Scoprire, conquistare, raccontare le Indie. Intervista a Emanuele Canzaniello

 

di Pasquale Palmieri

“La scoperta delle Americhe è stata l’evento più simile a quello che potrà essere l’arrivo umano su altri pianeti. La cosa più simile, tra quelle già avvenute, alla scoperta di forme di vita organiche fuori dalla Terra che forse avverrà nel futuro. […] Riti, pratiche e dèi smisero di avere senso per le civiltà che crollarono; gente venuta dal mare, in una sincronia sbalorditiva con le loro profezie, mise fine a un’era cosmica, niente di più, niente di meno. Quella gente d’acciaio e cavalli, se non era divina, veniva a dimostrare di aver vinto in nome di un nuovo Dio, sancendo la sconfitta degli antichi dèi. Tutto mutò”. Queste frasi, tanto eloquenti quanto suggestive, ci aiutano a entrare nei primi capitoli del Breviario delle Indie di Emanuele Canzaniello appena uscito per Wojtek: un diario di bordo del lungo viaggio degli europei verso le Americhe, ma anche un racconto volutamente rapsodico, che insegue le tracce di un passato sfuggente, combinando fughe oniriche e lucidi desideri di ricerca del “reale” (o di ciò che riusciamo ad accettare come tale).
Emanuele Canzaniello è poeta, saggista, esperto di teoria e critica letteraria, autore di Per l’odio che vi porto (Oedipus 2017), I migliori film mai girati (Oedipus 2019, una raccolta di recensioni a pellicole immaginarie), In principio era la paura (PeQuod, 2023).
Abbiamo discusso insieme del Breviario.

“Non sapremo mai dire quali e quanti paradisi siano discesi da quei primi contatti, da quelle prime acque, dolci e salate mescolate insieme. Non sapremo calcolare quale immane sommovimento di forze la ricchezza benefica di quelle terre evocò. […] Non abbiamo più il giornale di bordo di Colombo, non nella sua prima versione, che è andata perduta. Come sia stato possibile è difficile, come tutto in questa storia, anche solo da immaginare, o forse è solo da immaginare”. In queste frasi mi sembra si possa scorgere il sottofondo emotivo del tuo Breviario, costruito sull’incertezza, sull’ostinazione della ricerca, sul desiderio di capire. Quando hai cominciato a comporlo? E, anche se può apparire banale chiedertelo, perché hai pensato di doverlo fare?

Credo di aver iniziato tre anni fa, o tre estati fa, come lo registra la memoria. Non sempre e non senza fatica riesco a precisare. Ma il momento lo ricordo con un’altra precisione. Era estate, la presenza del mare ha inciso. Il debito contratto con tutte le estati, e con le sensazioni e le storie che dovevo al mare, si è concentrato nel primo nucleo del Breviario. Il legame con le storie e con lo stupore per l’America, i viaggi di Colombo, sono ed erano un debito già presente e potente, quasi uno stimolo confuso con i ricordi dell’infanzia. Poi è arrivata un’occasione casuale, e iniziale, un insieme di letture giornalistiche banali, nel momento giusto.

“Il mondo, le storie, sono opera del fraintendimento, quanto e più che dell’inganno, come gli amori. I nomi delle piante, le piante stesse, il fogliame, le foglie individue, le venature senza nome della foglia unica, anche sfuggendo ai nomi delle cose, sono fraintendimenti della natura. […] Il coraggio e la scoperta vengono partorite dall’illusione”. Nel tuo libro emerge con forza il carattere fortuito, imprevedibile, sghembo dell’incontro/scontro con l’ignoto.

Sì. Credo che il Breviario sia un palinsesto di strati, formalmente e narrativamente, che vuole dare conto, per analogia, di quanto la conoscenza sia un accesso sempre incompiuto a strati ed esegesi possibili che tendono all’infinito. Ogni oggetto, ogni dato di quello che chiamiamo reale offre una necessità di interpretazione infinita che non può esaurirlo. Questo è uno degli sfondi del libro, che conduce alla vertigine e al sogno. Al senso che il reale sia inattingibile. Il racconto delle scoperte muove su questo sfondo. Da qui anche la natura essenziale del nostro fraintendere e conoscere attraverso l’illusione, che ha operato anche nelle grandi esplorazioni.  Si pensi anche solo al minuto errore di traduzione e di calcolo delle miglia marine, da un testo arabo, che è stato alla base delle valutazioni nautiche e operative di Colombo.

