L’anima delle cose: dalla spada alla bacchetta
di Dario De Pasquale
Dal Furukotofumi agli shōnen, passando attraverso la classe militare dei samurai e ai film di Kurosawa, la spada ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella storia culturale giapponese. Come accade anche nelle culture europee e in quelle del Vicino Oriente, ad un certo punto della sua storia la spada giunge ad un duplice punto di svolta: assurge a simbolo di potere e diventa un’entità dotata di anima. Il momento in cui in Giappone inizia questa “ontogenesi simbolica” è descritto nel Kojiki, opera scritta nei primi anni dell’VIII sec d.C e vede coinvolto Susano-ō, il dio della tempesta della religione shintoista. Esiliato sulla terra per non aver adempiuto al volere del padre, Susano-ō affronta Ya-mata-orochi, un drago dalle otto teste in procinto di divorare la figlia superstite di una coppia di anziani. Il dio, dopo aver ubriacato il mostro, riesce a decapitarlo integralmente. Infierendo sul cadavere ecco che:
mentre tagliava la coda di mezzo del mostro, la spada di Susano-ō si spezzò in due. Incuriosito, Susano-ō usò
la punta della sua spada per squarciare quella grande coda e all’interno di essa trovò la più bella spada che
avesse mai visto: la spada detta Ame-no-mura-kumo che mandò in cielo in dono a sua sorella Amaterasu. 1
La dea del sole Amaterasu divenne così padrona della Spada del Paradiso. In seguito, la dea affidò l’arma, insieme alla gemma e allo specchio in suo possesso 2 , al nipote Ninigi che disceso sulla terra fondò la dinastia degli imperatori. Tutt’oggi i tre sacri tesori vengono donati all’imperatore durante la cerimonia d’insediamento e solo a lui, e a pochissimi sacerdoti, è concessa la possibilità di mirarli.
È curioso notare come sia la divinità, nella fattispecie la divinità femminile, a concedere il potere all’imperatore poiché egli stesso, essendo discendente del nipote di Amaterasu, è un essere in parte divino.
È questo uno dei tanti punti di contatto tra la cultura nipponica e quella europea: l’essere ultraterreno che dona la spada all’eletto. Pensiamo a Durendal, che fu consegnata a Carlo Magno da un messo celeste; a Szczerbiec, la spada del re polacco che, esattamente come Durendal, fu affidata al futuro re da un angelo; o, per restare in ambito asiatico, le leggende vietnamite raccontano della spada magica che Lê Lîi ricevette dagli dei con l’obiettivo gli scacciare gli invasori. L’altro elemento sul quale reputo sia opportuno soffermarsi è relativo alla personalità della katana.
In Giappone la testimonianza che dimostra come la spada venisse intesa come un essere vivente ce la concede la cerimonia della “firma della spada”. Nei mesi di Settembre e di Maggio 3 le lame venivano forgiate presso i templi shintoisti. Qui, i fabbri indossavano abiti sacerdotali bianchi e, nei giorni antecedenti la forgiatura, dovevano aver purificato lo spirito e il corpo pregando presso un santuario e chiedendo la tutela delle divinità. Avendo seguito questi precetti, gli artigiani erano in grado di donare alla spada un’anima attraverso delle invocazioni. Capiamo bene come il fabbro divenga a tutti gli effetti non solo un sacerdote, ma quasi un dio terreno poiché plasma il corpo di un oggetto e concede ad esso un’anima attraverso il verbo, generando un essere vivente a tutti gli effetti. Nel momento della forgiatura, la fucina diveniva un luogo di culto in cui appendere i shimenawa e il cui ingresso veniva vietato agli estranei e alle donne. L’arte della produzione della spada era ed è tutt’oggi una vera e propria cerimonia religiosa e ‹‹il ritmo del martellare è scansione liturgica›› 4
Alimentato anche da questo rituale, il topos della spada dotata di carattere è sfociato sul piano folklorico e leggendario. In Giappone è nota la leggenda di Muramasa, un fabbro vissuto nel periodo Sengoku (1467-1603). Durante la forgiatura di una spada, nel momento di temprare la lama, Muramasa le augurò una grande potenza distruttrice. La preghiera fu accolta dalle divinità le quali liberarono uno spirito di estrema ferocia che s’impadronì dell’arma. Da quel momento essa divenne avida di sangue caldo, richiedeva di esserne imbevuta entro un tempo limite che se superato costringeva il suo possessore al suicidio. Non solo questa, ma tutte le spade forgiate da Muramasa furono in seguito giudicate