Quintessenza. Gio Ferri su Maria Grazia Galatà

[Pubblico un estratto da una nota inedita di Gio Ferri dedicata a Quintessenza di Maria Grazia Galatà, raccolta uscita  per Marco Saya Edizioni nel 2018. Il testo costituisce l’ultima produzione scritta di Ferri, “sperimentatore instancabile e indefesso” (come lo definisce Vincenzo Guarracino) scomparso a dicembre dell’anno scorso. In appendice, tre poesie tratte dalla raccolta.]

La quinta essenza dell’essere

 

  è nei piani del tempo

    quell’avvicinarsi ambiguo

    all’innocenza…

 

L’ambiguità è forse la chiave di questa esperienza poetica. Soprattutto quando, con W.Empson (“Sette tipi di ambiguità ”, Torino 1965), nel linguaggio poetico si nasconde la diffusa figura polisemica dell’incerta speranza… la solita impervia salita / che appena appena tocca… / un sonno inquieto…

 

C’è un lungo intermezzo prosastico in forma di monologo a metà della raccolta, Poco fa nel silenzio, che dopo storie fra nostalgiche e turbate (anche sognate?), ripara in quella ribadita dismisura misterica eppure pur sempre dichiaratamente utopica nella volontà di un tempo in parte forse consolante: che tempo è questo tempo? Di preghiere. 

La “quintessenza” ? E’ il 5° elemento, la quinta essenza dell’essere, dei corpi celesti immutabili e incorruttibili. Essenza purissima, sostanza ultima e prima, fondamentale delle cose. Natura superiore all’umana.  Per gli alchemici sostanza distillata, dotata di qualità portentose: la pietra filosofale. Ottenuta per ripetute distillazioni fino al profumo. Pirandello racconta: “…Nicola Petix arrivò presto a questo tutto/nulla quintessenza della filosofia…”. De Roberto, di contro,  pensa a una suprema fioritura del linguaggio: «la rarità della poesia? Forma estrema di una passione silente.»

Ma se poesia è, lo è oggi in quanto refrattaria a una insistenza lirica del tutto sconvolta nella liricità (Vittorini). È la poesia di Maria Grazia Galatà, che si libera sovente di ogni dismisura abitualmente stilistica (metrica, rime, ritmica, accenti …):

 

   … ambrata è quella vita sepolta

       oltre il muro dell’innocenza…

 

   … c’è molto freddo qui senza evoluzione e

        la luce ha attimi di silenzio…

 

     …la prima luce dell’alba ruota

        attorno a uno scompiglio dorato…

 

      …quello che affiora

         fu un tempo di papaveri bianchi…

 

Questi casuali esempi, per altro insistiti, mettono piuttosto in rilievo la valenza esplicita, eppur sognante, dell’allusione, dell’anfibologia, dell’assonanza, l’articolazione  delle diverse figure, la segmentazione, l’allocuzione simbolica. E così via.

   Gio Ferri

 

 Quintessenza

 

e così ruppi ogni spigolo

del cuore – ogni punto salvato

solo per poco e per credere che

poi non è facile aprire la stanza

aritmica dove canteremo

l’inverno

 

***

tienimi nelle fughe di notte

alla quarta strada

[la parte tragica
di un confronto nascosto] o un terzo stadio
nei sensi affamati
e l’affanno
ferma
quell’ora

 

***

forse l’apparente e un apostrofo invisibile

una riga di memoria nel lato buio
o l’addio rovescio del sale
desolazione bloccata al quarto verso

le attese delle guance erano terra erano

aria e tempo di mille spose
leggendo tra voci basse al petto

quando i coralli hanno abisso

ed ebbero a dire nel sonno inquieto

oltre al fondo
oltre al mare
oltre la vita

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio (1997) è poeta, regista, curatore, redattore di «Nazione Indiana». Ha co-diretto la "Trilogia dei viandanti" (2016-2020), presentata in festival e spazi espositivi internazionali. Suoi interventi sono apparsi su «Doppiozero», «Il Tascabile», «Antinomie», «L'indiscreto». Ha vinto il Premio Opera Prima con la raccolta "La Promessa Focaia" (Anterem, 2019). Ha pubblicato "La consegna delle braci” (Luca Sossella Editore) e “La Specie storta" ( Edizioni Tlon ). Cura il progetto “Edizioni volatili”, e la festa della poesia "I fumi della fornace".
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