Articolo precedenteJameson legge Benjamin
Articolo successivoOmosessualità e vittime

La tempesta in giugno di Némirovsky

 

di Ornella Tajani

Un romanzo deve somigliare a un viale pieno di sconosciuti,
in cui passano solo due o tre creature che conosciamo
a fondo. (cit.)

 

La vicenda editoriale di Tempesta in giugno di Irène Némirovsky, da poco apparso per Adelphi, è complessa, travagliata e reca i segni del secolo che ha dato vita al romanzo. Si tratta di una nuova versione di Suite francese, basata su un dattiloscritto posteriore al manoscritto originale. Così come l’edizione francese, edita da Denoël, questa italiana è stata curata da Teresa Lussone e Olivier Philipponnat, che mediante gli accurati paratesti guidano il pubblico fra le tappe della genesi dell’opera. Oltre a tradurre i capitoli inediti e rivedere la traduzione di Laura Frausin Guarino, Lussone ha scritto una brillante postfazione, intitolata Un romanzo molto chic. La riscrittura di «Suite francese», in cui fornisce, sotto forma di decalogo, il commento alle modifiche apportate dall’autrice rispetto alla precedente stesura, fra cui: l’eliminazione di ogni episodio che rallentasse il ritmo della narrazione, la soppressione di passaggi caratterizzati da un realismo troppo brutale, l’amplificazione di effetti umoristici e grotteschi, la più marcata «tipizzazione» dei protagonisti, la maggior cura nei riferimenti alla natura (come Rimbaud, Némirovsky sapeva che a ogni autore o autrice che si rispetti tocca «connaître un peu sa botanique»). Il percorso finale tracciato dalla curatrice diventa così non solo un approfondimento per chi già conosceva la prima versione del romanzo, ma si offre anche come un percorso dell’opera di questa autrice per chi si ritrovasse a leggerla per la prima volta.
Che cos’è Tempesta in giugno? È l’affresco dell’esodo parigino nei giorni dell’occupazione nazista: un romanzo corale, in cui la fuga è declinata in funzione della classe sociale dei fuggitivi: se il celebre scrittore Gabriel Corte si lamenta perché i profughi pidocchiosi gli sviliscono quel bel «clima da tragedia» che ha davanti, i proletari, a proposito dei ricchi, commentano «Non è che siano cattivi. È che non conoscono la vita». Sulla base di un’esplicita intenzione dell’autrice (si veda ancora la postfazione), le vicende si susseguono veloci e avvincenti «come in un film» – sicché chi legge ha l’occasione di assistere tanto al racconto delle avventure notturne di un gatto, anche lui travolto dalla ritirata, quanto a una mirabile riscrittura dell’episodio di Fabrice Del Dongo nella Certosa di Parma di Stendhal, in cui il protagonista si ritrova sperduto su un campo di battaglia, senza sapere che è Waterloo.
Il romanzo si chiude sulla parola «terra» e la prosa classica e densa di Némirovsky in italiano suona così:

Il vento si era placato; nato chissà come, se n’era andato chissà dove. Nella sua furia cieca aveva spezzato rami, squassato tetti; aveva disperso le ultime tracce di neve sulla collina, e adesso da un cielo scuro e burrascoso cadeva la prima pioggia di primavera, fredda ancora ma impetuosa, fitta, e si apriva un varco sino alle radici nascoste degli alberi, sino al nero e profondo cuore della terra.

È interessante notare che lo stesso termine apre il romanzo sin dall’esergo (presente solo in questa versione, non in Suite francese, e dunque aggiunto a posteriori):

“La Terra è una sfera che non poggia su niente”.
Libro di geografia per bambini

Esergo sconcertante, che spalanca una voragine ai piedi di chi legge, preludendo alla tempesta storica che verrà nelle pagine seguenti: il pianeta Terra è sospeso, infinitamente vulnerabile, eppure la vita, la morte e la guerra lo attraversano con la furia di un vento che finisce per raggiungerne il cuore. Il romanzo di Némirovsky costituisce una splendida descrizione di questo attraversamento.
E, se è vero che esistono diversi motivi per ritradurre un libro – storici, filologici, editoriali, estetici -, il caso della scoperta di una nuova versione dell’opera resta uno dei più succulenti.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Mots-clés__Luna

di Paola Ivaldi
Saremo sempre profili in controluce / incisi sulla linea d'orizzonte, sospesi / sopra il blu fondo e salino che regna d'estate / nel tempo senza tempo di ogni infanzia

Margherita

di Dora Annarumma
C’era quella scena, in un film che aveva il nome di un crostaceo. Era la scena finale, il protagonista voleva accecarsi per amore, Sandra non ricordava bene per quale motivo vi fosse costretto, ma lui prendeva un ago gigantesco, uno spillone, lo appoggiava alla parete e per diversi minuti restava lì con l’occhio vicinissimo alla punta, cercando il coraggio di.

“Cinque giorni fra trent’anni”: intervista a Francesco Fiorentino

a cura di Ornella Tajani
Il fil rouge credo che sia l’interrogazione sulle sorti della mia generazione che ormai è quasi arrivata alla vecchiaia. Rappresento una molteplicità di personaggi, per lo più femminili, sempre costretti a dover fare i conti con “l’aspra indifferenza dell’età adulta”

“La semaine perpétuelle” di Laura Vazquez – un estratto in traduzione

di Laura Vazquez
Ognuno pensa: Sono una persona. Questo è il mio passato, la mia storia, il mio posto, sono questa persona, sono una persona. Quando mangiano, in treno, nella metro, pensano: Sono una persona, sono una persona, sono io, ho queste idee qui. Sono me stesso.

Incendiare il buio

di Valeria Nicoletti
“Tomber aux oubliettes” è l’espressione francese che si usa per dire “cadere nel dimenticatoio” o “finire nell’oblio”, una perifrasi dal suono grazioso, quasi da filastrocca per bambini, tra le prime che riesco a memorizzare in quella che per me è stata l’avventurosa conoscenza della lingua francese

“Vide sanitaire” di François Durif: un estratto in traduzione

di François Durif
Tra i vari foglietti che ho conservato degli anni alle pompe funebri ci sono alcuni appunti datati 16 ottobre 2006. Brandelli di frasi scritte velocemente con la penna a sfera. Ricordo bene il volto della donna che mi ha affidato questi pensieri colti al volo. I suoi occhi azzurri, pallidissimi
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
Print Friendly, PDF & Email
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: