Strada per Argirocastro

di Arben Dedja

L’estate siamo andati in vacanza in Patria. Abbiamo scelto Borsh. Altroché amaro; era così dolce immergersi in quelle acque ioniche.

“Se un giorno il tempo peggiora, visitiamo Argirocastro, così la mostriamo alla figlia?” ha chiesto mia moglie.

E il tempo è peggiorato. Nel senso che una nuvola ha sorvolato il cielo; di più non poteva succedere quel fine luglio. La notte precedente la coppia tedesca dell’appartamento di fianco aveva cominciato a far sesso. L’edificio era di legno: i muri tremavano. Per mezz’ora ho avuto sudori freddi: temevo mia figlia li sentisse; per fortuna che dormiva nell’altra stanza, nel letto matrimoniale con mia moglie. Non ho più chiuso occhio. E se il trambusto ricominciasse? Era una coppia piena di tatuaggi.

“Sottili i muri qua; si sente tutto” ho detto all’indomani alla proprietaria del complesso turistico.

“Cosa si sente?”

“Niente… tedesco”

“Ho intenzione di costruire un grande albergo. In mattoni” mi ha detto la proprietaria. “Se Dio vuole!”

“Se Dio vuole” ho detto. E gli ho chiesto come fare per andare a Argirocastro.

“Vi porta Shezo, per pochi soldi. È al bar” e ha indicato con dito. “Ha solo un problema: è un po’ comunista. Ma voi non state ad ascoltarlo.”

Zoppicando Shezo si incamminò verso la sua Mercedes. Aveva la gamba destra storta e secca.

“Ci porterà lui?” mi ha domandato con lo sguardo mia moglie.

Il capitano Achab aveva una gamba di legno e diede lo stesso la caccia a Moby Dick; lo zoppo Lord Byron attraversò a nuoto lo stretto dei Dardanelli, tanto per rimanere nell’ambito mare. Queste cose, però, non le dissi a mia moglie. Non si trattava di letteratura, ma della nostra pelle. Ho alzato le spalle.

Soffro il mal d’auto, la chinetosi. In verità, soffro persino le onde mentre dalla veranda ammiro un tramonto. Per questo mi sono seduto davanti. Le donne, forti in tutto, si sono messe dietro senza temere la strada che serpeggiava.

“Bevi acqua frizzante” mi consigliava Shezo. “Comunque, guiderò nel centro della carreggiata; siamo in tempo per passare nella nostra corsia.”

Ho annuito.

“Avevo un’autoscuola fino a tre anni fa.”

Questo ci ha tranquillizzati, riguardo la professionalità di Shezo.

“Ho avuto la poliomielite quando avevo tre anni, sa, dottore” ha detto. “Il clima di Borsh mi ha salvato. Faccio bagni di sabbia estate e inverno.” E si colpiva con mano la coscia sottile.

“È forte questa gamba!” ha detto. “La nostra sabbia ha un effetto curativo mirabolante, perché contiene una buona percentuale di oro.”

“Non dirlo in giro” ho detto, ridendo.

“Ma io l’ho scritto in un libro sulla storia della nostra zona” ha detto.

“Quei libri non li legge nessuno, Shezo” ho detto. “Ne ho pubblicati di libri e ti posso assicurare che conosco personalmente tutti i miei lettori.”

Non l’ha presa bene. Ma è rimasto zitto solo per poco – una decina di chilometri. Ha visto qualcosa nello specchietto e si è fermato. Ha abbassato il finestrino, chiamando un ragazzo seduto sull’uscio di casa. Il ragazzo ci è venuto incontro con quattro limoni in mano. Shezo ha pagato. Poi ne ha strofinato uno sulla camicia e gli ha dato un grosso morso, continuando a mangiare buccia e polpa insieme. Schizzi mi hanno raggiunto. Ci ha offerto a noi gli altri limoni ed è ripartito.

“Non riesco a mangiarlo così” ha detto mia figlia, con il suo albanese incerto.

“Se rimani ancora qua con noi, imparerai, stella, imparerai” ha detto Shezo. “Dottore, vuole guidare lei?”

“Per carità, non siamo abituati a guidare qui” ha detto mia moglie. “Sorvolano un po’ troppo sulle regole qui, Shezo, non crede? Per esempio, c’è qualcuno che mette la freccia per il sorpasso?”

