“La zona d’interesse.” Un paio di cose che ho visto.

di Daniela Mazzoli

La prima cosa che ho visto è stato un mucchietto di persone che usciva dalla sala con gli occhi sbarrati e le teste infastidite dal rumore che si sentiva forte anche da fuori. Come se fossero state costrette a uscire per via del frastuono assordante. Ho avuto paura ma mi sono fatta coraggio. Sapevo almeno come sarebbe finita.

Il film è pieno di paesaggio. Inizia anche con un paesaggio. Un fiume, un prato che declina, alberi, lo schermo pieno di verde, foglie, e una famiglia in gita con cestini di cibo e bambini al seguito. E anche durante il resto del tempo ci sono fiori che sbocciano, fiori messi a disposizione della mano di un neonato, fiori che non si possono tagliare indiscriminatamente, a meno di una severa punizione, perché rappresentano il ‘decoro’ della piccola comunità che vive intorno e dentro il campo di concentramento. Il comandante Höss si preoccupa di emettere un ordine in proposito alla raccolta feroce dei lillà dai cespugli.

La natura è lì che migliora la vita di chi abita la grande casa al di qua del muro. Una natura addomesticata certo, un giardino con un piccolo orto che fornisce alla famiglia un po’ di svago e anche del nutrimento: i bambini vanno pazzi per certi ortaggi. Ci sono voluti tre anni per trasformare una fredda e anonima costruzione di cemento in una casa. La casa è stata ricostruita veramente, tra l’altro. E non ci sono state troupe a girarci dentro: le telecamere erano disposte nelle stanze, collegate e gestite da remoto. Così gli attori hanno potuto vivere tra quelle pareti perdendo il senso della recitazione, dell’essere sul set di un dramma.

Eppure il grigiore non se ne va. La fotografia del film ha i toni lividi di certi classici hitchcockiani: Nodo alla gola, Gli uccelli. Ed è una luce che non cambia, come se il giorno avesse sempre la stessa ora, la stessa inclinazione dell’asse terrestre, in un eterno mezzogiorno di sole invernale. È una luce che descrive e illumina esistenze immobili, che nonostante il passare del tempo e delle stagioni non possono cambiare.

La seconda cosa che ho visto è stato un mucchietto di prigionieri, di età diverse, con compiti diversi e condannati a una morte quotidiana, lenta, inesorabile. Ci sono le ciminiere al di là del muro, i rumori alti e continui, che non smettono chiudendo le tende o le finestre, e nemmeno bevendo fino allo svenimento. Non smettono nemmeno andandosene via, come fa la madre della padrona di casa, che gioisce di primo acchito per la fortuna capitata a sua figlia, diventata finalmente una moglie borghese con grandi spazi da amministrare e servitù, ma poi non riesce a sostenere il suono di quel dolore oltre il muro. E se ne va senza salutare, avendo però rimesso in ordine perfetto la stanza, di nuovo tornata morta come solo certi ‘ordini’ possono rendere cose e persone.

Non è un suono umano quello che accompagna le loro giornate, però è prodotto dagli uomini. “E li gettarono nella fornace del fuoco. Lì sarà pianto e stridore di denti”. Questo è l’inferno descritto nel vangelo di Matteo, e l’inferno ma senza colpa viene anche qui rappresentato, prima di vedere e senza mai vedere che cosa ci sia al di là del muro, attraverso il rumore del male.

Quando il comandante chiude ogni sera ogni luce, ogni porta, controlla che nessuno possa entrare, si chiude dentro, è evidente che i carcerieri sono sempre anch’essi prigionieri, che in una storia dove non c’è evoluzione del personaggio tutto è fermo, e sempre identico, come il male. Restano prigionieri i figli i cui giochi sono contenuti, sorvegliati, le cui notti sono inquiete, come certi volti di bambole. Resta prigioniera la moglie, che da quel ‘paradiso’ non vuole andarsene, e che per sopportarlo meglio, quel paradiso, sogna di tornare alle terme italiane, dove una volta ha conosciuto persone simpatiche.

Non succede niente in questa famiglia, e infatti non si fanno domande: si lavora, si mandano i bambini a scuola, si prepara la cena, si scaccia il cane dalla tavola, si aspetta il padre che torni, si fa carriera. Il comandante ringrazia i superiori della ‘fiducia’ che gli hanno riservato, si industria per meritarla, per fare sempre meglio, ottimizzare l’efficienza del campo, essere l’insostituibile. Allora, diversamente da quando sono entrata, ho avuto un po’ più paura e un po’ meno coraggio, e uscendo dalla sala mi è venuto il sospetto di coltivare anch’io qualche giardino, ignorando il cielo pieno di cenere. Di aspirare alle terme, di dover spegnere le luci ogni sera facendo almeno un giro di chiave.

Print Friendly, PDF & Email

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

Il cassetto segreto. Conversazione con Costanza Quatriglio

di Daniela Mazzoli 10.000 volumi, 167 periodici, 827 tra fascicoli, cartelle, raccoglitori, buste contenenti articoli, manoscritti, carteggi, fotografie. 12 scatole...

Vigilanza nera, ascolto bianco. Considerazioni critiche sull’antirazzismo europeo

Andrea Inglese
Guardare la storia della tratta atlantica e del colonialismo europeo da vicino non è più facile nel secondo decennio del XXI secolo che nell’ultimo del XX secolo. L’oblio, l’ignoranza, la semplificazione sono innanzitutto dei meccanismi di protezione. C’è una storia di sofferenze e di crudeltà estreme, di disumanizzazioni e disumanità inconcepibili, che vorremmo tagliare fuori dalla nostra identità collettiva di europei bianchi.

Tech house e pulsione di morte

di Lorenzo Graziani
Che la quota di oscurità nella popular music – ascoltata in solitudine o ballata in compagnia – sia in costante crescita è un fenomeno sotto gli occhi di tutti. E non serve lambiccarsi troppo il cervello per notare la connessione con il ripiegamento nichilista che ha segnato la storia della controcultura...

Da “Elogio della passione”

di Carlotta Clerici
Avanzavo tranquilla nell’acqua nera e spessa che ogni mio movimento trasformava in schiuma iridescente sotto i raggi della luna piena. Dieci, quindici minuti, mezz’ora… Le forze scemavano, ma ero fiduciosa, sapevo di poterne ancora attingere dentro di me.

Kwibuka. Ricordare il genocidio dei Tutsi.

di Andrea Inglese
Ieri, 7 aprile, si è tenuta a Kigali la trentesima commemorazione dell’ultimo genocidio del XX secolo, quello perpetrato tra il 7 aprile e il 4 giugno del 1994 da parte del governo di estremisti Hutu contro la popolazione Tutsi e gli oppositori politici Hutu.

Sulla singolarità. Da “La grammatica della letteratura”

di Florent Coste
Traduzione di Michele Zaffarano. I poeti, così drasticamente minoritari, così lontani e così persi nelle periferie di questo mondo, come si collocano, i poeti? Contribuiscono con forza raddoppiata al regime della singolarità o, al contrario, operano una sottrazione basata sulla riflessione e resistono?
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: