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Nota sul romanzo gotico

Pubblichiamo alcuni estratti della postfazione di Adriano Ercolani al volume L’amante del diavolo di John William Broad-Innes, in uscita il prossimo 10 febbraio per Venexia Editrice, che ringraziamo.

 

Nota sul romanzo gotico.

Una fuga nell’Inconscio per sfuggire alla gabbia della Ragione

Per la paradossale legge della polarità che governa, con i suoi misteriosi meccanismi dialettici, i grandi movimenti di pensiero che animano incessantemente gli eventi umani, è proprio nel culmine del Secolo dei Lumi che è sorta l’onda oscura della letteratura gotica.

Esattamente nel periodo in cui i cultori della Dea Ragione intendevano spazzare via le superstizioni religiose, creando un nuovo mondo di ordine razionale in grado di dominare tecnologicamente la Natura, emerge per reazione non un mero genere letterario, ma una forma mentis destinata a influenzare tuttora l’immaginario artistico contemporaneo, fondata sugli opposti metafisici dell’Illuminismo e della nascente regolarità borghese dettata dalla incipiente Rivoluzione Industriale; l’oscurità notturna, il terrore per l’Ignoto, il senso del sublime e del Sacro, la stregoneria e i riti oscuri, intrighi, trabocchetti, fantasmi e torture, incesti e vendette, apparizioni sataniche e maledizioni invincibili, vergini perseguitate e possessioni violente, in un crescendo infernale di colpi di scena che conducono i protagonisti verso una redenzione inattesa o un abisso di perdizione.

Il tutto, com’è proverbiale, ambientato, appunto, in un’ambientazione gotica: inquietanti castelli medievali che nascondono misteri innominabili, boschi oscuri che ghermiscono in notti maledette, cimiteri abbandonati che diventano teatro di rituali demoniaci.

Com’è ben noto, il termine “gotico” (coniato a metà Cinquecento dal Vasari in accezione spregiativa per lo stile architettonico del Nord Europa, a suo gusto barbarico e confuso), fu ripreso e lanciato da Horace Walpole nel sottotitolo (“A gothic tale”) alla seconda edizione del romanzo capostipite del genere, il celebre Il Castello di Otranto del 1764: nei luoghi dove poco più di due secoli dopo

Carmelo Bene ambienterà il delirante monologo interiore di Nostra Signora dei

Turchi, il dotto nobile inglese porrà le basi fondanti per il genere.

(…)

Quando abbiamo in mente i castelli medievali sfarzosi, spettrali e minacciosi, pieni di botole, passaggi segreti e stanze delle torture, cristallizzati da decine di film (dalle gemme di genere di Mario Bava al successo internazionale di Harry Potter, in larga parte fondato dall’atmosfera magica di Hogwarts) stiamo, probabilmente, ancora perpetuando un sogno creato dalla mente di Horace Walpole.

E, infatti, è proprio a l’ossessione per l’architettura gotica del suo fondatore che dobbiamo la definizione di questo genere.

Il successo de Il Castello di Otranto ispirerà subito una serie di epigoni, di imitazioni, più o meno riuscite, ma l’evoluzione del romanzo gotico passerà, qualche decennio dopo, per una serata memorabile, uno di quei momenti in cui l’Inconscio Collettivo decide di intervenire direttamente nella storia umana e manifestarsi in una forma limpidamente leggibile.

(…)

Come in una cornice boccaccesca, durante una notte “buia e tempestosa” del giugno 1816 a Villa Diodati, il grande protagonista della stagione romantica, Lord Byron, sta ospitando alcuni amici, non propriamente anonimi: Percy Bysshe Shelley, l’altro grande eroe della poesia romantica, Mary Clairmont (presto sua moglie, dunque destinata a diventare famosa come Mary Shelley), sua sorellastra Claire Clarmont (compagna incinta del celebre padrone di casa) e il medico personale di Byron John Wiliam Polidori. Costretti in casa per il clima severo, quel peculiare gruppo di amici, per vincere la noia, passa il tempo leggendo.

