo più facilmente.
“Io non so se avrei il coraggio”, disse Stefano, con le mani appoggiate all’enorme plonge e la punta del piede destro che picchiettava nervosamente sul pavimento.
“Ragazzo mio, se vuoi fare questo mestiere non devi avere paura di niente. Soprattutto dei colleghi.”
Chiusi il rubinetto, mi voltai verso di lui e gli sventolai sotto gli occhi la vittima: “bene, prendi questi due bellissimi mezzi astici, dà loro un’asciugatina e mettili sottovuoto. E non dimenticare di annotare la data di confezionamento, che se viene l’A.S.L. so’ cazzi”.
“Sì, chef!”, esclamò.
“Non chiamarmi chef, pezzo d’idiota, che se quello ci dovesse mai sentire, ci infilerebbe la scopa nel culo e ci farebbe pulire l’intero hotel”
“A proposito, dov’è lo chef?”, chiese, inserendo le due metà nei sacchetti.
“Sono le 21.30, il servizio sta per finire e dove pensi che possa essere?”, dissi, insaponando con una spugna il coltello. “Sarà già in camera sua e starà spiegando come si piantano i cetrioli alla cameriera ai piani, come al solito”, proseguii.
“Ah!, che bello essere chef… donne, soldi, carriera!”, disse Stefano, con gli occhi sognanti verso le marmitte incrostate che avrebbe dovuto lavare a breve.
La macchina del sottovuoto fece PFFFFFFFFFFFF.
“Se lo dici tu…”, risposi, mentre davo un colpo di straccio al banco di lavoro.
“Sì, te lo dico io! Adesso sono uno stupido plongeur ma un giorno farò strada e sarà questa la mia forza: essere partito da qui, come Gualtiero Marchesi!”, tuonò, picchiando tre volte la mano sull’acciaio del lavandino.
“Tanti auguri, Gualtiero”, dissi lanciandogli lo straccio. Mi appoggiai col sedere al banco ed incrociai le braccia sulla pancia.
“Perché mi vuoi smontare?”, chiese, aprendo il portello della cella freezer.
“Na, na, na, Gualtiero, quegli astici vanno nella cella del pesce, non lì. Domani a pranzo ci servono. Sono per i tagliolini del direttore e consorte. E, comunque, io non ti voglio smontare: devi fare ciò che ti senti. Quanti anni hai, Stefano?”.
“Diciannove”
“Bene, sei abbastanza grande da porti davanti ad un bivio. Scegli: o fai l’uomo o fai il cuoco.”
“Non capisco…”
“Le due cose non vanno d’accordo”
“Perché?”
“Mettiamo il caso che diventerai un bravo cuoco, ok? Vuoi passare un bel week end con tua moglie/compagna? Scordatelo. Vuoi passare il Natale con la famiglia? Il capodanno? L’Epifania? La Pasqua? Il 25 aprile? Il primo maggio? (perché noi non siamo considerati lavoratori, non lo sapevi?) Scordateli. Vuoi andare a vedere la partita di tuo figlio il sabato pomeriggio? Scordati pure quello. Dimenticati di vivere. Tieni a mente, Ste: uomo o cuoco”.
Per un minuto circa ci fu silenzio. Lo guardai, vidi il suo sguardo perso sul forno lì accanto ed era come se tutto l’arredamento in acciaio che ci circondava si stesse liquefacendo ai nostri piedi.
“Perché tu, allora, fai lo chef entremetier?”, chiese, senza distogliere lo sguardo.
“Be’, io sono qua di passaggio. Come uno spirito sulla Terra con delle questioni in sospeso. Per ora mi ci pago i vizi, tutto qui”
“E che vuoi fare da grande?”
“Lo scrittore”
“Lo scrittore? Perché, tu scrivi?”
“Devo”
“Cosa scrivi?”
“Poesie, racconti. Dipende dalla necessità, insomma”
“E perché scrivi?
“Perché tu respiri?”, domandai.
Mi avvicinai al rubinetto centrale del gas e lo spensi.
“Senti”, dissi, “prima che ti metta a lavare tutti quei tegami: monda e trita o’ pretosin’ perché non ce n’è più e domani ci serve”
“Monda e trita cosa?!”
“Il prezzemolo!”
“Merda, lo devo fare adesso?”
“Subito”
“Domani no?”
“A che ora sei arrivato stamattina in cucina?”
“Alle 8.00”
“Che ore sono adesso?”
“Le 22.05”
“Scegli, Ste: uomo o cuoco. Mo ti saluto”

Appena entrai in camera mia mi levai subito il cappello, la giacca e i calzoni sale&pepe come fossero una corazza. Mi venne in mente l’astice, il coltello che penetrava e pensai: così è la vita. Andai in bagno, infilai il tappo nello scolo della vasca e lasciai che si riempisse. Scavalcai il bordo e mi ci sedetti, coi piedi immersi. Non appena l’acqua mi arrivò sotto le ginocchia, spensi, e guardai il mio faccione deformarsi in mille cerchi.
Quella giornata era stata uguale a mille altre. Pensai che dopo, almeno, avrei scritto. Che sarei rimasto vivo fino a notte fonda, a pigiare dei tasti con le mani che sembrano i tentacoli di un polpo tra gli scogli di un oceano di pensieri. Cercando di cacciare fuori qualcosa di disagiato, qualcosa di interessante, soprattutto per me stesso. Lo facevo per sfogarmi. Però, a dire il vero, mi eccitava all’inverosimile la verosimile idea che un giorno, i miei sfoghi, potessero essere roba interessante per certa gente che restava sveglia a leggere quello che a me faceva perdere il sonno.
Sul vetro della bocca di lupo sopra la mia testa iniziò a picchiettare la pioggia.
Lo conoscevo bene, quel rumore.

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27 Commenti

          • scusate, non volevo essere così impreciso. Comunque prossimamente, come ha detto Forlani, faremo un reading all’Ikea. Faccio preparare delle polpettine in più?

          • allora dico di farle contate,così risparmiamo.
            L’unico rammarico è che tutto il sentimento messo nel silenzio di questo racconto, tutta la violenza psicologica che ho subito dai “Fuhrer” della cucina negli anni, siano serviti solo alla puntualizzazione di cosa sia una bocca di lupo. E sapete che vi dico?: la bocca di lupo la trasformo in un “in bocca al lupo” (crepi) per la mia carriera di scrittore. :-)
            un abbraccio a tutti
            Ivan

        • Abbaino: L’abbaino (sostantivo maschile, dal genovese abaén, “abatino” e “abbadino”) è una struttura architettonica costituita da una finestra, posta in verticale, aperta sui tetti normali a falde inclinate per dare luce ed aria alle soffitte (in molti casi anche per permettere l’uscita sul tetto) e da piccole falde che raccordano la finestra con la falda del tetto principale.

          • Lucernario: finestrone orizzontale, munito di vetrate fisse o anche apribili, che serve a dare luce e aria agli ambienti sottostanti

          • Cavedio: Nell’architettura moderna, il cavedio, denominato talvolta chiostrina, vanella o pozzo di luce, indica il cortile di piccole o piccolissime dimensioni che serve prevalentemente a fornire aria e luce a locali secondari (bagni, gabinetti, disimpegni, servizi, ecc.).

          • Ah!, che brutti scherzi gioca la noia…
            Ares, se vuoi puoi venire a darmi una mano in cucina, in questi giorni. Ci facciamo un bel 13 ore di lavoro a una temperatura di 60°. Sta’ sicuro/a che la giornata, in qualche modo, passa.

          • Non ti preoccupare, è il mio giorno di riposo.
            L’unica cosa che c’è di bruciato, qui, è il mio fegato per le troppe birre. Mo esco a bere. Il prossimo racconto te lo dedico.
            Un bacio, dolcezza.
            Cheers

  1. ragazzi tutti invitati alla lettura che farò del testo di Ivan alla Ikea o a Bricorama, aspettiamo risposte. effeffe

  2. Non molto tempo fa le polpette dell’ IKEA sono state ritirate dal mercato perché contenevano carne di cavallo; e sono state ritirate dal mercato francese, in via precauzionale, perché hanno provocato dei malori:
    … hemm.. in bocca al lupo.

  3. Veramente..
    la vita del cuoco dev’essere una vita di merda, non ci sono sabati, domeniche, famiglia, figli… . Il marito della mia “capa”, la chiamo così il mio capufficio, sarà e mesi che non scopa con il marito, che è andato a lavorare a Montecarlo per seguire una sorta di vocazione del fornello, lei in compenso nutre i figli a panatine.. e quando i figli vedono un uomo gli si accozzano come se fosse il loro papà… poveri cuccioli. In compenso, a Montecarlo, guadagna tipo 4.000€, lui.
    Bello questo testo, ironico, divertente.