maledette in quanto artefici della morte di Kiyoyasu e Hirotada, rispettivamente nonno e padre di Tokugawa Ieyasu, shogun dal 1603 al 1605. Oltre a ciò lo stesso Ieyasu fu ferito da una Muramasa e quando suo figlio Nobuyasu fece seppuku, l’arma che pose fine alla sua vita era, ancora una volta, una Muramasa. Le storie relative a queste lame si incrociano con quelle narranti le armi prodotte da colui che viene considerato il più grande fabbro di sempre: Masamune. Una leggenda narra che, a differenza di Muramasa, Masamune aveva invocato gli dei affinché la sua arma divenisse una gran protettrice. I due artigiani s’incontrarono un giorno per stabilire chi fosse il fabbro migliore. Portarono con sé le loro creazioni e le conficcarono nel letto di un fiume. Subito notarono come alcune foglie che vi galleggiavano furono attratte dalla spada di Muramasa e da questa tagliate; al contrario, altre foglie passarono incolumi attorno alla lama di Masamune il quale così si rivolse al rivale: “you behold the superiority of my sword in that it does no wanton damage”. 5
Questo retaggio culturale, che vede l’importanza della spada sia come arma sia come oggetto espositivo e pertanto esteticamente bello, è molto forte e sopravvive nel Giappone odierno. 6
Faccio riferimento non solo alla spada come oggetto sacro e consueto ma, in maniera specifica, all’idea che la spada disponga di un’anima. È una concezione che si è radicata nella cultura giapponese tant’è che negli shōnen e negli anime ne troviamo ampio riferimento. Prendo come esempio due casi che ritengo rilevanti per motivi diversi: il primo è il bellissimo cortometraggio diretto da Osamu Tezuka intitolato Muramase, del 1987. 7 Questa breve opera riprende la leggenda della spada maledetta di Muramase: un uomo trova in un bosco un fantoccio con una spada conficcata nel petto. Recupera l’arma ma una volta divenutone proprietario, intraprende una serie di uccisioni che la spada esige. Di fronte a un bambino però, con estrema fatica, l’uomo trattiene lo spirito dell’arma la quale, bramosa di sangue, pretende ugualmente il suo tributo di morte costringendo l’uomo al suicidio.
Il secondo caso riguarda il manga più venduto della storia, estremamente popolare anche in Occidente. In un capitolo di questa vastissima opera il pirata spadaccino Zoro decide di acquistare una katana che il venditore si rifiuta di cedergli in quanto maledetta. Noncurante dell’avvertimento, il pirata sfida la maledizione lanciando la katana in aria e ponendo il braccio parallelo al terreno,
lungo la traiettoria della lama, ma questa, miracolosamente, non lo ferisce. Lo spadaccino ha così raggiunto il suo intento: dimostrare come la sua ambizione sia superiore alla volontà della spada e di meritarne il possesso.8) Ritengo che fare riferimento ad opere così popolari sia necessario oltreché importante. Il tema della spada in possesso di un’anima, antico più di milletrecento anni 9 , viene riproposto all’interno di un genere “giovanissimo” e popolare come il manga. È la dimostrazione di come fatti, situazioni, personaggi possono diventare topoi, entrare nell’essenza culturale dell’uomo e partendo dal IV sec a.C sopravvivere, innovandosi e duplicandosi, sino al XXI secolo all’interno di opere diversissime tra loro. Da parte dell’autore potrebbe anche non esserci la consapevolezza del riutilizzo di una tematica così antica, tuttavia proprio questa ignoranza ci fa capire quanto radicate siano certe storie, come se queste fossero creature vere e proprie, indipendenti dall’uomo che funge solo da mediatore. Ora, per quanto possa sembrare inappropriato, vorrei fare riferimento ad Harry Potter. Anche nella celebre saga della Rowling viene messo con grande evidenza l’esistenza di oggetti possessori di anima. Pensiamo agli Horcrux, che contengono frammenti dell’anima del loro creatore o, caso ancora più specifico e pertinente, alle bacchette. Le bacchette, come le katane per i samurai 10 , sono armi identitarie, indicano la natura sociale, o in questo caso magica, del possessore. Come nelle leggende che descrivono il carattere delle nippon-tô, anche in Harry Potter vi sono numerosi passi in cui si fa riferimento all’anima della verga. Nel primo libro, il venditore magico Olivander si rivolge ad Harry affermando: ‹‹ […] ma in realtà, è la bacchetta a scegliere il mago, naturalmente›› 11.