“Non credo” ha detto Shezo. “Mantengono la loro privacy, ecco.”

Dopo la fermata alla Sorgente dell’Occhio Blu abbiamo iniziato la salita del Passo di Muzina. Il traffico era poco. Ho comunque visto due cani e un coniglio morti. Speravo mia figlia non li vedesse e, mentre la osservavo dallo specchietto, nulla mi faceva pensare il contrario. Gli adolescenti sono insondabili. Il coniglio era così spiaccicato che, in pratica, l’ho riconosciuto solo dalle orecchie. Un’altra giornata e di lui sarebbe rimasto soltanto una macchia grigia, estesa.

Iniziò una pioggerellina senza vento. I granelli di polvere non ci scricchiolavano più tra i denti. Io respiravo l’aria fresca e non avevo voglia di parlare. Shezo lasciava cadere la cenere della sigaretta sulla camicia.

“Posso portarvi in macchina fin su al castello. Ho un ombrello nel bagagliaio” ci ha detto.

Sembrava che il verde, sofferente per la calura, si stesse ravvivando, mentre ai lati della strada la polvere veniva lavata dal fogliame. A volte, in mezzo agli arbusti spuntavano come dinosauri gli scheletri di macchine bruciate.

“Non capisco, come sono finite lì?” ho detto.

“Son sempre state lì” ha detto Shezo. “Il guardrail ha solo due anni. E chi li toglie? I morti? Importiamo spazzatura, dottore! Non a caso abbiamo il deputato che sa solo blaterare, il generale che non sa combattere, il prete che non crede, la femmina che, con rispetto parlando…” – qui Shezo si trattenne – “l’Europa che ci prende per il culo, e la spigola che è inquinata, e l’operaio che non bada a regole, e il contadino che ruba, e il…” una tosse gli interrompe la filippica. “Eh, un uomo come Lui non nasce più da donna, no!”

Abbiamo fatto finta di niente. Forse irritato dalla nostra (non) reazione ha accelerato.

Alla fine del primo tornante per andare ad Argirocastro c’è uno spiazzo dove la strada si allarga fino a una pompa di benzina. Su quel versante sono rimasti sei o sette alberi rachitici, le ultime reliquie del boschetto che una volta copriva il posto. Ero girato all’indietro e stavo parlando quando ho avvertito Shezo trasmettere una tensione. Nello stesso istante mia moglie ha urlato. Mi sono voltato e ho visto un’ombra bianca, una specie di macchia avvicinarsi pericolosamente, o forse, meglio, eravamo noi ad avvicinarsi alla macchia bianca. Shezo sterzò con forza e tirò il freno a mano. La gamba destra non gli bastava. La macchina fu sballottata; si è sentito lo scricchiolare di ruote che rimbalzavano sull’asfalto bagnato e una specie di stridio dal motore. La Mercedes è scivolata un paio di metri, come sul ghiaccio e, alla fine, si è fermata di traverso, a una spanna dalla pompa. Io ho urtato lo zigomo destro all’angolo della portiera. Con il piede sinistro sulla frizione Shezo era pure riuscito a mantenere il motore acceso.

Papà, stai bene?” Mia figlia non ebbe tempo di fare il consueto shift linguistico e parlò in italiano.

Shezo iniziò a bestemmiare.

“State dentro” ho gridato alle donne e, in due, siamo saltati fuori.

L’ho visto bene soltanto quando gli fui vicino. Nello stesso istante, sul pendio di fronte a noi abbiamo notato due tipi. A quanto pare prima stavano seduti sui tronchi tagliati. Il primo aveva sì e no vent’anni, una faccia schiacciata e una maglietta con il logo del marchio di carburanti. L’altro, che seguiva, aveva la pancia che gli sobbalzava nella direzione opposta al piede che metteva per terra. Vestiva una T-shirt gialla e stringeva in mano una lattina di birra. Il puledro bianco stava sdraiato in mezzo alla strada.

“L’albino di Miço!” ha gridato Faccia-schiacciata.

“Che c’è? Che c’è?” ha gridato l’altro e, forse per la troppa foga nel dire la “e”, ha emesso un rutto.

“Per poco lo mettevamo sotto, noi!” disse Shezo.

