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Altri animali

di Giorgio Baiocco

In città nevica polline. Fiocchi incerti risalgono in piccoli vortici appena prima di toccare la strada. Sembra impossibile che obbediscano alla stessa legge che regola la caduta di tutti i corpi. Gaia, di ritorno dal lavoro, segue un percorso altrettanto indeterminato. La fermata e il portone di casa distano appena cento metri in linea retta, ma lei non ha voglia di rientrare. Da un po’ di tempo è mossa da uno strano istinto. Una sensazione simile a quella di una creatura che le si agita in grembo – almeno stando ai racconti delle sue tante amiche che hanno già avuto gravidanze. Le succede ogni primavera. Si sente ancora addosso l’odore di McDonald’s della scimmia in completo da ufficio seduta accanto a lei in metro. Sguardo fisso sulla schermata di Zoom del cellulare, riunione e cena in corso. In passato, i suoi nonni le avevano raccontato spesso del loro viaggio di nozze a Saint Kitts, nei Caraibi. Delle scimmie sempre ubriache, diventate dipendenti dall’alcool a furia di rubare cocktail ai turisti. E di come, quando cinquant’anni dopo avevano deciso di tornare nello stesso resort per festeggiare il loro anniversario, avevano trovato proprio una scimmia ad accoglierli alla reception. A sentir loro, il mondo era cambiato in fretta. Per Gaia, invece, è sempre stato normale vedere scimmie sfruttate in azienda – una vita di lavoro, alcool, sigarette, cibo spazzatura, gocce per dormire – molto più facile che andare in cerca di piña colada in spiaggia, o peggio ancora di banane.

La strada verso casa si apre su uno spiazzo verde. A Milano esistono ancora degli angoli di natura – era stato il commento entusiasta dell’agente immobiliare che gliel’aveva affittata al suo arrivo in città, e Gaia aveva annuito, sorridendo, lei che si stava trasferendo lì proprio per studiare la Natura all’università. All’epoca nessuno avrebbe potuto prevedere una stagione di ondate migratorie così intense. Il suo quartiere è sempre stato popolato da una fauna variegata, ed era lì che si ammassavano tutti i nuovi arrivi, stazionando giorni, settimane. Ma in particolare nell’ultimo anno, quel verde natura, e ogni altro spazio aperto in città, sono diventati bivacchi perenni di numerosissimi nuovi animali, scuri e diversi. Articoli di giornale, comitati di quartiere, l’allerta è massima, ma le oasi d’accoglienza straripano e il Comune non riesce a far fronte al fenomeno. La gallina del piano terra non si dà pace. L’ha incontrata stamattina – “Una volta era un lusso avere quest’angolo davanti casa, guardi ora signorina, guardi, che schifo!” – e Gaia ha annuito, sorridendo: “Se ne andranno, vedrà, è solo questione di tempo, la maggior parte non vuole restare ma proseguire verso il nord Europa, lo dicono anche al tg”. Non si è neanche tolta gli occhiali da sole. Aveva dormito malissimo, fortuna almeno che era riuscita a farlo uscire di casa presto, con una scusa, e che quella ficcanaso della vicina non li ha visti insieme. Anche con lui, ieri sera, aveva annuito e sorriso a quel – Ti è piaciuto? – detto con tutta la tenerezza a cui può lasciare spazio una dieta di integratori proteici. Al risveglio, si era resa conto di avere addosso la sua chela posticcia, rossa e grossa. Sapeva che ad alcuni granchi tropicali poteva succedere, che potevano perdere la chela in combattimento e farsene crescere una nuova, più debole e meno mobile, ma a prima vista indistinguibile dall’originale. Con la nuova imparavano ad ingannare, continuavano a minacciare i propri pari e attrarre le femmine per l’accoppiamento. Ma era la prima volta che le capitava di scoprirlo a letto. Gaia frequentava esemplari di ogni specie, esplorando l’infinita varietà zoologica delle app di dating. Eppure, nessun incontro la rendeva felice. Molti maschi erano capaci soltanto di chiedere attenzione, prendere il meglio degli altri, a proprio uso e consumo, senza sforzarsi di dare nulla in cambio. Come l’ultimo gatto con cui era uscita per un po’. Sempre inarrivabile, con l’aria insoddisfatta di chi vuol farsi cercare, pur mantenendo le distanze. Pronto a passare lievemente su tutto, soffiare e graffiare in caso di contatto troppo intimo e ravvicinato. Altri invece erano così insicuri, fragili – tutti, in fondo, erano drammaticamente bisognosi di conferme – Signorina, mi stanno bene questi pantaloni? –. Almeno in università, dove aveva prima studiato e poi lavorato a lungo, nessuno si preoccupava dei vestiti. Ormai annuiva e sorrideva sempre, Gaia, perché di no ne aveva detti troppi, e di certo non l’avevano aiutata a far carriera. Dopo la laurea, il dottorato, anni di post-doc, borse e contratti precari, era stato un cane – il protetto del Professore – a vincere il concorso da ricercatore al posto suo. A detta di tutti il cane era molto meno titolato di lei, ma più accomodante, più servile, e il sistema l’aveva premiato esattamente per questo. La Natura originaria, quella a cui Gaia aveva dedicato tutti i suoi studi, funzionava diversamente – premiava la capacità di adattamento, certo, ma sceglieva, selezionava, anche in base alla forza, all’unicità. Se il mondo fosse stato ancora così, Gaia avrebbe potuto avere tutto – lei che era forte, intelligente e bella. Ma la Natura in sé e per sé non esisteva più, se non come una lontana materia accademica. Non si era guadagnata il posto in università, se n’era andata minacciando di fare ricorso e chiudendosi ogni porta alle spalle, ed era finita a fare la commessa in un negozio d’abbigliamento.