    • Ares, è una vita di merda. Fidati. Non guadagno quella cifra, purtroppo: meno della metà. Ma per fortuna, come hai letto, la scrittura mi salva il culo (non economicamente, ovviamente).
      Sono contento che ti piaccia, ti ringrazio col cuore, davvero. Non capisco, però, perché ti sia accanito su quella stupidata, che con la poesia del racconto non c’entra niente, è fuori luogo. Dai, vecchio, ci sentiamo alla prossima. Fai il bravo, eh!
      Un abbraccio.
      Ivan

      • Hemm.. non mi sarei soffermato sulla “bocca di Lupo” se tu non avessi risposto con un’imprecisione alla domanda di XXXXX, anzi, fino a quel momento ho pensato che la “bocca di lupo” fosse la scelta più giusta, l’oggetto giusto, l’immagine giusta. La tua risposta imprecisa invece ha generato in me una piccola delusione, ha svelato un tuo atteggiamento disinvolto ed istintivo nei confronti della parola; ma pensandoci bene non c’è niente di male, la cosa può essere anche una virtù, e una fortuna: non sapere di aver usato l’immagine giusta al posto giusto, ma averla usata comunque.

        Per me in generale le parole contano, perché in me anche la singola parola può generare immaginari talvolta indomabili, e la parola giusta posta nel posto giusto mi tiene ancorato al testo e all’autore. Io quando leggo un libro ci metto molto tempo proprio perché sono uno di quei lettori che spesso superano il testo per farsi viaggi planetari, e non, autonomi; un autore che sa usare(consapevolmente o meno) le parole giuste al momento giusto, non può che essere uno dei miei autori preferibili.

        Sia chiaro: a me è piaciuto l’uso dell’oggetto “bocca di lupo”, sarà un dettaglio nell’economia del testo ma ha dato al protagonista una natura underground(da alloggio senza abitabilità), che si è riallacciata all’incipit un po’ noir : mi pareva che fosse l’oggetto giusto e l’immagine giusta da usare alla fine; e soprattutto mi ha fatto dire “bè che bravo, avrebbe potuto usare la parola “abbaino” o “lucernario”, che sono più di natura bohémien tra il romantico e il falso, e invece ha usato “bocca di lupo” ” .

        p.s. non rileggo spero che si capisca cosa voglio dire… io non sono uno scrittore ;o))))

        • xxxxx è Alberto Aldrovandi, al quale chiedo scusa per avergli conferito l’anonimato; PERDOOOOONO !!!!

        • appunto per quello ho risposto dicendo: “chiamala come vuoi”, sotto intendendo: “Che importanza ha?”

  4. Ivan, Ares è lucignolo ecco perché, tu fatti promettere che mangerà le tue polpette: Le polpette di cavallo sono buone e originali, una variante sfiziosa delle classiche polpette di carne di vitello. Queste polpette sono tipiche della cucina siciliana ed in particolare di quella catanese, le potete servire come secondo con olio e succo di limone, oppure dentro un panino, in questo caso potete considerarle un piatto unico. Queste polpette si possono fare anche con il sugo oppure per condire la pasta, aggiungendole ad una ottima passata di pomodoro.
    Ares sei avvistato o ti mangi sta purpettin ou te jet de l’abbaìn
    effeffe

  5. Si si, le polpette mi piacciono, anche quelle di cavallo quelle siciliane in particolare, che conosco bene, sono uno spettacolo; però non tutti tollerano il fatto di mangiare carne di cavallo: alcuni considerano il cavallo un animale da compagnia.. è come per noi mangiare carne di cane o di gatto…è per quello che hanno bloccato tutto, l’importante è saperlo.

    .. poi veramente dietro al proliferare della carne di cavallo nei ripieni industriali, c’era il sospetto che la carne fosse dei cavalli da trotto o da corsa e quindi piena di anabolizzanti provenienti dai paesi dell’est, a basso costo.

  6. La prova del cuoco? Pensavo di trovare la classica persona che si esalta con la cucina che oggi va tanto di moda. Invece mi hai spiazzato perché hai giocato controcorrente. La vita del cuoco non è sicuramente il meglio. Se avessi un marito cuoco non so se riuscirei a resistere alla sua non presenza. Beh, al di là di questo, ora sono curiosa di sapere come continua la storia. Ma dove lo trovo il seguito?

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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