Viaggio nelle stanze, e nell’isola, di Rossana Rossanda

Foto dell’autrice

di Anna Toscano

Un piccolo schedario da tavolo, di quelli rotativi, le lettere dell’alfabeto spiccano maiuscole bianche su fondo blu, è appoggiato, accanto a un abatjour a base esagonale, sulla pelle verde filettata in oro del piano di un tavolo in mogano con tre cassetti, la sedia poco scostata, ai lati pareti di librerie colme di volumi, davanti tre finestre che danno sul cielo. Il cielo sull’isola della Giudecca, a Venezia. Il tavolo è quello di Rossana Rossanda e di K. S. Karol, gli arredi sono appartenuti a loro, come la biblioteca e le suppellettili varie di questa stanza e di quella attigua in cui ci sono un divano, una poltrona, un tavolo basso e altre librerie. Non è difficile, nei giorni di cielo non troppo nitido – quando non c’è il fenomeno dello “stravedamento” che permette di vedere le montagne come fossero quasi a distanza di una carezza – travisare il panorama oltre i rami degli alberi, non è difficile nel silenzio di questa zona a sud della Giudecca confondersi, pensare di essere altrove, ovunque, o qui.

Le due stanze sono nello spazio più alto, all’ultimo piano, di Villa Hériot, una costruzione al di fuori del comune con una vicenda che non passa inascoltata. La storia fa un balzo all’indietro se pensiamo alla nascita di Rossana Rossanda, un secolo fa, e alla nascita di questa villa: lasciamo per qualche riga il tavolo di Rossanda lì dove l’abbiamo appena visto e guardiamo il terreno, la terra su cui è costruito questo luogo incredibile.

Siamo agli inizi del XX secolo in una fetta di terra, l’isola della Giudecca, territorio di fabbriche e di edilizia popolare ma anche luogo prediletto da stranieri facoltosi che cercano terreni per trasformarli in giardini e costruirci case per trascorrerci alcuni periodi all’anno. Tra loro il francese Hériot qui compra il terreno di una ex saponeria e vi fa costruire due edifici progettati da Raffaele Mainella, un architetto dalla preponderante vena artistica.

In un grande parco affacciato sulla laguna, con all’interno due grandi edifici in stile neobizantino, un neobizantino eclettico e bizzarro, una bassa costruzione per la servitù, una fontana, panchine, stanno le care cose di Rossanda. L’insieme costituisce villa Hériot: nel 1947 diviene proprietà del comune che ne fa una scuola pubblica votata all’accudimento di bambini con particolari problematiche di salute, sperimentando così, nella grande aerea all’aperto tra alberi e arbusti, curative lezioni all’aperto. Ora la villa è sede della Società Europea di Cultura, dell’Università Internazionale dell’Arte, della Casa della memoria del Novecento veneziano, e dell’Iveser, Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea.

Con l’Iveser ritroviamo Rossanda in un legame strettissimo e immaginabile, quello col territorio e la storia del territorio. Lei tra il 1930 e il 1937 vive a Venezia, al Lido, dove frequenta le scuole e instaura le prime amicizie, successivamente mantiene vivi i rapporti con la città e con molti veneziani, vi torna con una intensa attività politica negli anni Sessanta: tra frequentazioni con altri intellettuali e proteste studentesche la vive con passione e interesse. La città lagunare è nel suo cuore: lo scrive nell’autobiografia La ragazza del secolo scorso (Einaudi) e lo diceva spesso, come riporta Luciana Castellina, che Venezia era la sua città e quando ci tornava, tornava a casa; lo definiva “l’unico luogo” di cui era “nostalgica”. È stata questa sua dichiarazione ad aver persuaso Doriana Ricci, erede e interprete della sua volontà, a dire a Luciana Castellina “Dobbiamo fare qualcosa per Rossana Rossanda a Venezia perché Venezia è la sua città”. Da qui la donazione delle stanze di Rossanda e K. S. Karol, giunte nel 2021, con gli arredi e una biblioteca composta da circa tremila e cinquecento volumi comprendenti i libri scritti da loro, anche in diverse traduzioni, quelli su svariati argomenti di loro interesse e studio come saggi politici e filosofici sul mondo comunista, sulla storia politica italiana ed europea, sulla storia dell’arte e storia delle donne, molti i romanzi.

Foto dell’autrice

Dopo diverse iniziative su “Le stanze di Rossana”, nel giugno scorso c’è stata anche una mostra, sempre a cura dell’Iveser, con molto materiale trovato all’interno degli scatoloni della donazione. Non solo libri, infatti, ma documenti, reperti di giornali, lettere, album fotografici che ritraggono Rossanda nella vita privata e in quella pubblica.

Arrivare da una calle che finisce in laguna, fermarsi all’ultima entrata a sinistra, accedere attraverso un cancello di ferro, spesso cigolante, nel grande parco, la laguna a destra e a sinistra la prima delle due ville, procedere attraverso un altro spazio verde e poi la seconda villa. Entrare in questa, scalino dopo scalino, rampa di scale dopo rampa di scale, fino all’ultimo piano, alle due stanze, le sue due stanze, in cui non vi è nessun rumore se non quello dello scricchiolare del legno del pavimento, e sostare tra i suoi libri, quadri, suppellettili, fotografie, oggetti, è come una immersione nella vita di Rossanda, un’immersione per immagini e parole, una specie di “Romanzo di figure” alla Lalla Romano, ma anche un viaggio nella storia del paese e all’interno di villa Hériot.

Guardare lo schienale della sedia che è appena scostata dal tavolo e andare immediatamente con gli occhi a destra perché forse lì c’è lei, si è appena alzata e cerca una citazione in un libro. Lei che ha scelto Venezia per il tempo eterno, per l’aldilà, come la madre di John Berger che ha scelto Lisbona. Ce lo racconta Berger in Qui, dove ci incontriamo (Bollati Boringheri): nel primo capitolo narra che in un mercato di Lisbona, tra molta gente, ha scorto la figura della defunta madre e che l’indomani l’ha incontrata all’acquedotto nella calma del silenzio, lì lei gli svela che ha scelto la capitale portoghese per l’eternità: “Come fanno, i morti, a scegliere dove vogliono stare? Invece di rispondere, si è raccolta la sottana e si è messa a sedere sul successivo gradino della scalinata. Ho scelto Lisbona! ha detto, come se ripetesse qualcosa di molto ovvio”, e poco dopo gli svela che il padre invece ha scelto Roma, pare per il colore di una tovaglia.

Plausibile dunque che, come molte persone hanno scelto di vivere a Venezia e molte altre di venir seppellite nell’isola di San Michele, chissà quante avranno chiesto di trascorre qui l’eternità. E non è difficile capirlo alla mattina presto al mercato di Rialto, quando solo i gabbiani fanno eco alle cassette che scaricano pesce, frutta e verdura, quando la scopa di saggina dei pescivendoli prepara i “masegni” per gli avventori e si ferma di fronte a sagome dalle sembianze note. Passa spesso un uomo con la sciarpa rossa, una donna col ciuffo bianco sui capelli neri, uno in tabarro e molti altri: Mario Stefani, Susan Sontag, Mariano Fortuny e chissà quanti si ritrovano qui, probabilmente attendono Rossanda Rossanda che dalle sue stanze nella parte sud della Giudecca ci mette un po’ ad arrivare.

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davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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