E cosa leggono? Per nostra fortuna, a loro disposizione nella villa trovano Fantasmagoriana, un’antologia tedesca di racconti gotici, e il romanzo Vathek di William Beckford. Dopo ore di lettura, nasce l’idea destinata a cambiare la letteratura moderna.

Una sfida: ognuno dei convitati durante la notte avrebbe scritto un racconto dell’orrore.

In quella notte fatidica, nacquero i due grandi mostruosi protagonisti dell’immaginario horror moderno: Polidori, da uno spunto di Byron, ribattezzato Un frammento o La sepoltura, scriverà Il vampiro (inizialmente attribuito, dopo la pubblicazione nel 1819, proprio al poeta inglese e considerato, per ironia della sorte, da Goethe come una delle sue opere migliori), gettando il seme per il mito letterario di Dracula poi ripreso da Bram Stoker, nell’omonimo romanzo del 1897; soprattutto, Mary Shelley (che, benché, appena diciottenne vantava un patrimonio genetico promettente, essendo figlia della prima pensatrice femminista, Mary Wollenstonecraft, e del politico e filosofo William Godwin) quella notte scriverà Frankenstein ovvero il moderno Prometeo, capolavoro non solo d’intrattenimento, ma dal profetico valore filosofico.

(…)

più che gli infernali paraphernalia, le spose cadaveri, le lune piene, i licantropi, le decapitazioni e gli scheletri nascosti nelle nicchie, questo genere è fecondo perché scova nelle pieghe dell’Inconscio, talvolta con formidabile potenza iconica e sottile discernimento spirituale.

Questo, ad esempio, è il caso di un’opera tremenda quanto indimenticabile, Il Monaco di Matthew Gregory Lewis (1796), un lungo racconto violentemente scandaloso (non a caso ripreso e amato negli anni ‘30 dalle menti incendiarie di Antonin Artaud e André Breton): il crescendo abissale della corruzione interiore, il capovolgimento satanico della virtù (sono gli anni di Sade, che non a caso lo definì “capolavoro gotico”), la santità che diviene vizio e crimine…

(…)

Ecco, questo valore morale (per antifrasi) dei racconti gotici, precisamente da exempla medievali, non va sottovalutato, anzi ne è forse l’ingrediente esoterico più prezioso.

Superficialmente, certo, gli elementi che intrattengono il lettore sono afferenti a quella mescolanza di terrore e meraviglia propria del Sublime, definita da Edmund Burke “delightful horror” (anticipando in qualche modo Rimbaud, Lautréamont e i loro nipotini Surrealisti): lo spavento, la suspense, il disgusto e il raccapriccio e insieme lo stupore verso il fantastico, l’eccitazione dell’esplorazione dell’ignoto.

In questo senso, il romanzo gotico, soprattutto nella sua declinazione di romanzo “nero”, non farà che amplificare un’intuzione romantica, che attraverso queste opere arriverà come un dono sotterraneo ai poeti maledetti e alle avanguardie del Novecento.

(…)

Ma questa non è solo una posa pre-dannunziana: vi è, per le menti più sottili, un occulto insegnamento sapienziale.

(…)

Pensiamo al grande Edgar Allan Poe, il quale ben lungi da essere “solo” il creatore del romanzo “giallo” o il codificatore del romanzo del terrore, sarà tra i grandi ispiratori di Charles Baudelaire, il grande testimone poetico della scissione dualistica tra Spleen e Ideale, tra sensi e spirito; pensiamo a colui il quale ergerà a sistema metafisico rovesciato e blasfemo tutte le suggestioni gotiche, il genio oscuro e beffardo di H.P.Lovecraft, autore molto più colto e consapevole rispetto alle letture spesso facilmente goliardico-adolescenziali dei suoi ammiratori; pensiamo, ad esempio, a Wilkie Collins, autore dalla sapiente eleganza, amato e posto accanto a Dickens per valore, come scrittore di storie di fantasmi, da un campione della fede cattolica come G.K.Chesterton.