La bacchetta ha qui un’identità, è un oggetto che vive poiché dimostra una sua volontà, nello specifico quello di scegliere il proprio possessore. Nel settimo libro il protagonista viene attaccato da Voldemort e proprio quando sta per essere ucciso ecco che ‹‹la sua bacchetta agì di propria iniziativa. [Harry Potter] Si sentì tirare la mano come da un enorme magnete, intravide uno schizzo di fuoco dorato attraverso le palpebre socchiuse, udì un crac e un grido di rabbia›› 12 . Anche in questo caso si ha la dimostrazione di come la bacchetta abbia un carattere, agisca di propria iniziativa e il motivo per il quale ciò accade lo spiega Albus Silente alla fine del libro: ‹‹la tua bacchetta riconobbe un uomo che era insieme fratello e nemico mortale, e rigurgitò parte della sua stessa magia contro di lui›› 13.
Sempre in Harry Potter, ma qui non approfondiremo la questione, la spada di Grifondoro appare solo a coloro che ne sono degni; anche in questo caso un oggetto, una spada, dimostra di avere una volontà. La leggenda della spada di Muramase, o quelle ancora più antiche presenti nel Wu Yüeh ch’un ch’iu, sono intimamente legate a questi libri tramite tematiche che posseggono una longevità che fanno parte del nostro retaggio culturale, una longevità difficile da spiegare e di cui non sembriamo renderci conto appieno. Se volessimo usare un’espressione scientifica potremmo dire che certi temi sono dei “geni letterari” costituenti unità ereditarie che si trasmettono attraverso le storie nel corso dei secoli e che sopravvivono sino ai giorni nostri. L’esempio sopra riportato è la testimonianza di come questa sopravvivenza non si protrae solo attraverso lo studio delle culture passate ma si rinnovi, anche involontariamente, tramite opere del presente, innovandosi. La “mitogenìa” dell’arma detentrice dell’anima, antica da secoli, e proprio per questo assorbita dalla coscienza dell’uomo, viene mantenuta viva nella cultura contemporanea anche mediante una trasmigrazione oggettuale del topos: dalla spada alla bacchetta.
1 http://bifrost.it/Sintesi/Kojiki.html
2 Credo sia opportuno, per spirito di completezza, citare anche il brano narrante la storia di questi due oggetti. A seguito delle azioni riprovevoli intraprese da Susano-ō ai suoi danni, la dea del sole Amaterasu si nascose all’interno di una grotta facendo sprofondare il mondo nell’oscurità. Nel tentativo di scovarla ‹‹il dio fabbro Ama-tsu-mara forgiò un enorme specchio metallico, che fu disposto dinanzi all’ingresso della grotta. Poi giunse Ame-no Uzume, la dea della
danza, che rovesciò un calderone di legno accanto alla grotta, vi salì sopra, e dopo essersi fatta una ghirlanda d’edera, cominciò a danzare. Sotto i suoi piedi il calderone rimbombava e tutti gli dèi battevano il tempo. L’atmosfera cominciò
a riscaldarsi. Travolta dalla frenesia della sua stessa danza, Ame-no-Uzume prese a spogliarsi: dapprima scoprì i seni, poi abbassò il perizoma lungo le cosce. Le ottantamila divinità risero tanto da far traballare la Pianura dell’Ampio Cielo.
