Su “My People. La mia gente” di Oodgeroo Noonuccal. Intervista a Margherita Zanoletti

 

Rainbow Serpent Banner, Oodgeroo Noonuccal, 1988, Painted textile

 

a cura di Sara Elena Rossetti

Nel 2021 è uscito per Mimesis My People. La mia gente di Oodgeroo Noonuccal [di cui su questo blog si è già parlato qui, ndr]. L’intervista-dialogo che segue nasce dagli incontri tenuti presso la Biblioteca civica di Bresso (MI) e il Liceo linguistico “Erasmo da Rotterdam” di Sesto San Giovanni (MI) tra il novembre 2022 e il gennaio 2023.

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SER La prima domanda è d’obbligo. Chi è Oodgeroo?            

MZ Un’artista, intellettuale e attivista australiana della seconda metà del Novecento. “Grande signora della nostra cultura” la chiama Alexis Wright, autrice di un testo contenuto nell’edizione italiana della sua antologia My People (Mimesis 2021).
Nel 1964 Oodgeroo passa alla storia come prima poeta delle First Nations, cioè di discendenza aborigena, con We Are Going: un’opera di denuncia sociopolitica che accende un fenomeno mediatico. Da quel momento, la sua voce di donna, nera, povera e autodidatta, diventa la voce di un popolo schiacciato che rialza la testa.
Alla fine degli anni Sessanta, Oodgeroo è tra i promotori della campagna referendaria per far sì che i popoli indigeni australiani acquisiscano i diritti di cittadinanza. Nel 1970, raduna i suoi versi in un’antologia che dedica alla sua gente, My People. Fino alla morte nel 1993, si dedicherà in particolare alle giovani generazioni, scrivendo versi e racconti. Oggi le sue opere sono studiate a scuola e nelle università, tradotte in pièce teatrali, produzioni di fiction e composizioni musicali. My People continua a vivere.

SER Leggo nella prefazione che il suo nome all’anagrafe era Kath Walker. Come mai nel 1988 decide di cambiare nome?

MZ In segno di protesta contro l’invasione britannica, che portò guerre, genocidi, razzismo ed altre atrocità. Contro le celebrazioni per il bicentenario dell’approdo della First Fleet (Prima Flotta) sul continente australiano, l’autrice abdica al suo nome anglosassone e diventa Oodgeroo della tribù Noonuccal. Il nome Oodgeroo vuol dire “melaleuca”, cioè albero del tè, una pianta endogena utilizzata da sempre in Australia per le sue proprietà curative; ma significa anche “corteccia”, ovvero il supporto usato da millenni dagli aborigeni per dipingere e quindi raccontare le loro storie tradizionali.

SER Ora veniamo all’origine di questo progetto editoriale. Cosa ti ha portata in Australia e come hai incontrato la poesia di Oodgeroo?

MZ Il primo viaggio in Australia è avvenuto proprio grazie a Oodgeroo. L’ultimo anno di università decisi di fare la tesi sulla sua poesia, e dato che in Italia non c’era nulla sul suo lavoro, grazie a una borsa di studio volai a Sydney e ci rimasi sei mesi per consultare materiali d’archivio, raccogliere testimonianze e fare ricerca. Non immaginavo che dopo la laurea sarei ritornata in Australia e ci avrei vissuto anni. L’incontro con Oodgeroo ha segnato il mio percorso umano e di ricerca.

SER Com’è strutturato My People. La mia gente? Puoi dirci qualcosa riguardo ad Alexis Wright, che firma il testo in apertura del libro?

MZ Alexis Wright è probabilmente la scrittrice delle First Nations vivente più importante e conosciuta al mondo, e con lei si apre il libro. Il suo testo celebra Oodgeroo come la “mamma” della letteratura indigena australiana, di una letteratura che ha cura del pianeta. Segue un’introduzione su Oodgeroo e su My People. La raccolta include settantasette scritti, proposti in lingua originale con la traduzione a fronte. Infine, c’è un glossario con una lista di parole afferenti al mondo indigeno, presenti nei testi di Oodgeroo e che mi è parso utile spiegare al lettore italiano.

SER In coda alla raccolta c’è un testo in prosa intitolato Custodi della terra. Di cosa si tratta?

MZ Di una prolusione tenuta da Oodgeroo i1 22 aprile 1989 ricevendo il dottorato honoris causa dalla Facoltà di studi umanistici della Griffith University. In questo discorso Oodgeroo dichiara: “La terra è nostra madre. Noi non possiamo possederla; è lei che ci possiede”. Questa semplice frase riassume un tratto base comune alle molte culture aborigene d’Australia: l’uomo è custode della terra. L’uomo appartiene alla terra, non il contrario. L’uomo è la terra.

SER L’introduzione al libro contiene una presentazione dettagliata dell’autrice, dei testi e della traduzione. Alcune tabelle riassuntive aiutano a orientarsi tra le poesie nelle varie edizioni. In sintesi, quali sono le tematiche chiave?

MZ In primis, la denuncia sociopolitica. Raccontando fatti storici, stragi, stupri, bugie e strumentalizzazioni, Oodgeroo mette a tema la discriminazione e la violenza contro la sua gente. Alcune poesie pongono l’accento sul processo di costruzione di rapporti positivi tra popolazioni indigene e non, implementando riforme legislative tese a favorire l’unità.
Il secondo tema tocca personaggi, paesaggi e narrazioni legati all’immaginario spirituale del Tempo del Sogno, cioè il tempo della creazione del mondo, un tempo mitico che si rinnova continuamente, anche nel presente. Oodgeroo mette in scena personaggi, aneddoti e racconti legati al sapere e alla mitologia tradizionali. Talvolta con nostalgia, talvolta con vena umoristica e anticonformista.
Un terzo nucleo raccoglie componimenti autobiografici: poesie dedicate ai figli, poesie che rivelano sentimenti e aspirazioni, poesie sulla guerra. In “Vita morta”, Oodgeroo dipinge la guerra come un male diabolico e distruttore. Riflette sulla disumanità dell’uomo, sull’annientamento delle potenzialità umane.

SER In un’intervista recente, hai definito Oodgeroo “rappresentante di un movimento transindigeno”. In che senso?

MZ Negli anni in cui, di pari passo con l’attivismo politico e l’impegno civile a difesa della sua gente, Oodgeroo utilizzava la poesia come mezzo di lotta per i diritti del suo popolo, stava succedendo qualcosa di simile in varie parti del mondo. L’anno di pubblicazione di We Are Going, il 1964, coincide ad esempio con l’uscita di No Ordinary Sun, il primo libro dell’autore māori Hone Tuwhare, e con la pubblicazione della prima raccolta di poesie di un nativo americano, Raising the Moon Vinesdi Gerald Robert Vizenor. Negli Stati Uniti, il Black Arts Movement nasce ad Harlem nel 1965 per opera di Imamu Amiri Baraka. Il paesaggio storico-letterario a cui l’opera di Oodgeroo appartiene è internazionale, interetnico e transindigeno.

SER Oggi, a tuo avviso, la letteratura e la poesia possono ancora avere un ruolo educativo e in qualche misura anche politico?

MZ Nel 2022 il Festival di poesia civile di Vercelli ha premiato Aleksandr Michajlovič Kabanov, un poeta ucraino che scrive in russo, “nella lingua del nemico”, per usare il titolo del suo libro. Il suo lavoro (e non è il solo) dimostra come il mezzo poetico possa e debba parlare in favore della pace. Quindi sì, mai come oggi la poesia ha un ruolo politico e un ruolo etico, educativo, diplomatico e mediatico.

SER Torniamo al tuo lavoro di cura e traduzione. La voce di Oodgeroo è lontana da uno stile aulico e accademico, è vicina al parlato, imita l’interloquire quotidiano. È insieme poetica e conativa. Nel tradurre la sua poesia, quali sono state le difficoltà e le soddisfazioni maggiori?

MZ La traduzione è un processo lungo e una conquista provvisoria. Tradurre poesia è particolarmente complesso, perché la poesia stessa è un altro modo di vedere le parole e il mondo.

Nel mio caso, mi sono posta il problema della credibilità. Come faccio io, italiana, bianca, istruita, dalla vita facile, a restituire l’esperienza dolorosa di Oodgeroo? Come trasmettere la sua urgenza, evitando uno sguardo paternalistico e onnisciente? Vivere in Australia, a contatto con artisti di oggi e con persone che l’hanno conosciuta, mi ha permesso di vedere e toccare luoghi, di accedere a testimonianze di prima mano. Di aiuto è stato poi il confronto con la poeta afroamericana Betty Gilmore. L’obiettivo è stato rendere la scrittura di Oodgeroo in un italiano interessante, con rispetto, senza scimmiottarla. A tal fine, ho deciso di preservare intatti i vocaboli di derivazione indigena, rimandando al glossario in calce al volume.

SER Ti sei occupata in passato anche di arte aborigena e hai curato alcune mostre. C’è qualcosa che ti ha sempre affascinato?

MZ Potrei dire che il mio interesse per la cultura australiana si sviluppi sin dall’inizio come interesse per il legame tra le parole e le immagini. Ciò che più mi attira è la capacità di raccontare storie. La poesia contemporanea, come i dipinti, racconta storie. Apre un mondo. Fa viaggiare. Insegna qualcosa di antico con un linguaggio dinamico e modernissimo.

SER Cosa impariamo, in particolare, grazie alle poesie di My People?

MZ Che la distruzione dell’ambiente naturale in favore dello sfruttamento economico demolisce la vita e che, a fronte di questa frattura, il ritorno della terra è un fattore chiave di sopravvivenza. Nella percezione mitica dei popoli aborigeni, in passato come oggi, la terra non è solo fonte di riparo e sostentamento, ma è l’aspetto centrale della condizione umana e ha un profondo significato spirituale. La terra lega a sé gli uomini e fornisce cibo, vita e linguaggio. Questo tema è attualissimo, profetico rispetto alle sfide connesse al cambiamento climatico in atto. Da millenni, gli Aborigeni e gli Isolani dello stretto di Torres hanno presente l’importanza e la delicatezza dell’ecosistema terrestre.

SER Credi che Oodgeroo abbia ancora qualcosa di importante da raccontare e insegnare ai nostri ragazzi, agli studenti di oggi?

MZ Rispondo con le parole di Alexis Wright: Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Il futuro richiede a noi tutti di pensare in modo molto più fantasioso e di essere molto più visionari su come continueremo a vivere in un mondo in grande cambiamento. I problemi del mondo richiedono con urgenza a ciascuno di noi di darsi da fare di più per raggiungere obiettivi comuni a tutta l’umanità. […] Oodgeroo Noonuccal fece questo nella sua poesia.”

 

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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