E potremmo parlare, come emanazioni dal germe gotico, dei racconti di Ambrose Bierce, di Sheridan Le Fanu, del terribile “licantropo” Petrus Borel, del crudele ed elegante Auguste de Villiers de L’Isle-Adam, ovviamente dei grandissimi Henry James e Robert Louis Stevenson, degli incubi mistici di Léon Bloy, dell’adorato Gustav Meyrink, del fondamentale Arthur Machen, dell’indimenticato Lord Dunsany, all’incanto intatto della prosa di Oscar Wilde, ma vi rimandiamo per approfondire, tra gli altri riferimenti, alla collana La

Biblioteca di Babele curata da un certo Jorge Luis Borges per Franco Maria Ricci.

(…)

John William Brodie-Innes scrive questo romanzo nel cuore dell’espansione magico-teosofica, nel momento in cui le energie telluriche esplodono nel primo, e non ultimo, conflitto mondiale della Storia.

Figura dal fascino peculiare, quella dell’autore: amico e confidente di Darwin, (si dice) maestro esoterico di Dion Fortune, co-fondatore e protagonista dell’Ordine Ermetico della Golden Dawn, prima dell’avvento della Bestia Crowley, da lui avversato in ogni modo, rimase fedele, durante i ben noti dissidi interni, a MacGregor Mathers, assieme a lui fondatore dell’ordine (sposo, tra l’altro, di Moina Mathers, sorella di Henri Bergson), ritratto con tinte crudeli da villain nel celebre racconto crowleyano Moonchild.

In The Devil’s Mistress ritroviamo tutti le caratteristiche dei romanzi gotici fin qui descritte, con l’evidente consapevolezza filologica ed esoterica di chi ha potuto studiare tutto l’arco dello sviluppo narrativo del genere: il richiamo alla “storia vera”, i sensi di colpa di una religione follemente oppressiva che diventano propedeutici alla seduzione demoniaca, l’impossibilità di distinguere il sogno dalla realtà, la sapienza dalla follia, la rivelazione dall’allucinazione, la stregoneria e le apparizione demoniache, i dettagli raccapriccianti e le avventure fantastiche, il peccato e la redenzione, la virtù capovolta e gli incantesimi di protezione, il patto ingannevole col Diavolo e la Misericordia ottenuta attraverso l’espiazione.

In questo caso, però, abbiamo un chiaro vantaggio critico: sappiamo benissimo

che, in questa rilettura fantastica e nera dei racconti folkloristici scozzesi, si

agitano delle “verità segrete esposte in evidenza”, come direbbe Elémire Zolla, grande esperto di letteratura inglese, in uno dei suoi saggi più vertiginosi.

Il messaggio esoterico di Brodie-Innes, fin dai nomi dei personaggi, è ambiguamente veicolato, in un equilibrio ottenuto per contrasti tra le pulsioni più vili dell’essere umano (la lussuria, l’invidia, il desiderio di vendetta e di potere) e gli aneliti più elevati (il sacrificio altruista, la devozione, l’abbandono alla volontà divina).

Leggendo le avventure de L’amante del Diavolo, nelle sue scorribande demoniache nei cortei infernali che fendono i cieli, aggrappata al Gran Nemico, il più fascinoso dei bugiardi e dei reietti, non abbiamo potuto non pensare a una delle scene più suggestive dei grandi romanzi del Novecento, il capolavoro della letteratura russa nell’epoca staliniana: ecco, L’Amante del Diavolo di John William Brodie-Innes è l’anello mancante tra Il Monaco di Lewis e Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. È poeta, scrittore, regista, performer e redattore di «Nazione indiana». Ha co-diretto la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato La consegna delle braci (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli), La specie storta (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano) e il saggio Fossili di rivolta. Immaginazione e rinascita (Tlon Edizioni). Ha preso parte al progetto Civitonia (NERO Editions). Ha curato, per Argolibri, l'inchiesta letteraria La radice dell'inchiostro. La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il vincitore di FONDO 2024 (Santarcangelo Festival), uno dei direttori artistici della festa “I fumi della fornace” e dei curatori del progetto “Edizioni volatili”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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