La commedia all’italiana rinasce tra i Sassi

di Antonella Falco

Ne è passato di tempo da quando Palmiro Togliatti, nel 1948, definì la città di Matera «vergogna nazionale», e, per fortuna, le cose, da allora, sono radicalmente cambiate: Matera nel 1993 è stata proclamata Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco, nel 2019 è stata Capitale Europea della Cultura e i suoi celeberrimi Sassi, da scenario contadino sinonimo di miseria e di degrado, sono divenuti location di grandi produzioni cinematografiche sia nazionali che internazionali. I film girati nel capoluogo lucano sono oltre quaranta e hanno visto avvicendarsi registi quali Pier Paolo Pasolini, che nel 1964 vi ambientò il suo Il Vangelo secondo Matteo, Francesco Rosi, con Cristo si è fermato a Eboli (1979) e Lina Wertmüller che vi girò nel 1963 I basilischi.

Ma già nel 1949 Carlo Lizzani vi realizza il documentario Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato dedicato al mondo contadino descritto da Carlo Levi. Nel ’53 i Sassi diventano un misero paesino siciliano per La Lupa di Alberto Lattuada. Dagli anni Sessanta molti saranno i film ambientati negli antichi rioni, ormai disabitati per effetto della prima Legge Speciale per lo Sfollamento dei Sassi firmata da De Gasperi nel ’54. Così il cinema utilizza quelle povere dimore scavate nel tufo per dimostrare l’arretratezza del Meridione. Si susseguono pellicole quali Gli anni Ruggenti (1962) di Luigi Zampa, Il demonio (1963) di Brunello Rondi, Qui comincia l’avventura (1975) di Carlo Di Palma, fino a film più vicini ai giorni nostri quali  Del perduto amore (1998) di Michele Placido e Terra bruciata (1999) di Fabio Segatori. Ma anche i fratelli Paolo e Vittorio Taviani scelsero Matera come set per il loro Il sole anche di notte(1990) e Giuseppe Tornatore, nel 1995, per L’uomo delle stelle, mentre Fernando Arrabal vi gira L’albero di Guernica (1975).

Per quanto riguarda i kolossal internazionali, tutti ricordano che Mel Gibson vi ha ambientato il suo iperrealistico e sconvolgente The Passion of the Christ (2004), ma la città dei Sassi è stata anche il set della Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins con Gal Gadot nei panni dell’eroina dei fumetti DC Comics, e di No Time to Die (2017) di Cary Fukunaga, venticinquesimo capitolo della saga di James Bond, che ha visto le vie del centro storico fare da scenario agli spettacolari inseguimenti in Aston Martin. I Sassi ricrearono i luoghi dell’antica Gerusalemme in King David (1985) di Bruce Beresford, con Richard Gere, e l’elenco potrebbe continuare a lungo, dal momento che Matera per la suggestiva bellezza dei suoi paesaggi naturali e le straordinarie architetture rupestri – che l’hanno più volte resa adatta a pellicole di tema prevalentemente biblico – è stata in realtà scelta col passare degli anni come ambientazione per svariati generi cinematografici.

Matera, oltre a ospitare set di registi provenienti da altre città italiane ed estere, ha anche prodotto negli ultimi decenni un’interessante generazione di attori e registi locali che portano avanti una significativa produzione di cinema indipendente, pellicole di alto livello che non mancano di visibilità in ambito nazionale, facendosi notare nei vari festival e ottenendo meritati riconoscimenti. Fra questi autori “made in Matera” spicca senz’altro il nome di Antonio Andrisani, attore regista e sceneggiatore,  in realtà dotato di un talento poliedrico che lo porta a spaziare dal visual design alla musica, con qualche incursione anche in ambito letterario (nel 2015 pubblica Tutto finisce in un libro, raccolta di articoli da lui scritti su vari argomenti che spaziano dal cinema alla letteratura). Il grande pubblico lo ricorderà per una parte nel film Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo, ma è doveroso ricordare che nel 2016 scrive, dirige e interpreta il lungometraggio Il Vangelo secondo Mattei con Flavio Bucci, Andrea Osvart, Mimmo Calopresti, Federica Modugno; mentre nel 2012 con il cortometraggio Stand by Me, da lui scritto e interpretato, si aggiudica il Nastro d’argento. Un altro corto da lui scritto e diretto, Stardust (2020), interpretato da Corrado Guzzanti e Teodosio Barresi, continua a riscuotere premi, cinque dei quali hanno finora reso merito alla straordinaria interpretazione di Barresi, scomparso poco dopo la realizzazione del film.

Andrisani è stato direttore artistico dell’anteprima del Matiff, Matera Art International Film Festival (l’edizione 2021, il Matiff Zero One, in programma dall’11 al 19 settembre, ha come direttore artistico generale Massimiliano Selvaggi), e cura la rassegna di libri musicali Paper Pop (con tre appuntamenti, il 6 e 27 agosto e il 10 settembre 2021, rispettivamente dedicati a Serge Gainbourg, Franco Battiato e David Bowie attraverso la presentazione dei volumi  Gainsbourg. Scandal! di Jennifer Radulovic, Segnali di vita. La biografia della voce del padrone di Fabio Zuffanti e David Bowie. Tutti gli album di Francesco Donadio).

