La piccola Wunderkammer di Carlo Tosetti

di Daniele Ventre

Nel paesaggio variegato della produzione poetica attuale si fa notare, dalla sua posizione defilata, l’anomalia formale della raccolta Wunderkammer di Carlo Tosetti, uscita (terza dopo Le stelle intorno ad Halley, 2000, e Mus Norvegicus, 2004) nella scorsa primavera, per i tipi di Pietre Vive Editore. Di anomalia si tratta, o meglio di collazione e collezione di anomalie, sin dal titolo, che fra gli incroci e le inopinate e inopinabili contiguità della biblioteca di Babele, riecheggia, forse per espressa volontà di antifrasi o magari per assimilazione-opposizione semi-conscia, il pur diversissimo Wunderkammer, ovvero come ho imparato a leggere (in Prosa in prosa, Le Lettere, 2009) di Zaffarano, e in modo certo più trasparente e immediato richiama le Wunderkammern di cui è costellato il Rinascimento, regie camere scrigno destinate a contenere oggetti paradossali o rari, e a conservarli secondo logiche e criteri che riflettevano gli interessi scientifici o artistici, le visioni eccentriche e le nevrosi dei loro proprietari e ideatori.

L’immagine della Wunderkammer come ricettacolo di esotismi prefigura, per il fruitore dell’opera, l’attesa di un oggetto letterario connotato da eterogeneità formale, ricerca della polifonia, trobar clus, paradossalità: un’attesa che non viene delusa; una paradossalità che spiega ogni aspetto del libro, nel suo sostanziale punto di forza, la riscoperta di uno stile ricco e denso, legato alla riscoperta di immagini e connotati poetici tradizionali sottratti al pericolo di un certo lirismo degradato, come nelle sue sbavature, gli occasionali eccessi in cui tale riscoperta dà luogo a tratti di iper-tradizionalismo, con il rischio marginale di rendere talora greve all’orecchio il dettato poetico. Tuttavia anche queste sbavature trovano una specifica ragion d’essere nell’ottica della poetica volutamente non domesticabile e non addomesticata che l’autore con coerenza persegue, all’interno di un’opera che alterna in modo calcolato la Betrachtung in prosa e la maniera breve di un verseggiare trattenuto in equilibrio al confine fra regolarità isosillabica e versoliberismo.

Ne risulta l’impasto di una lingua strana, calata su un mondo decostruito e frammentato in stati, e strati, di coscienza: un mondo di cui bene si può dire che sia la costruzione fittizia e virtuale di entità monadiche, reciprocamente irrelate e in sé totalmente aliene rispetto alla loro virtuale illusorietà fenomenica (si veda la prosa introduttiva: Il collezionista). Tale lingua strana, talora iper-retorica, calibra e modula una sorta di falsetto estetico-esistenziale che è quanto di più remoto dal degré zéro e dall’equilibrio del monolinguismo lirico nelle sue varie forme. Il peculiare effetto straniante che ne deriva, isola così nello spazio bianco e fra i capoversi i momenti e gli snapshots prosimetrici come congelandoin formaldeide le forme e le nature: è appunto questo l’effetto da camera delle meraviglie, che cristallizza gli esemplari collezionati, siano essi artificialia o naturalia, che provengano dal mito o dall’esperienza comune, in quell’ottica fra il deforme e il grazioso che i paradossi delle Wunderkammern da sempre ispirano all’occhio del visitatore svagato.

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Testi da Wunderkammer di Carlo Tosetti

La provinciale

Rotola un riccio sulla provinciale,
balugina sfatta la foglia
macerata nel guazzo
e quest’anno i castagni
li si mormora sterili.
L’umido s’agglutina
dolcemente alle ossa,
il fiato tuo defluisce
in un rivolo fino alla falda
e berremo noi l’inverno,
tutto a primavera.

* * *

Oggetti

Gli ammennicoli caduchi
costruiti dall’uomo,
anche la sedia Brno
e la maestosa Bagan,
se abbandonati s’acquattano,
invincibili e cheti
come i giochi di latta,
desistono plastici
da ogni intenzione,
per divenire vestigi.