Le risate giunsero all’interno della caverna e Amaterasu levò il capo furibonda. Il cielo e la terra erano immersi nelle tenebre: perché le ottantamila divinità ridevano, invece di piangere e disperarsi? Si avvicinò alle porte della caverna e ne aprì un sottilissimo spiraglio per sincerarsi dell’accaduto. Allora gli dèi Ame-no-koyane e Futo-tama tesero lo specchio verso la fessura, cosicché gli occhi di Amaterasu incontrarono la sua stessa immagine riflessa e la dea credette per un istante che una nuova dea del sole stesse illuminando il mondo. Amaterasu aprì ancora di più lo spiraglio e il dio Taji-kawa-ō, che era particolarmente forzuto, la afferrò e la trasse fuori dalla caverna. Allora la luce del giorno si distese nuovamente sulla Pianura dell’Alto Cielo.››
http://bifrost.it/Sintesi/Kojiki.html
3 I mesi di Settembre e Maggio erano ideali per le operazioni di forgiatura visto la stabilità della temperatura atmosferica
4 G. Fino, La spada giapponese, Edizione Sannô-kai, Padova, 1998, p. 14
5 The Japanese Sword. Katana wa Bushi no tamashii (The Sword Is the Soul of the Samurai), in Museum of Fine Arts Bulletin, Vol. 4, No. 21 (Aug., 1906), p. 30
6 A riprova di questa tesi riporto alcuni dati presentati da Natsuo Hattori e Tomohiro Nakamori in La spada giapponese: dimora degli dei, Nuinui, Chermignon, 2019. Al momento sono circa 110 le katane considerate Tesoro Nazionale
7 https://www.youtube.com/watch?v=f1ZkgPdJWtg
8 https://newsgeek.com.br/wp-content/uploads/2023/01/Sandai-Kitetsu-Zoro-1536×864.jpg.webp (la lettura delle pagine è alla giapponese, pertanto da destra verso sinistra)
9 Il tema dell’anima della spada è stato analizzato da Carlo Donà nel suo L’anima della spada, pubblicato ne HOMO INTERIOR, Presenze dell’anima nelle letterature nel Medioevo – Atti delle V Giornate Internazionali Interdisciplinari
di Studio sul Medievo (Torino, 10-12 Febbraio 2015). Tra i brani riportati si evidenzia un frammento del Wu Yüeh ch’un ch’iu, un corpus di leggende cinesi sulle spade dei regni di Yüeh e di Wu, redatti intorno al VI sec a.C. Nel suddetto brano vi è scritto come la spada Zhanlu abbandona il sovrano nel caso in cui egli abbia offeso il Principio. Successivamente va alla ricerca di un nuovo signore che segue la Via.
10 Per quanto riguarda la katana come oggetto identitario dei samurai, rimando al capolavoro di Akira Kurosawa, I sette samurai; nella parte conclusiva del film appare, a mio modo di vedere, uno dei fotogrammi più belli della storia del
cinema. Ai piedi di una collinetta sono presenti tre samurai che osservano sulla cima del rilievo quattro tumuli in cui sono confitte delle katane. Appare chiaro, anche senza aver visto il film, come l’arma rappresenti il samurai.
11 J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani Editore, Milano, pag. 82
12 J.K Rowling, Harry Potter e i doni della morte, Salani Editore, Milano, 2008, pag. 63
13 Ivi, pag. 653
BIBLIOGRAFIA
- G. Fino, La spada giapponese, Edizioni Sannô-kai, Padova, 1998
- N. Hattori – T. Nakamori, La spada giapponese: dimora degli dei, Nuinui, Chermignon, 2019
- The Japanese Sword. Katana wa Bushi no tamashii (The Sword Is the Soul of the Samurai),
in Museum of Fine Arts Bulletin, Vol. 4, No. 21 (Aug., 1906), p. 30
- http://bifrost.it/Sintesi/Kojiki.html↩
- Credo sia opportuno, per spirito di completezza, citare anche il brano narrante la storia di questi due oggetti. A seguito delle azioni riprovevoli intraprese da Susano-ō ai suoi danni, la dea del sole Amaterasu si nascose all’interno di una grotta facendo sprofondare il mondo nell’oscurità. Nel tentativo di scovarla ‹‹il dio fabbro Ama-tsu-mara forgiò un enorme specchio metallico, che fu disposto dinanzi all’ingresso della grotta. Poi giunse Ame-no Uzume, la dea della danza, che rovesciò un calderone di legno accanto alla grotta, vi salì sopra, e dopo essersi fatta una ghirlanda d’edera, cominciò a danzare. Sotto i suoi piedi il calderone rimbombava e tutti gli dèi battevano il tempo. L’atmosfera cominciò
a riscaldarsi. Travolta dalla frenesia della sua stessa danza, Ame-no-Uzume prese a spogliarsi: dapprima scoprì i seni, poi abbassò il perizoma lungo le cosce. Le ottantamila divinità risero tanto da far traballare la Pianura dell’Ampio Cielo.