Delle tante contraddizioni di Matera, città millenaria – secondo uno studio condotto dal portale di viaggi Travel 365, la perla della Basilicata è infatti la terza città più antica al mondo: i suoi primi insediamenti umani risalgono a diecimila anni fa, come testimoniano diversi reperti provenienti dalle necropoli locali e conservati nel Museo Nazionale Domenico Ridola -, del suo essere sospesa tra passato e presente, tra identità e globalizzazione, tra Arte e industria, tra sviluppo reale e illusori miraggi, tratta Sassiwood, l’ultima fatica in ordine di tempo di Antonio Andrisani, che ne è regista (assieme a Vito Cea, che ha curato anche il montaggio) e interprete, oltre che autore del soggetto e della sceneggiatura. La pellicola, dopo essere stata presentata al Ferrara Film Festival (dal 29 maggio al 6 giugno), dove ha ricevuto una calorosa accoglienza da parte di critica e pubblico, è stata premiata come Miglior Film alla terza edizione dell’AmiCorti International Film Festival di Peveragno, in provincia di Cuneo, svoltosi dal 14 al 19 giugno 2021.

A presiedere la Giuria Internazionale, composta da personalità del cinema e della cultura, fra cui spiccava la presenza dello scrittore statunitense Roger Rueff – autore di numerosi testi teatrali e sceneggiature cinematografiche, la più nota delle quali, quella del film The Big Kahuna (1999), diretto da John Swambeck e interpretato da Kevin Spacey e Danny De Vito, è stata tratta dalla sua pièce teatrale Hospitality Suite, portata in scena  con successo in moltissimi Paesi – è stato Paul Haggis, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico e televisivo, premio Oscar nel 2006 per la sceneggiatura di Crash – Contatto fisico, che gli è valsa anche la statuetta come Miglior Film e la nomination per la regia. Haggis è noto al grande pubblico per aver scritto la sceneggiatura (nomination agli Oscar 2005) di Million Dollar Baby di Clint Eastwood, con il quale ha collaborato per il soggetto di Lettere da Iwo Jima e per la sceneggiatura di Flags of Our Fathers. Ha firmato inoltre la sceneggiatura di due pellicole della saga di 007, Casino Royale (2006) e Quantum of Solace (2008), tornando poi alla regia con Nella Valle di Elah (2007), di cui cura anche soggetto e sceneggiatura, interpretato da Charlize Theron e Tommy Lee Jones. Proprio il grande cineasta canadese – Haggis è infatti nato nella London ontariana – ha avuto parole di apprezzamento per il film di Andrisani e Cea, a conferma della maestria dei due registi materani (non nuovi a lavorare insieme, la loro prima regia in tandem risale infatti agli anni Novanta) e alla solidità della sceneggiatura firmata da Andrisani, il quale, com’è nello specifico di ogni bravo artista, riesce a elevare il particolare a universale, conferendo al film un messaggio che travalica i confini della piccola città di provincia italiana.

Sassiwood è una commedia dolceamara, che partendo dalla parodia della Matera/Palestina, ossia della città conosciuta in tutto il mondo come set di film biblici, vuole riflettere sul cinema e sulla realtà di un territorio che di fatto vive tutt’oggi i problemi della disoccupazione e dello spopolamento ed è pertanto anni luce lontano dal mondo scintillante di lustrini e glamour che tutti noi immaginiamo quando pensiamo alla Hollywood californiana. Il titolo Sassiwood è in tal senso estremamente evocativo e rappresenta la prima e più evidente intuizione geniale del film, che vuole essere anche un monito sull’incompetenza e l’ignoranza della classe dirigente, monito tanto più potente e efficace in quanto veicolato dalla sottile e amara ironia che pervade tutta la pellicola.

L’universalità del messaggio del film era del resto già stata ampiamente riconosciuta nel 2014 dalla stampa estera che aveva premiato con il Globo d’Oro (appunto il premio che i giornalisti stranieri accreditati in Italia assegnano dal 1959 al nostro cinema, e che, assieme al David di Donatello e al Nastro d’Argento, è considerato uno dei più prestigiosi premi cinematografici italiani) l’omonimo cortometraggio da cui è tratto il film che tanti e autorevoli consensi sta riscuotendo nei vari festival nazionali dedicati alla settima arte. Il cammino di Sassiwood, che si appresta a uscire nelle sale in autunno, è infatti proseguito passando per altri festival: il Social World Film Festival di Vico Equense (svoltosi dall’11 al 18 luglio 2021) e il Castellabate International Film Festival 2021 (dal 19 al 24 luglio), dove ha ottenuto il Premio per la Miglior Regia nella sezione lungometraggi, con la seguente motivazione: «Per la surreale rappresentazione parodica della città di Matera, meta ambita per la realizzazione cinematografica di film dal carattere biblico, per la brillante intuizione cinematografica di creare un intreccio stilistico di generi intercorrenti tra il surrealismo di felliniana memoria e il neorealismo di stampo pasoliniano».

Ha inoltre vinto come Miglior Film alla quinta edizione del San Benedetto Film Fest (svoltosi a San Benedetto del Tronto dal 13 al 16 luglio 2021) ed è stato inserito tra gli eventi speciali del Giffoni Film Festival, quest’anno denominato Giffoni 50 Plus, il noto  festival cinematografico per bambini e ragazzi che si svolge ogni anno, nel mese di luglio, nella città di Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, e che, nato nel 1971 da un’idea dell’allora diciottenne Claudio Gubitosi, che ancora oggi ne è il direttore artistico, ha ormai girato la boa delle cinquanta primavere, passando da manifestazione di livello poco più che regionale a evento di respiro internazionale, tanto che il regista francese François Truffaut in una lettera del 1982 affermò: «Di tutti i festival del cinema, quello di Giffoni è il più necessario».

A partecipare al Festival sono stati gli attori più giovani del cast, gli esordienti Loretta Graziani e Pasquale Montemurro, che nei loro interventi hanno sottolineato come il film affronti con il sorriso tematiche serie che riguardano in generale tutto il Meridione. D’altra parte proprio in questa capacità di far ridere e riflettere al tempo stesso risiede uno dei punti di forza del film (film sorretto, come già si è visto, da una solida sceneggiatura, tale da far sì che una vicenda ambientata nella piccola provincia italiana, e pertanto fortemente connotata e contestualizzata dal punto di vista territoriale, possa venire apprezzata anche da chi è molto lontano da quella realtà geografica), che si presenta come un derivato della commedia all’italiana, la quale ha reso celebre il nostro cinema nel mondo. Se, come sosteneva il grande Mario Monicelli, la commedia all’italiana consiste nel «trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici»  e se «è questo che distingue la commedia all’italiana da tutte le altre commedie…», allora Antonio Andrisani si dimostra un degno erede di quella tradizione, facendosi portavoce di una comicità non ridanciana, non triviale, non sguaiata, ma al contrario fine, ironica, sottile, intelligente, quella che appunto era possibile trovare nella migliore commedia all’italiana, nella quale la satira di costume e una sostanziale amarezza di fondo andavano a stemperare i contenuti più prettamente comici.

Del resto la commedia all’italiana prendeva le mosse dalla grande lezione del neorealismo, basandosi su sceneggiature fortemente aderenti alla realtà, motivo per cui le situazioni comiche erano sempre affiancate da uno sguardo ironico, da una pungente e amara satira che andando a stigmatizzare abitudini e costumi diventava strumento di riflessione sui mutamenti della società italiana. Su tali  fondamenta che intrecciano neorealismo, commedia all’italiana e specifici elementi pasoliniani, Andrisani costruisce una storia innervata di surrealismo felliniano, come giustamente sottolinea la motivazione di uno dei premi ricevuti, tratto, quest’ultimo, particolarmente evidente nel personaggio di Tafuni, interpretato magistralmente da Giovanni Esposito, che unisce al carattere divertente una profonda malinconia, elemento che lo rende molto poetico. Questo aspetto, a ben vedere, vale per tutti i personaggi del film, anche per quelli il cui ruolo ci rende più invisi e all’apparenza antipatici: tutti finiscono per rivelare un loro lato profondamente umano, fatto di luci e ombre, che finisce per farceli sentire vicini. Il cast, assai nutrito, annovera, oltre agli attori già menzionati, Fabrizia Sacchi, Paolo Sassanelli, Tiziana Schiavarelli, Paolo De Vita, Uccio De Santis, Pinuccio Sinisi e una ricca rappresentanza di interpreti materani.

Sassiwood è inoltre un omaggio ad Albino Pierro, il poeta di Tursi cui dedicarono importanti studi critici esegeti quali Gianfranco Contini e Gianfranco Folena e le cui opere sono tradotte non solo nelle principali lingue europee ma anche in arabo e persiano. Noto per la svolta linguistica che a partire dal 1959 gli fece scegliere l’idioma della sua città natia per dar voce ai propri versi, Pierro andò per ben due volte vicinissimo alla conquista del Premio Nobel per la Letteratura, nel 1986 e nel 1988, arrivando in entrambi i casi secondo, alle spalle rispettivamente del nigeriano Wole Soyinka e dell’egiziano Nagib Mahfuz. Il cammino festivaliero di Sassiwood è ancora solo all’inizio e, viste le premesse, lascia presagire ulteriori brillanti risultati, in attesa che anche il pubblico, in autunno, possa apprezzarlo nelle sale.

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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