Nathan Wachtel, Tzvetan Todorov, David Abulafia, Massimo Livi Bacci, Glenn J. Ames, ma anche Yuval Noah Harari, Jared Diamond. Mi pare di aver colto echi delle loro opere saggistiche nelle tue pagine. Puoi farci entrare, almeno un po’, nel tuo laboratorio e farci capire quali bussole hai usato per muoverti nella storia della scoperta e della conquista delle “Indie”?

Volevo che il Breviario fosse un rifacimento, un rievocare le pagine dei primi diari di viaggio, delle prime lettere dai luoghi delle scoperte, dalle prime “Cronache” o “Storie delle Indie”, da cui anche il titolo, che è una Breve storia delle Indie condensata in Breviario, per frammenti e come per brani di preghiera, con influenze sull’idea di una prosa breve, ritmata, con un desiderio segreto di eufonia sapienziale il cui fantasma remoto è forse il versetto biblico, il ricordo di una poesia antichissima. Ma dall’altra il Breviario è anche, e volevo che fosse, un diario di bordo delle mie letture o delle letture che chiunque dovrebbe fare oggi – allo stadio delle nostre conoscenze attuali – per avvicinarsi e fare i conti con la mole di dati da affrontare per crearsi una mappa di un evento simile. Questo diario di bordo non sarebbe stato un nuovo saggio, ma avrebbe recato in sé le tracce dello sforzo di indagine, di lettura di quell’altro viaggio, quello attraverso le carte, i libri. E quindi sì Todorov su tutti, ma anche Abulafia, Bacci, Diamond per l’idea che quella scoperta mondiale si sia saldata alla nostra visione e riscoperta della preistoria, della prima premessa agli scenari aperti dopo.

“Nulla ci darà la vista dei cavalli, il terrore di vederne la forma, l’esistenza e il movimento, come di una mancata preistoria con i suoi lunghi terrori che venga a chiedere l’ultimo tributo. […] Il reale è cancellazione su cancellazione, palinsesto perduto su palinsesti perduti”. Fare i conti con le fonti storiche significa anche perdersi in un groviglio di silenzi insormontabili. Le tracce che ci guidano nel passato vengono meno proprio nel momento in cui avremmo più bisogno di loro. Hai mai provato sconforto di fronte a tutto questo?  

Il Breviario credo sia anche questo sconforto, è un guardare tutto quello che viene perduto, davanti a uno scenario storico enorme. Ma in nuce lo stimolo e lo struggimento per l’immaginazione è questa perdita, la ferita per tutto quello che viene costantemente perduto, e che noi chiamiamo Storia, e reale. Le fonti attestano con ancora più nostalgia la perdita, la scomparsa, l’irricostruibile. Il Breviario è anche un canto, una nostalgia funebre, nel bene e nel male, per quello che viene perduto e possiamo solo immaginare.

“Ogni luogo esige mappe infinite e che non saranno mai esaurite. Ogni luogo consente strati infiniti e che non saranno mai ricostruiti. Ogni luogo ha un aspetto che ne contiene e ne ha contenuti miriadi e non saranno mai più”. Esplorare e dominare il Nuovo Mondo significa anche conoscere i suoi spazi. Stando a un aneddoto molto noto nel mondo dei fumetti, Gianluigi Bonelli non era mai stato negli Stati Uniti quando fece nascere l’universo narrativo che ruotava intorno a Tex Willer: si accontentava di racconti, appunti, disegni, foto, filmati, mappe. Quanti e quali luoghi descritti nel Breviario hai visitato di persona?

Sono assolutamente dalla parte della tradizione che non dà nessun primato all’esperienza diretta, paradossalmente neanche a quella superstizione dello scrittore che si documenta. Per quanto credo che le cose più interessanti, e più tipiche, tra quelle che facciamo oggi, siano storie che facciano i conti con la vertigine del reale, quelle che chiamiamo non-fiction. Il Breviario è in quella zona, fino a voler dare la sensazione che il reale stesso abbia i caratteri della finzione, la più inarrivabile e onirica. Quindi, per rispondere alla tua domanda, ho attraversato sommariamente solo le due coste degli Stati Uniti, nient’altro.

La tua narrazione è accompagnata da numerose citazioni di fonti, che gli specialisti definirebbero “primarie”. Tuttavia quelle stesse fonti appaiono spesso come piccoli frammenti isolati di un discorso che si sviluppa in direzioni molteplici, senza avere alcuna pretesa di organicità. Leggendo il Breviario, ho avuto l’impressione che le armi più efficaci a tua disposizione per muoverti fra le tracce del passato siano l’immaginazione e la capacità di costruire congetture. Nel rendere espliciti i tuoi dubbi e le tue domande, manifesti la tua ansia di verità. È davvero così? Più in generale, quale ruolo può avere uno scrittore di fronte alla parzialità di queste fonti? Cosa può fare lo scrittore di diverso rispetto allo storico e, più in generale, allo studioso o al saggista?

Da un lato il Breviario vive della vertigine dei dati minimi, della pazienza della scienza, della faticosa acquisizione che ci ha offerto la Storia. Vive e omaggia quella moltitudine di notizie, ne fa una sostanza plasmabile che è già narrazione. Una delle cose che credo di aver fatto con questo libro è proprio questa. Volevo che l’aspetto che associamo alla fiction, alla narrazione, usasse quello stesso materiale – idee, prospettive, dati, teorie – che ci offre la scienza storica. Non c’è uno scontro o un movimento tra personaggi. Si muovono e si scontrano idee storiche maestose che hanno deciso del mondo. Mi sembra che non ci sia conflitto o avventura superiore a questa. Non ero interessato alle avventure o alle piccole idee di individui simulati, che chiamiamo personaggi. Qui si muove il genere umano, i suoi saperi attraverso i millenni, e i gesti che ne sono scaturiti. Quello fa la narrazione. Per fare questo ho immaginato, sì. Ho provato a vedere, a rivivere, a pormi nel gesto e nel sangue di uomini scomparsi e lontani da noi.
L’uso delle fonti, dei testi delle testimonianze dell’epoca rientra in quelle idee di cui ti parlavo. Creare un palinsesto anche formalmente, in cui si alternano e si mescolano le loro voci e la mia, e si annulla la distinzione tra i piani temporali, davanti a un nulla che ci ospita. Nessuna pretesa di organicità in questo palinsesto, brevità delle prose, ricorso al frammento. La tradizione a cui guardavo è quella. Anche nel saggio, per frammenti. L’immaginazione è alimentata dallo struggimento di vedere, rivivere, ricostruire. Anche nell’ansia della verità e anche pensando che la verità sia ontologicamente e storicamente sopravvalutata e inattingibile, come ti dicevo prima, per quell’idea di esegesi infinita.

L’Europa e l’Occidente provano a fare i conti con il proprio passato ormai da decenni. Riemergono i nodi del colonialismo, del neocolonialismo, insieme al trauma epocale dello sterminio dei nativi. Come dialoga il Breviario con questi temi centrali del dibattito pubblico del nostro tempo? 

Era una delle prospettive che alimentava l’inventio del Breviario. Affrontare un orizzonte vastissimo di saperi e scenari passati, che però sono al centro delle ansie e delle colpe e del modo di leggere la Storia del nostro presente. Niente di più plastico che ricorrere all’immagine delle statue abbattute, da quelle di Colombo fino ai ricordi del colonialismo inglese. Il Breviario forse riesce a proporre due atmosfere al lettore: riattraversare i saperi dei secoli, dall’antichità al Cinquecento, alle ansie giuridiche della Spagna e dell’Europa del Rinascimento, a quello che di medievale ancora le attraversava, e nel fare questo suggerire l’idea di una complessità che sfugge alle semplificazioni che operano nel dibattito del presente. E dall’altra impone al lettore di rivivere i termini, i saperi, i numeri di quel massacro, attraverso i dati storici che abbiamo, fino a uno sfaldarsi di ogni rassicurazione, un trasformarsi del testo in un testo che ha echi sadiani. Un’allusione al fatto che Sade si sia inverato retrospettivamente in quello che era già accaduto prima di lui nell’espansione europea mondiale, e insieme un uso di quella che potremmo definire pornografia, del sangue e dello sperma, per guardare ogni strato di quell’esegesi infinita, capire cosa sia stato un genocidio, cosa lo abbia alimentato, reso possibile, nella materia, nei corpi, e nei saperi. Davanti a quella disparità di forze, allo strapotere tecnologico, militare, di conoscenze di una civiltà rispetto alle altre, cosa ha liberato e reso possibile lo scatenamento di energie in quel bagno di sangue? Sade qui è evocato come simbolo dell’Occidente nella sua razionalità divoratrice, e come ispirazione per una tassonomia di tutte le violenze possibili che l’uomo – lontano dallo sguardo della vecchia metafisica – serba in sé, pronte ad emergere. Il Breviario ci costringe a vivere in noi quella crudeltà che è sempre stata pronta ad emergere, che ha reso possibile il massacro avvenuto, perché questo è l’unico attraversamento e l’unico modo di conoscenza che la letteratura ci offre.

 

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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