“Chi è stato?” ha detto Faccia-schiacciata e ha girato la testa come per cercare qualcuno.

“Non so mica? Voi, dov’eravate?” ha detto Shezo.

“Stavamo bevendo una birra, caro… Che c’è?” ha detto Rutto.

Il puledro, come se intuisse che stavamo parlando di lui, tentò di alzarsi. Le zampe posteriori lo mollarono; quelle anteriori rimasero ritte solo un attimo. S’inginocchiò e cadde su di un fianco.

“Il signore è medico. In Italia” ha detto Shezo, indicandomi.

Forse per rispetto, Rutto ha ruttato.

Vicino al puledro ho appoggiato il ginocchio per terra. Gli ho toccato il muso sudato. Con la guancia sull’asfalto, mi ha guardato con l’occhio sinistro grande, umano.

Sto male!

La parte superiore del torace era schiacciata. E aveva un buco. Il polmone usciva dal buco. In bocca aveva schiuma giallastra.

“È spacciato” ho detto. “Ma non sono un veterinario.”

Non lasciarmi così!

“In questi casi serve l’eutanasia” ho detto.

Rutto si è avvicinato con la mano aperta intorno all’orecchio.

“Che vuol dire?”

“Vuol dire che, per non farlo soffrire, dobbiamo porre fine ai suoi giorni in maniera umana” ho detto.

“Hm!” ha fatto Rutto.

“E il proprietario?” ha balbettato Shezo.

“Lo conosciamo noi Miço” ha detto Faccia-schiacciata.

“Hm!” ha fatto ancora Rutto. “In maniera umana…” ha ripetuto. “Non c’è problema, caro!”

È successo in pochi secondi. È sembrato che Rutto stava per grattare il fondoschiena, perché ha infilato la mano dietro alla T-shirt. Da lì Rutto ha tirato fuori la pistola, nera, e lo ha puntato sulla fronte del puledro. Ha sparato. La testa del puledro ha sussultato sull’asfalto, poi si è posata, piano. Gli occhi gli sono rimasti aperti. Non ho fiatato.

“Tutto a posto, dottore?” ha detto Rutto (e ha ruttato).

Ho detto:

“Tutto a posto!”

Mi sono girato, con un’ultima speranza. Ma mia figlia aveva abbassato il finestrino e ci stava guardando.

Siamo partiti per Argirocastro.

 

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Rossi-Landi: programmazione sociale e poesia

di Andrea Inglese
Ciò che oggi cerchiamo di definire come il campo della poesia “di ricerca”, è un tipo di lavoro linguistico, interno al programma moderno della poesia, ma che opera simultaneamente su almeno due fronti: quello degli automatismi linguistici del discorso ordinario e quello degli automatismi linguistici insiti nella tradizione del genere letterario a cui fa riferimento.

“La zona d’interesse.” Un paio di cose che ho visto.

di Daniela Mazzoli
La prima cosa che ho visto è stato un mucchietto di persone che usciva dalla sala con gli occhi sbarrati e le teste infastidite dal rumore che si sentiva forte anche da fuori. Come se fossero state costrette a uscire per via del frastuono assordante.

Respirare e basta

di Marielle Macé
Questo libro viene da lontano, da un lungo passato nella respirazione. Viene dai paesaggi avvelenati della mia nascita, da una familiarità con patologie respiratorie che da molto tempo colpiscono certe professioni, certi paesi, certe classi sociali...

Si levano i morti

di Massimo Parizzi
Ma, oltre a contadini, fra i protagonisti di questo romanzo si trovano ragazzini che vanno “a garzone”, scolari e scolare, studenti e studentesse, boscaioli portati via per renitenza alla leva da uomini “con il moschetto”, donne in rivolta contro i “birri”. E, in diversi momenti, a prendere la parola è l’autore stesso: a volte autobiograficamente (...); altre per ragionare di verità e libertà (...).

Da “Tok”

  di Gabriele Belletti . tok tok tok tok tok ...

“Il ritorno di Hartz” di Osvaldo Lamborghini

di Osvaldo Lamborghini
A cura di Massimo Rizzante. "Bussano alla porta, spero / Sia il medico il visitatore inatteso. / L’ospedale come il fiore allettante dell’avvenire. (...)"
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: