La foresta che cresce

via Pascarella, Quarto Oggiaro
via Pascarella, Quarto Oggiaro

di Gianni Biondillo

Pasquale l’hanno ucciso a neppure cento metri da casa di mia madre. Sarò passato di lì migliaia di volte. Che dico, milioni. Via Pascarella e via Trilussa sono come il cardo e il decumano della mia memoria infantile. Sono cresciuto in via Lopez, nocciolo duro di un quartiere difficile. Nel mio cortile c’erano (e tuttora ci sono) detenuti agli arresti domiciliari, appartamenti occupati abusivamente, alloggi sovraffollati e diroccati. Quarto Oggiaro è ancora casa mia, anche se ora vivo da un’altra parte. So come si sentono gli abitanti del quartiere in questi giorni. Scoraggiati, delusi, frustrati. Anni e anni di lavoro per le strade del quartiere, dal basso, per sfatare un luogo comune, per lavare l’onta di un pregiudizio, buttati via nel giro di pochi giorni. Decine di giornalisti, televisioni, alla ricerca di una notizia. “Ma io con quelli non ci parlo” mi dicono gli amici, “vengono qui solo quando c’è il morto.” Si sa, fa più notizia un albero che cade che una foresta che cresce.

“Ma ti ricordi com’era il quartiere quando eravamo bambini?” mi chiede Marco. Certo che me lo ricordo. Ricordo la banda di via Lopez, ragazzini che per gioco gettavano dal tetto dei palazzoni i gattini raccolti sugli alberi, o legavano alle rotaie del treno i cani, oppure, crescendo, li rapivano, per chiedere il riscatto ai proprietari. Adolescenti col destino segnato, scolpito nella colpa. Ricordo il pestaggio del giovane vicepreside della scuola media, a fine degli anni Settanta, colpevole di aver sgridato uno della banda. Picchiato mentre apriva la portiera della sua 128 coupé rosa. A terra, lui e le zampe d’elefante dei suoi jeans. Ognuno di noi potrebbe raccontare una storia così. Quarto era un quartiere difficile, dove anche solo un gesto di generosità poteva essere pagato caro. “Una volta alle medie aiutai Mario, un ragazzo di prima, che veniva preso in giro, il giorno dopo mi aspettarono fuori dalla scuola e mi pestarono fino a farmi sanguinare”, ricorda Marco, che vive ancora lì, in via Graf. Mario crescendo frequentò i “giri giusti”. “Ogni tanto lo incrociavo sul suo Mercedes, alla fermata dell’autobus, quando tornavo dal liceo” – quel liceo che si frequentava vergognandoci di dire dove vivevamo – “E mi caricava per darmi un passaggio fino a casa.” Perché succedeva anche questo a Quarto. Curiosi incroci di vite, di esperienze così differenti. Aderenze e distanze, spesso incolmabili.

Dalla finestra di casa mia vedevo il cortile dove abitavano i Tatone. Ma non si creda che ne avessimo un timore reverenziale. Si viveva nello stesso posto come fossimo in realtà spaziotemporali diversissime. Noi avevamo la sala musicale, la biblioteca, l’oratorio. Ognuno faceva le sue scelte, viveva la sua vita, dandoci le spalle. Lo sapevamo, ovvio. Della droga, della delinquenza. Lo sapevano i nostri genitori, che ci venivano a prendere per le orecchie, avvertiti dal controllo sociale dei cortili, per riportarci a calci a casa. “Non frequentare quella gente. Non combinerai mai nulla nella vita”, mi dicevano i miei. Ognuno a casa sua. Evitare di infettarci, di vivere la nostra condizione di sottoproletari come una scusa per lasciarci affascinare dal male.

