La casa come sito di resistenza. Da Rosa Parks a bell hooks

Foto da: www.bbc.com/news/world-europe-54176956

di Ornella Tajani

A Napoli, fino al 6 gennaio 2021, si può vedere la casa di Rosa Parks, grazie a una installazione dell’artista statunitense Ryan Mendoza. È interessante scoprire il suo progetto, e riflettere sui suoi significati, alla luce del primo capitolo dell’Elogio del margine di bell hooks, appena riedito da Tamu Edizioni; il volume esce a cura di Maria Nadotti, che firma anche un’importante nuova prefazione.

L’opera di Mendoza, dal titolo “Almost Home”, è promossa dalla Fondazione Morra Greco e ospitata nel Cortile d’onore del Palazzo Reale: si tratta dell’abitazione di Detroit in cui Parks visse tra il 1957 e il 1959, dopo essere fuggita da quel sud in cui, nel 1955, aveva dato il via al boicottaggio dei mezzi di trasporto della città di Montgomery (Alabama), rifiutando di cedere il posto sull’autobus a un uomo bianco. Quella che oggi si può vedere è la casa che il fratello aveva preso in affitto, dove viveva con la moglie e i loro tredici figli e dove la ospiterà insieme al marito. Sarà solo circa vent’anni dopo che Sylvester Parks riuscirà ad acquistarla, ma intanto la sorella Rosa l’avrà già lasciata. Come sottolinea la docente Jeanne Theoharis all’interno del ben curato opuscolo informativo offerto a chi visita l’opera, Rosa Parks non ha mai avuto una casa sua: ecco perché il «focolare», come lo definisce hooks, condiviso con i propri parenti riveste un’importanza particolare.

Questa di Mendoza è una “installazione” nel senso etimologico del termine: un insieme di assi e di pezzi smontati e rimontati. Dopo aver acquistato la casa – ormai in pessime condizioni – per 500 dollari, la nipote di Parks ha contattato l’artista per cercare con lui una fondazione che la restaurasse e la preservasse come monumento storico appartenente alla collettività; il sindaco di Detroit, infatti, aveva previsto la demolizione di 80mila abitazioni, fra cui questa. Nessuno si è mostrato interessato, così la casa ha attraversato l’oceano in due container, per approdare temporaneamente a Berlino, nel cortile dell’artista; da lì è poi giunta a Napoli. Per una forma di rispetto Mendoza ha previsto che non si possa accedere all’interno: l’installazione si guarda dall’esterno e il suo titolo, “Almost Home”, «Quasi casa», rinvia all’auspicio ch’essa possa tornare un giorno negli USA, lì dove è giusto che faccia da memento. L’obiettivo dell’artista è quello di proporla come rappresentazione di «tutti coloro le cui storie possono solo essere immaginate e le cui pagine non saranno riportate nella storia d’America».

Oggi – scrive hooks, citata da Nadotti nell’introduzione al volume citato – la tematica che richiede il massimo della nostra attenzione è quella della rappresentazione.

Il primo capitolo del suo Elogio del margine si basa sul ruolo eminentemente politico che l’abitazione ha rivestito nelle lotte per i diritti civili: la casa «come sito della resistenza e della lotta di liberazione».

Costruire un focolare domestico non significava soltanto fornire dei servizi. Voleva dire costruire un luogo sicuro dove i neri potessero confermarsi l’un l’altro e, così facendo, guarire molte delle ferite che la dominazione razzista aveva inflitto loro. Nella cultura della supremazia bianca, all’esterno, non saremmo riusciti a imparare ad amare o rispettare noi stessi; è stato lì, all’interno, in quel «focolare domestico» per lo più creato e mantenuto da donne nere, che abbiamo avuto modo di crescere e progredire, di nutrire il nostro spirito. Il compito di costruire un focolare domestico, di fare della casa una comunità di resistenza, è stato condiviso globalmente dalle donne nere, in particolare dalle donne nere delle società suprematiste bianche.

hooks pone l’accento sullo sforzo che le donne nere compivano per non esaurire tutte le loro energie nei lavori di cura delle famiglie bianche presso le quali passavano gran parte della giornata, e per conservare una porzione di sé da offrire ai propri cari, al proprio focolare: tale sforzo va per l’autrice messo in valore come atto politico di resistenza, nonché come forma critica della definizione sessista «secondo la quale servire sarebbe il ruolo ‘naturale’ delle donne».
Ricordando l’angoscia che provava quando vedeva la madre andarsene per prestare servizio nelle case dei bianchi, hooks scrive:

Al suo rientro, dopo lunghe ore di lavoro, non si lamentava. Faceva di tutto per farci capire quanto fosse contenta di aver concluso la sua giornata di lavoro, di essere a casa; ma nello stesso tempo ci dimostrava che nella sua esperienza di lavoro come domestica al servizio di una famiglia bianca, in quello spazio di Alterità, non c’era nulla che le togliesse la sua dignità e il suo potere personale.

Uno degli strumenti dell’apartheid è proprio quello di impedire ai neri di costruirsi un’abitazione, primo nucleo comunitario:

I bianchi hanno trovato un modo efficace per sottomettere i neri a livello globale: costruire senza posa strutture economiche e sociali che sottraggano a molti i mezzi per farsi un focolare. Ricordarlo dovrebbe permetterci di capire il valore politico della resistenza delle donne nere nelle case. Dovrebbe fornirci la cornice entro cui discutere lo sviluppo della loro coscienza politica, riconoscendo l’importanza politica dello sforzo di resistenza che ha avuto luogo nelle case. Non è un caso che il regime di apartheid sudafricano attacchi e distrugga sistematicamente gli sforzi della nostra gente per costruirsi un sia pur precario focolare domestico, quella piccola realtà privata dove donne e uomini neri possono ricrearsi e ritrovare sé stessi. Non è un caso che questo focolare domestico, per quanto fragile ed effimero possa essere, quattro pareti tirate su in fretta e furia, un mucchietto di terra dove riposare, sia sempre esposto a violazioni e distruzioni. Perché, quando non si ha più lo spazio per costruirsi una casa, è impossibile costruire una vera comunità di resistenza.

È proprio nella direzione del recupero della memoria che va il lavoro di Ryan Mendoza, il quale, con il suo “The Rosa Parks House Project”, ha riprodotto già più volte il gesto simbolico fragile e potentissimo di “tirar su quattro pareti in fretta e furia”: prima a Berlino, poi a Providence, ora a Napoli.
Al momento in cui scrive, nel 1990, hooks afferma la necessità di ripensare questo luogo come «sito primario della sovversione e della resistenza».

Partendo da qui, potremo ritrovare la prospettiva perduta, dare alla vita un nuovo significato. Potremo fare della casa quello spazio dove tornare a rinnovarci e a curare noi stessi, dove guarire dalle nostre ferite e diventare interi (corsivo mio).

La storia travagliata di Rosa Parks dimostra quanto sia stato difficile per lei trovare un posto in cui guarire dalle ferite e trovare pace: morirà a 92 anni, dopo essere stata minacciata di sfratto per mancato pagamento dell’affitto (affitto invece regolarmente versato, secondo Elaine Steele, direttrice del Rosa and Raymond Parks Institute). Oggi l’opera di Ryan Mendoza invita a riflettere su questo travaglio e a risemantizzare il «focolare», sia sul piano simbolico, sia sul piano concreto, riproponendolo come un protagonista importante della storia del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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