La (difficile) arte della manutenzione della bicicletta

La_mia_bicicletta

o delle aporie della conservazione

di Alberto Giorgio Cassani

Avevo bisogno di una bicicletta. Ma, volendo risparmiare, avevo deciso di comprarmene un’usata. Il mio amico Giancarlo, un giorno, mi telefona dicendomi che ne ha vista una di fronte a casa sua che sembra fatta apposta per me: è “vecchia”, ancora in buone condizioni, leggera di telaio; è però senza cambio. Ma a Ravenna, dove io abito, non ci sono troppe asperità da superare. Felice dell’acquisto, comincio a girare finalmente per la città col mio nuovo mezzo di trasporto, se non dopo aver comprato un’enorme catena americana che, da sola, costa più della bicicletta; ma mi sono già affezionato a quest’ultima e non voglio che me la rubino, come già accaduto con quella che usavo in precedenza.

Passato qualche mese, mi accorgo che, nel cerchione della ruota posteriore, un paio di raggi si sono rotti e la ruota non è più perfettamente calibrata. Allora vado dal mio ciclista di fiducia e li faccio cambiare. Certo, ora quei nuovi raggi stridono, nella loro brillantezza, rispetto ai vecchi arrugginiti. Io, che sono un sostenitore convinto della conservazione, cioè del mantenimento della materialità dell’opera, non posso essere felice di questo processo di sostituzione: ma dove trovare raggi vecchi e come pensare che possano durare? Mi consolo pensando che il sacrificio di pochi raggi originali mi permette di salvare il cerchione.

Passano altri mesi e il numero dei raggi si rompe con tale frequenza da dover ricorrere sempre più spesso al mio meccanico di fiducia, il quale, con mio grande disappunto, mi propone di sostituire l’intero cerchione. Io, naturalmente, inorridito, dico di no e preferisco spendere un euro a raggio. Col tempo, però, anche i raggi nuovi si rompono e mi trovo costretto, con rammarico, a dover accettare il rimpiazzo dell’intero cerchione (a forza di sostituire i raggi rotti, avevo speso, ormai, una cifra pari a due cerchioni nuovi). Guardo la mia bicicletta: il nuovo cerchione brilla del suo “valore di novità”: un pugno nell’occhio nel contesto dell’intera bicicletta. Devo solo sperare che il tempo (ma quanto ci vorrà?) lasci la sua patina e renda meno stridente il contrasto col cerchione della ruota anteriore.

Nel frattempo erano accaduti altri due fatti incresciosi: i pedali della bicicletta non stavano più nel perno e mi scappavano in continuazione, creando situazioni di vero pericolo per me e per gli altri. Per qualche tempo ho anche pedalato senza un pedale – sempre per evitare la sostituzione dell’autentico vecchio pedale, ma poi, visto che rischiavo la pelle, ho dovuto procedere all’acquisto di due nuovi pedali e alla sostituzione anche dei due perni. Altra dolorosa perdita d’autenticità.

Inoltre, un bel giorno – avevo parcheggiato la mia bicicletta in Piazza del Popolo nelle rastrelliere davanti al Comune –, un simpatico studente di una gita scolastica mi aveva per scherzo rubato la parte in plastica della sella originale della mia bicicletta – che, quasi subito dopo l’acquisto, aveva perduto i due fermi che lo univano alla struttura sottostante – lasciando quindi in vista lo scheletro in ferro di quest’ultima. Devo dire che, sempre per spirito di conservazione, non avevo mai pensato di comprare una nuova sella, ma ora non potevo certo più farne a meno (per qualche giorno mi ero seduto sulla struttura in ferro, ma la scomodità della cosa era più che evidente). La nuova sella, in similpelle, ma modello “vecchio”, non mi poteva certo soddisfare: avevo perso l’autenticità della sella originale e l’avevo addirittura sostituita con una nuova imitante quelle di una volta. Una doppia inautenticità. L’ultima disgrazia è stata il dover cambiare il vecchio fanale – definito addirittura “marcio” dall’aiutante del mio ciclista di fiducia. Ora lo guardo: è la solita imitazione, in plastica “cromata”, di un vecchio modello. Luccica in modo sgradevolissimo, e temo che su di esso la patina del tempo non potrà far nulla, se non mettere penosamente in luce, col tempo, la plastica che c’è sotto (che già fa capolino a causa di un graffio).

Le tristi vicende della mia bicicletta fanno emergere le aporie che s’incontrano quando si pretende di conservare qualcosa che deve servire ad un uso: il “valore di antichità” non può nulla di fronte al “valore di novità”. Questo è molto triste, ma ci deve far riflettere.

Senza dire che, con quello che ho speso per tutti gl’inautentici pezzi di ricambio, mi sarei potuto comprare un’autentica bicicletta nuova fiammante.

 

Post scriptum 1

L’amico Mario Bencivenni, cui ho fatto leggere quest’appunto, mi suggerisce giustamente che avrei potuto cercare su E-bay i pezzi “originali” via via accidentati. Questo, però, secondo me, avrebbe creato ulteriori aporie: la materia originale perduta può sostituirsi con altra materia proveniente da altri “monumenti” dislocati in altri luoghi? Un po’, mutatis mutandis, quello che succede nei musei con le opere d’arte e su cui scrisse pagine veementi Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy. 1

 

Post scriptum 2

Un altro amico, Lucio Fontana, cui ho sempre inviato questo mio testo, mi fa dono di questo breve, per me illuminante, commento:

«I (veri) ladri di biciclette (è facile il gioco: la realtà non è come il cinema, nella realtà le biciclette si rubano davvero) oggi rubano più biciclette, le smontano e le ricompongono utilizzando parti provenienti da differenti biciclette. In questo modo il derubato non può riconoscere la propria bicicletta rubata. Il risultato è un pastiche tra parti diverse, nuove e vecchie, originali e non, originali per epoca o per marca ma di epoca di costruzione o d’uso diversi, ecc. ecc.

La tua bicicletta mi ha ricordato questo processo. Stesso risultato partendo da due pensieri e azioni diversi. Di sicuro i ladri non sono dei conservatori. I conservatori sono dei ladri?».

 

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NOTE
  1. In Considérations morales sur la destination des ouvrages de l’art, ou de l’Influence de leur emploi sur le génie et le goût de ceux qui les produisent ou qui les jugent, et sur le sentiment de ceux qui en jouissent et en reçoivent les impressions, Paris, impr. de Crapelet, 1815, l’autore si scaglia contro chi sottrae opere d’arte dal contesto per cui sono state pensate «uccidendole» in Collezioni, Gabinetti, Musei. Il bersaglio è, con tutta probabilità, Auguste Lenoir e il suo Musée des monuments français, del 1795, collocato nel Convento des Petits Augustins a Parigi.

3 Commenti

  1. La bicicletta parla di altra epoca -e forse il desiderio di ritrovare la felicità prima spinge a ricercare a conservare il modello originale.

    Parla della nostra infanzia.

    Manutenzione è una parola che ha trovato una bellezza inaspettata per me. Era una parola che non usavo in francese e in italiano.
    Pochi giorni fa Roberto Saviano ha creato un’invenzione verbale bellissima: “la manutenzione dell’anima”
    Forse significava questa nostalgia della felicità prima dell’infanzia.

    Altra idea: ho sempre pensato che la bicicletta è una rara possibilità di ritrovare il piacere del bambino. La civiltà del ciclista si oppone alla rabbia dell’automobilista.

  2. Qualche volta l’amore per le cose vissute sconfina nel buffo o nella spilorceria: la signora che porta a riparare una vecchia bici tenuta tutto l’inverno all’aperto ad arrugginire, quelle bici che 12 anni fa costavano da due soldi e oggi continuano a non valere niente, dadi che si spanano, cavetti incrostati nelle guaine, copertoni “ancora buonissimi” tutti crepe rinsecchite. O il mio collega che in cantina ha recuperato una bella bici da città presa dal padre 20 anni fa, ed è “bella così come prima” senza cambiare assolutamente nulla, nemmeno quello che in 20 anni si secca e si incrosta. Mah, misteri. Come il cd NO OIL o i fiori di plastica sul cestino davanti.

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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