Guardo un video del Corriere fatto sul luogo del delitto, dove alcuni amici della vittima hanno lasciato dei fiori, sullo sfondo riconosco mia madre. “Stavo tornando dal supermarket” mi dice. Poi mi racconta una storia. Tutti hanno una storia da raccontare a Quarto Oggiaro. “Una volta, mentre facevo la fila col carrello della spesa vedo una signora tutta ingioiellata davanti a me. Le chiedo se non ha paura ad andare in giro così, ma lei mi risponde sprezzante di non preoccuparmi.” Santa donna mia madre, che neppure aveva riconosciuto “Nonna Eroina” mentre sfoggiava come la regina di Saba i suoi ori a ostentazione del controllo  della sua famiglia sul territorio. Ma niente è eterno, pure a Quarto Oggiaro. Pasquale era già sfuggito ad un attentato quasi vent’anni fa. A fare questa vita perdi sempre. i Tatone, camorristi autoctoni, hanno fatto il loro tempo, non sappiamo chi li sostituirà. Quello che so è che il quartiere, di fronte al pregiudizio e all’abbandono da parte dell’intera cittadinanza, ha sempre saputo produrre da solo i suoi anticorpi. Che erano il Circolo Culturale Perini o l’associazione Quartoggiaro Vivibile, che è lo Spazio Baluardo, e tutta quella infinita serie di associazioni sorte dal territorio per il territorio. Così tante che si sono associate tutte assieme. Vill@perta si chiamano. Questa è la Quarto Oggiaro che non viene raccontata mai, quella dalla quale partire per davvero per restituire dignità ai loro abitati, stufi di essere inchiodati dentro ad un luogo comune, incorniciati in un pregiudizio duro a morire. Tutti mi chiedono: com’è oggi il quartiere, hanno paura ad uscire di casa?

Hanno paura ad essere abbandonati quando il chiasso mediatico finirà, questa è la verità. Quando pubblicai il mio primo romanzo neppure esisteva un commissariato a Quarto Oggiaro. L’hanno inaugurato poco dopo, quasi che la realtà si dovesse adeguare alla fantasia di uno scrittoruncolo. Molto lavoro hanno fatto e fanno le forze dell’ordine, ma non è militarizzando il territorio che si risolve la voglia di rivalsa del quartiere. Quanti di voi che mi state leggendo c’è mai venuto qui, mi chiedo. Non è forse anche questa Milano? Qui, ad un tiro di schioppo dall’Expo? Non meriterebbe di essere vissuto dall’intera cittadinanza, conosciuto di persona, attraversato a piedi, questo quartiere pieno di storie di emancipazione e di riscatto, e non solo di criminalità troppo spesso romanticamente romanzata?

Quello che sta accadendo – una lotta fra faide per il controllo dello spaccio? – ad oggi non c’è dato saperlo. Lasciamo agli inquirenti le indagini. A Quarto dobbiamo andarci tutti. Ma non oggi o fra una settimana a fare i turisti dell’orrore. Dobbiamo andarci, numerosi, il mese prossimo e quello dopo ancora. Non per l’ennesimo albero criminale che crolla, ma per la foresta di legalità che cresce. Rigogliosa.

(pubblicato ieri su Il Corriere della Sera)

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7 Commenti

  1. percorsi e tracce. rincorse narrative che delimitano tragedie urbane e mai circoscrivibili. a volte, alcuni osservatori dei riti e dei percorsi cittadini- come di ogni mondo ricostruito ma mai basato sulle regole di vita umane utili a restare umani- lanciano scie che denunciano in ogni modo cose immonde. di un mondo complesso. questo. grazie gianni.

  2. Io sono quarto oggiarese di adozione. Vivo a QA da undici anni…sono nata a Lecco. QA è un posto meraviglioso…solo questo posso dire…sarà che ho vissuto solo la parte bella e onesta di QA che però è la gran parte…non vedo come si possa giudicare una grande e rigogliosa foresta con tre foglie secche..e il blitz di ieri notte…vergognoso…davvero vergognoso e inutile..

  3. Io ci ho fatto le superiori a Quarto Oggiaro, ho ancora li degli amici, ex compagni di classe, che da li non si sono mai spostati, non li cambierei per nessun altro al mondo. Ragazzi dai principi solidi, con una memoria impietosa sulla mia storia di studente incazzato.

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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