Le risate giunsero all’interno della caverna e Amaterasu levò il capo furibonda. Il cielo e la terra erano immersi nelle tenebre: perché le ottantamila divinità ridevano, invece di piangere e disperarsi? Si avvicinò alle porte della caverna e ne aprì un sottilissimo spiraglio per sincerarsi dell’accaduto. Allora gli dèi Ame-no-koyane e Futo-tama tesero lo specchio verso la fessura, cosicché gli occhi di Amaterasu incontrarono la sua stessa immagine riflessa e la dea credette per un istante che una nuova dea del sole stesse illuminando il mondo. Amaterasu aprì ancora di più lo spiraglio e il dio Taji-kawa-ō, che era particolarmente forzuto, la afferrò e la trasse fuori dalla caverna. Allora la luce del giorno si distese nuovamente sulla Pianura dell’Alto Cielo.››↩ - I mesi di Settembre e Maggio erano ideali per le operazioni di forgiatura visto la stabilità della temperatura atmosferica↩
- G. Fino, La spada giapponese, Edizione Sannô-kai, Padova, 1998, p. 144.↩
- The Japanese Sword. Katana wa Bushi no tamashii (The Sword Is the Soul of the Samurai), in Museum of Fine Arts Bulletin, Vol. 4, No. 21 (Aug., 1906), p. 30↩
- A riprova di questa tesi riporto alcuni dati presentati da Natsuo Hattori e Tomohiro Nakamori in La spada giapponese: dimora degli dei, Nuinui, Chermignon, 2019. Al momento sono circa 110 le katane considerate Tesoro Nazionale, circa il 10% degli oggetti insigniti di tale titolo. Esistono inoltre, attualmente, circa 400 mastri spadai i quali hanno la possibilità di produrre al massimo due spade al mese. ↩
- https://www.youtube.com/watch?v=f1ZkgPdJWtg↩
- https://newsgeek.com.br/wp-content/uploads/2023/01/Sandai-Kitetsu-Zoro-1536×864.jpg.webp (la lettura delle pagine è alla giapponese, pertanto da destra verso sinistra↩
- Il tema dell’anima della spada è stato analizzato da Carlo Donà nel suo L’anima della spada, pubblicato ne HOMO INTERIOR, Presenze dell’anima nelle letterature nel Medioevo – Atti delle V Giornate Internazionali Interdisciplinari di Studio sul Medievo (Torino, 10-12 Febbraio 2015). Tra i brani riportati si evidenzia un frammento del Wu Yüeh ch’un ch’iu, un corpus di leggende cinesi sulle spade dei regni di Yüeh e di Wu, redatti intorno al VI sec a.C. Nel suddetto brano vi è scritto come la spada Zhanlu abbandona il sovrano nel caso in cui egli abbia offeso il Principio. Successivamente va alla ricerca di un nuovo signore che segue la Via.↩
- Per quanto riguarda la katana come oggetto identitario dei samurai, rimando al capolavoro di Akira Kurosawa, I sette samurai; nella parte conclusiva del film appare, a mio modo di vedere, uno dei fotogrammi più belli della storia del cinema. Ai piedi di una collinetta sono presenti tre samurai che osservano sulla cima del rilievo quattro tumuli in cui sono confitte delle katane. Appare chiaro, anche senza aver visto il film, come l’arma rappresenti il samurai.↩
- J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale, Salani Editore, Milano, pag. 82↩
- J.K Rowling, Harry Potter e i doni della morte, Salani Editore, Milano, 2008, pag. 63↩
- Ivi, pag. 653↩
Ottimo articolo, l’autore si sarebbe anche potuto diffondere di più sul tèma della bacchetta magica.