* * *

Un complicato quotidiano

Il Talitrus saltator, piccolo crostaceo appartenente alla famiglia Talitridae, con dotta sufficienza chiamato Pulce di mare, è ghiotto di alghe putride, depositate dalle onde sulla battigia; delle immagini lo immortalano appoggiato su pesci spiaggiati. Non disdegna – in mancanza d’altro – le proteine animali.
Ciò è il risultato di una sua speciale intelligenza: ha compreso che nell’ambiente vi sono alimenti diversi (e più gustosi) e questo al fine della sopravvivenza, ma il buon Dio lo creò in quel periodo apocrifo, definito «minerale», quello in cui progettava esseri a metabolismi imperniati intorno alle rocce, come il Dattero di mare, e lo ideò famelico di granelli di sabbia e frammenti degli stessi, ai nostri occhi impercettibili.
Accadde poi, nelle rotolanti logiche del mondo, che il crostaceo, liberato dalle briglie divine, s’evolse a modo suo, indulgendo nei confronti di alghe e piante acquatiche, purché già avviate verso la disgregazione: questo per ovviare alla carenza di specifici enzimi digestivi.
Il Talitrus, non solo spicca apprezzabili balzi (lo scoprii, infatti, notando un movimento repentino, mentre passavo una mano sulla sabbia), ma è capace di penetrare nella sabbia fino a grande profondità (con le dovute proporzioni) e guadagnare il mare spuntando dal fondale, assumendo una buffa conformazione (le antenne e le zampette all’indietro, adese al corpo, ricordano le pinne ritraibili dei tonni), che gli consente d’essere un agilissimo nuotatore, non fosse per le modeste dimensioni.
Ahilui (me ne dolgo), le sue giornate sono funestate dagli antagonisti più disparati e crudeli. Vi sono predatori che lo cacciano quando s’aggira sulla spiaggia, più altri che in mare compiono stragi efferate.
Capodogli e fin megattere, difatti, inghiottono migliaia di Talitrus, quando questi, esausti, vengono trascinati al largo dalle correnti. Anche branzini e orate ne vanno ghiotti, ma, per ovvie ragioni, il loro consumo di Talitrus non è paragonabile a quello dei grandi cetacei.
Sulla spiaggia, gabbiani ed altri uccelli marini li becchettano in continuazione, mentre i Talitrus banchettano sulle alghe. Non va dimenticato, infine, l’impatto antropico: i bagnanti li uccidono, ignorandone anche l’esistenza, soltanto camminando sulla sabbia o sdraiandosi, oppure giocando al volano. Gli innocenti bambini, che schiamazzano al mare, non possono sapere: il loro candido svago è una piccola ecatombe.
Data la mia benevolenza e attenzione nei confronti della natura, varie volte ho assistito ad una bizzarra e sconcertante fine del Talitrus: spappolato fra le pagine di un libro, chiuso rapidamente, senza notare la presenza dell’amorevole crostaceo.
Debbo chiarire, infine: il Talitrus saltator esiste veramente, ed è detto Pulce di mare, ma gran parte di quanto scritto è inventato di sana pianta.
A mio modesto avviso il Talitrus saltator merita d’essere celebrato come un impavido condottiero, anche colorando le sue gesta con quella sfumatura di bugia, che lo rivesta ed investa del ruolo che merita: un crostaceo tenace come la ginestra, questa già celebrata da una nota lirica.
Tale sentimento nutro per tutto ciò che chiamiamo, genericamente, natura.

* * *

Espada

Il nero pesce
spada di Madeira,
sulle lugubri cataste
deposto al Lavradores,
strappato all’abisso
delle vallate oscure
atlantiche s’immola,
da un talento blasfemo
cotto alla banana;
il Demiurgo che fuse
e separò con acribia
gli enti li dispose
agli estremi d’un monte.

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trad. di Daniele Ventre
Figlio di Leto, signore, rampollo di Zeus, di te mai,/sia che cominci o finisca, io mi dimenticherò,/ma di continuo, al principio e da ultimo e anche nel mezzo/ti canterò: però ascolta, offrimi prosperità.

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daniele ventre
daniele ventre
Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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