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10 marzo, Ancona – Assemblea nazionale unitaria di movimento

Sono passati pochi giorni da quando la mano armata di un neo-fascista ha sparato all’impazzata nelle vie di una nostra città alla ricerca delle sue vittime “di razza”. Sono passati pochi giorni da quando migliaia di persone hanno deciso che ad ogni costo il silenzio e le ritualità andavano frantumati, che il clima di complicità con quel gesto infame e l’arroganza di un potere convinto di poter imporre i suoi diktat andavano rovesciati.

E’ passato poco tempo. Eppure nel volgere di pochi giorni è nata una storia, una grande storia, che sembra impossibile possa essere contenuta nel suo breve involucro temporale. Una storia che ha restituito ai movimenti una capacità di protagonismo fino a qualche settimana fa inimmaginabile, che ha reso le piazze di tante città impraticabili per i neofascisti, che ha dissestato la già miserabile campagna elettorale, che ha trasformato un intero contesto culturale e comunicativo in cui si era ad arte costruita la percezione dell’assenza di opzioni, della cultura razzista e della propaganda xenofoba come sfondo dominante, della sicurezza come negazione delle libertà.

Qualcuno ha detto che questa storia è magica. Ma non c’è niente di magico o di trascendentale, non è una fortunata ed occasionale combinazione di elementi. Molto più semplicemente la realtà materiale, le sue contraddizioni ed il bisogno sempre più pressante di reagire, di non subire oltre, ha trovato una credibile possibilità di espressione, costruita sull’affermazione radicale dell’indipendenza dei movimenti, sull’insubordinazione, anziché sulla mediazione, verso tutti i tentativi di scipparne la rappresentanza, di limitarne la presa di parola o di farne terreno di campagna elettorale. Ciò che ci appare straordinario è, in realtà, la potenza naturale che i movimenti esprimono quando sono reali e protagonisti dei propri percorsi. Un lungo periodo di difficoltà, di divisioni e sottrazioni, di riduzione drastica degli spazi di agibilità, di disarticolazione dei soggetti sociali di riferimento, ha attenuato la consapevolezza della reale intensità  di tale potenza, nella quale si radica l’unica realistica prospettiva di cambiamento generale. Ma le mobilitazioni di questi giorni, la loro incisività e la loro forza incredibilmente ricompositiva ci hanno bruscamente rimesso difronte a quella potenza, alla sua importanza, al desiderio ed alla speranza di tornare a viverla, di vederla nuovamente espandersi, travalicare, debordare. Tutte e tutti siamo tornati a saggiare la materia viva della modificazione del reale, puntuale, immediata, di cui i movimenti sono capaci.

Sono stati sufficienti pochi giorni per ridare significato e concretezza alla parola “antifascismo”: una declinazione nuova che attualizza l’antifascismo storico ed immette una produzione di senso che tiene insieme il rifiuto di ogni discriminazione etnica o razziale, la lotta contro il sessismo e la violenza del patriarcato, la battaglia per le libertà nel tempo della fine dello stato di diritto. Tutte direttrici di contenuto che le migliaia di persone che si sono mobilitate hanno scelto di porre all’ordine del giorno e che, a loro volta, si radicano nella problematica generale del sistema economico e politico in cui razzismo, sessismo, neo-fascismo, negazione delle libertà e della giustizia sociale proliferano.

Mentre i 30.000 sfilavano per le vie di Macerata, più di una volta ci siamo imbattuti in persone che parlavano di “una boccata d’aria”, alcuni azzardavano che stesse “cambiando l’aria”. Con le grandi mobilitazioni antifasciste e antirazziste dei giorni successivi abbiamo letto che era “l’aria di Macerata” a soffiare nelle strade e nelle piazze. Ma l’aria, lo sappiamo, quando inizia a muoversi è strana, cambia di direzione e senso, si muove attraversando luoghi e acquisisce forma e forza dei movimenti che incontra. Più strade percorre più diventa vento collettivo e si esprime in forme diverse a seconda delle barriere che urta e della morfologia che incontra.

Così quel vento partito dalla provincia non è più uguale a come è cominciato ma è già sostanza di tutte e tutti, andando ben oltre la grande giornata del 10 febbraio.

I venti nascono dalla differenza di pressione, nascono dal conflitto. E in questi anni nonostante una feroce repressione, nonostante un’informazione mainstream sempre più veicolo del decadimento culturale e politico, nonostante il clima mefitico che noi tutti respiriamo nelle nostre città, nonostante le mille differenze che i movimenti hanno sedimentato al loro interno negli anni, nonostante tutto questo e molto altro c’è stato sempre chi ha continuato a metterci cuore, polmoni e fiato.

Dalle montagne della Valsusa fino alle spiagge del Salento, passando per piccoli e grandi conflitti il vento ha continuato a soffiare, impercettibile, quasi un sospiro, anche nei momenti più bui della nostra storia. Ora improvvisamente sembra riemersa una capacità di trasformazione della realtà che si è determinata direttamente come evento e come processo: la diffusione molecolare della mobilitazione, la costruzione collettiva della potenza dell’avvenimento, l’energia generata che ha determinato la concatenazione e moltiplicazione di ulteriori accadimenti.

Dopo la manifestazione del 10 febbraio in molte/i ci hanno chiesto quali sarebbero stati i passaggi successivi, a quali proposte stavamo pensando per dare continuità al percorso aperto con la mobilitazione di Macerata. Non avremmo potuto dare   altra risposta a queste domande se non quella semplice, trasparente, forse ovvia, della nostra insufficienza, del fatto che i passaggi successivi possono essere solo il prodotto di una riflessione collettiva, condivisa, articolata tra tutte e tutti coloro che hanno fatto proprio questo percorso, generalizzandolo e diffondendolo nei territori.
Quale altra risposta potrebbe darsi se non che i passaggi successivi possono essere solo il prodotto di un’assunzione di “responsabilità” comune, quella responsabilità “rivoluzionaria”, che è capace di anteporre ai particolarismi, alle sclerotizzazioni, alla tentazione di “autocentrare” i ragionamenti, le necessità di crescita, riaggregazione e ricomposizione dei movimenti? Che il patrimonio restituitoci da queste settimane di mobilitazione è un bene prezioso, da curare e tutelare, forse anche da noi stessi, dal rischio di semplificazioni o di sovrascritture che peserebbero come macigni su percorsi che sono appena all’inizio?

Per tutto questo pensiamo che la grande ricchezza che si è espressa in queste settimane debba prima di tutto trovare un momento di confronto collettivo dove sia possibile provare a darci insieme delle risposte, a condividere l’entusiasmo con cui immaginare i passaggi successivi e la geografia di un agire in grado di riaprire spazi credibili di espressione della conflittualità sociale.

E’ da queste considerazioni che nasce la proposta di realizzare nelle Marche un’assemblea unitaria di movimento per SABATO 10 MARZO, dalle 10 alle 18,30, alla Mole Vanvitelliana di Ancona.

I movimenti hanno la forza di trasformare perché essi sono già cambiamento in atto, fuori e dentro se stessi. I movimenti cambieranno il futuro perché hanno la forza, qui ed ora, di cambiare il presente.

CSA Sisma
Centri Sociali delle Marche
Ambasciata dei Diritti Marche

*

Il testo integrale dell’appello

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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