Le succede ogni primavera, ma quest’anno la visione dei nuovi animali scuri di fronte a casa non fa che aumentare la sua irrequietezza. La fatica compiuta per arrivare fino a là sembra aver scavato i loro corpi, come l’acqua lenta modella la roccia, lasciando muscoli e nervi emergere decisi e orgogliosi. Di quegli animali, sembra rimasto soltanto l’essenziale. Gaia è ormai arrivata. Nota subito un nuovo cartello – Si prega di fare la MASSIMA ATTENZIONE e accertarsi che il portone non rimanga MAI APERTO che tradisce la psicosi maiuscola, da assedio dilagante – non è sempre così che hanno inizio i conflitti? Nella sua tesi di dottorato, che le era valsa grandi lodi e la pubblicazione su un’importante rivista di studi sulla Natura, Gaia aveva tentato di ricostruire da materiale d’archivio l’origine e le dinamiche dei comportamenti violenti tra consimili, prima che gli animali si mescolassero agli umani. Gli scimpanzé erano stati il caso di studio principale. Le sue ricerche avevano dimostrato che sin dall’inizio gli scimpanzé, anche quando vivevano isolati, si ammazzavano tra loro: aggressioni di gruppo, ma sempre e solo ai danni di esemplari maschi adulti. Eliminare un maschio, in fondo, era un modo per avere di più. Da diversi decenni ormai in città abitava ogni sorta di animale, e ora che le migrazioni diventavano sempre più di massa, le cose non potevano che peggiorare. Gaia apre lentamente il portone, si affaccia appena nell’androne del condominio, e subito fa per ritrarsi – eccoli lì riuniti, ecco il comitato anti-degrado – galline, maiali, pecore, cani, vacche – poveri illusi, come se riunirsi al sicuro, prendere decisioni in ridicole stanze del potere, potesse davvero servire a qualcosa, quando fuori tutto è in continua evoluzione. “Ma lo sapete che ieri hanno importunato la maialina del quinto piano, quella che abita nella scala A!”, “Ma quella è una ragazzina, va ancora a scuola!”, “Mi fanno schifo!” – è tutto quello che riesce a sentire, prima di allontanarsi. La prima reazione di Gaia è quella di non riuscire a crederci, neanche un po’. Non tanto per l’età – quell’adolescente viziata è una stupida scrofa con tanto di unghie finte, trucco e vestitini volgari per uscire la sera con le amiche.  È vero che tra i nuovi animali sembra che ci siano solo maschi – saranno partiti da soli, in avanscoperta? Le femmine li raggiungeranno una volta cresciuti i cuccioli? O saranno partiti insieme, e solo loro sono sopravvissuti al viaggio? Ma se davvero vogliono accoppiarsi di nuovo, dovrebbero ambire a qualcosa di più di quella scrofetta. Diversi zoologi da talk show, invitati a parlare dell’emergenza migratoria, sostengono la teoria di un salto evolutivo. Pur mantenendo tutti i tratti somatici di animali di terra, sembra che i nuovi arrivati abbiano sviluppato un sistema di branchie per sopravvivere ai viaggi via mare. Troppo a lungo il Mediterraneo, con i suoi pesci e altri animali marini, si è cibato dei loro cadaveri. Ma le frontiere chiuse non fermano la Natura. Gaia, ogni sera alla stessa ora, è di ritorno verso casa dal negozio – la regolarità, in fondo, è una delle poche cose che ama della sua vita da commessa: niente scadenze da rispettare, bandi per finanziamenti, conferenze e lezioni da preparare di notte. Non è stata forse la Natura stessa ad aver inventato per prima i giorni che si ripetono calmi e tutti uguali, non è forse Lei la grande madre di ogni routine? Gaia, ogni sera alla stessa ora, è tentata dall’avvicinarsi un po’ di più ai nuovi animali. Non è stata forse la Natura stessa ad aver superato ogni grado di separazione con l’uomo? Con il capannello dei vicini riuniti nell’androne non può certamente rientrare a casa – non ha voglia di salutare, farsi largo sentendo i loro sguardi addosso. Allora si allontana, a passo rapido dal portone. Presa da mille pensieri, non guarda dove sta andando e finisce dritta addosso a uno di loro, perde l’equilibrio e quasi cade. L’animale la afferra – la mano chiara di Gaia si aggrappa e affonda sul suo dorso scuro e tonico. La sua zampa callosa la tiene in piedi, all’altezza del seno. Gaia chiude e riapre gli occhi in un momento – sente un odore ispido, è il fiato dell’animale, che sa di cibo vero. Un fotogramma del suo collo: eccole, sotto il pelo corto – le ha immaginate a lungo e finalmente le vede – un’infilata di piccole fessure, ipnotiche come un graffio su tela, vive, umide e socchiuse a promettere rivincita. Per un istante, ha voglia di avvicinarsi col volto, con la bocca. Ha voglia di leccare le sue branchie. Scossa da un fremito, Gaia si ricompone e si allontana in fretta, quasi scappa – portano malattie, dicono – mentre l’animale la segue con lo sguardo vivace, sembra preoccupato di averla spaventata, ma bloccato, incapace di comunicare. Chissà se qualcuno è stato testimone della scena. Le succede ogni primavera, ma non ci mette molto a capire che quello scontro ha già cambiato tutto. Anni passati a studiare la Natura sui libri, per capire e per sapere, per conoscere le regole del gioco, ed ora che non ci sono più argini, ora che la Natura è ovunque, ora che gli animali sono ovunque, è lei stessa, nel bel mezzo della città, ad essere preda della pulsione più primordiale, dell’unica che davvero conta: sopravviversi. Il calore che sente tra le gambe è un segnale, quello che si agita nel suo grembo è un vuoto che va colmato. Vuole accoppiarsi, e vuole un figlio, forte, intelligente e bello come lei, ma diverso. Un figlio che non si stancherà, che non imparerà ad annuire sorridendo, che avrà se necessario la forza di attraversare deserti e mari. In questo mondo ormai così misto, questi nuovi animali sono il vantaggio in partenza di cui ha bisogno – fuori dalla probabilità di match nel Tinder zoo, fuori da ogni canone dell’esemplare maschio medio di città, viziato al punto da aver perso di vista il valore stesso dell’essere in vita, viziato al punto da rischiare l’estinzione.

Gaia interrompe la sua fuga. Quella stessa primavera, Natura permettendo, inizierà un’attesa di nove mesi, poi crescerà e difenderà il suo cucciolo, con le unghie e con i denti – grazie a lui, è sicura che continuerà ad esserci, ancora a lungo. Di nuovo, cambia direzione all’improvviso, come un fiocco di polline, che decide all’ultimo di non toccare terra – soltanto a prima vista, una piccola disobbedienza alla legge di gravità. Stavolta, punta decisa verso lo spiazzo verde davanti a casa, verso il bivacco dei nuovi animali scuri.

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Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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