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La crepa

Foto di ha11ok da Pixabay

di Michele Arezzo

Nel protrarsi della festa per il suo cinquantesimo compleanno, Lollo Medina accusò una sequenza di bruciori – si potrebbe dire elettrici – alla bocca dello stomaco; pensò subito alla miserrima fettina di torta consumata nonostante il diabete e seppe convincersi che la causa di quelle fitte dolorose fosse la disabitudine agli zuccheri; così, dissimulando, si nascose in bagno e per una buona mezz’ora almeno cercò invano di liberarsi.

Di là dalla porta – si potrebbe dire come di un altrove – la festa pareva esaltare i quarantotto invitati: chi per il cibo, chi per il ballo, chi per gli addobbi luminescenti, chi per i sigari d’importazione, chi per le nuove tette della nonna, chi per i buffi schizzi caricaturali di cui era capace una specie di cugino della moglie, chi per ragioni più o meno insondabili. Di qua dalla porta, invece, Lollo Medina fu sorpreso da una misurata ma non trascurabile crisi di nervi quando, arreso e deciso a venir via dal bagno, non vide la chiave incagliarsi nella serratura e spezzarsi dopo la terza o quarta insistenza.

Per quanto gridasse e battesse alla porta, nessuno fra gli invitati parve sentirlo.

Quando la crisi parve risolversi, Lollo Medina, ormai prigioniero, tornò sulla tazza e cercò di liberarsi per un’ultima volta: piantò bene i piedi per terra, serrò qualunque muscolo si lasciasse serrare e in apnea cominciò a spingere, accompagnando lo sforzo – si potrebbe dire scortandolo – con un mugolio femmineo che parve risalirgli dai lombi. Le operazioni si protrassero immutate lungo tutto il tempo che occorse al suo primogenito, di là, per cantare “I migliori anni della nostra vita” e al suo figlioletto più piccolo (il quinto) per gridare del pinguino Belisario che si è offerto volontario.

Ma anche quell’ultimo tentativo andò a vuoto – si potrebbe dire sfiatò – e Lollo Medina, esausto, si riscoprì con gli occhi addirittura lucidi. La clausura durava ormai da quasi un’ora e i malanni allo stomaco parevano adesso persino più cattivi. Lollo Medina così sentì l’impulso di piangere, ma subito si disse che non sarebbe successo. Si chinò sul rotolo della carta igienica, ma quando fece per ritornare dritto scorse sul muro di fronte una crepa – una lunga crepa, spessa poco meno di un centimetro, che dallo zoccoletto saliva a morsi sino al soffitto.

La guardò bene.

La guardò tutta.

Ancora e ancora.

Dimenticando così i malanni allo stomaco.

Ancora intazzato, Lollo Medina guardava la crepa senza capire che reazione darsi.

In principio gli parve una cosa lontana. Poi – di colpo ma con ordine – cominciò a pensare che era grossa, che però era tanto grossa e che col tempo, a non farci niente, sarebbe potuta venire giù la casa. In ultimo, sporto il culo sui bordi della tazza, prese a toccarla: prima piano e in un punto solo, come fosse una crosta di pane molto calda; dopo invece correndoci dentro con le dita, ma veloce, tanto da ferirsi su di una scorzetta di calce che sporgeva in su – si potrebbe dirne come di un piccolo uncino.

Per quasi una mezz’ora Lollo Medina se ne rimase lì, sempre da intazzato, a correre coi polpastrelli lungo la crepa. Dopo qualche timidezza, volle infilarci un’unghia (lui che le portava lunghe – si potrebbe dire lunghissime). Infilzò la crepa piano piano e si meravigliò, e insieme ebbe paura, a poterne misurare la profondità.

A un certo punto, per via dell’intazzamento ostinato, Lollo Medina accusò un crampo alla coscia sinistra. Vincendone la reticenza, stese la gamba quanto più gli riuscì e si protese allungando schiena e braccia per afferrarsi la punta del piede e darsi soccorso, ma non ci fu verso. Nella cognizione del dolore (che durò) non sentì, di là dalla porta, la festa cominciare a perdersi: la musica taciuta; il vociare sfumato; i primi saluti.

Quando la congestione si sciolse e il dolore passò, Lollo Medina si carezzò la coscia coi palmi delle mani. Poi tornò a guardarsi la crepa e si sorprese nel trovarla più grossa. Fece per toccarla. La sfiorò una, due, tre volte. E gli mancò l’aria perché adesso, dentro, poteva quasi infilarci un dito.

Sta venendo giù, pensò.

Vien giù tutto.

E come per un riflesso animale, poggiò le due mani ai lati della crepa, piantò bene i piedi per terra, poi serrò qualunque muscolo si lasciasse serrare e in apnea cominciò a spingere i due lembi di parete l’una contro l’altra, accompagnando lo sforzo – si potrebbe dire scortandolo – con un mugolio sfiatato che parve risalirgli dai lombi. Spinse, spinse e spinse sino ad accorgersi d’improvviso che la crepa si ricuciva.

Di là dalla porta, intanto, erano andati via quasi tutti.

Restavano solo due dei cinque figli (i più piccoli, i soli cioè privi di autonomia), il cugino caricaturista, la moglie e la nonna con le tette nuove – ovvero sua madre.

Quando, più tardi, buttata giù la porta del bagno, trovarono Lollo Medina zuppo di sudore e intazzato che rifiatava, nessuno disse niente. Solo lo guardarono, il bambino piccolo su tutti, con una di quelle smorfie capaci di coprire l’intero arco emozionale che dall’esterrefatto vira sino alla sorpresa.

“La crepa”, annaspò Lollo Medina, indicando il muro di fronte.

Seguendo il dito, si voltarono tutti – e tutti presero a guardare la parete, con attenzione, avvicinandosi anche d’un passo per vedere meglio, ma senza trovarci un accidente.

“Che crepa?”, chiese la moglie.

Lollo Medina si alzò e fece per mostrargliela, ma nemmeno lui la vide più.

4 Commenti

  1. Invece del dito nella piaga il nostro ha messo il dito nella crepa salvando la casa. Lollo Medina, stitico, di professione ristrutturatore edile. Bravo Michele Arezzo, un racconto che spazia fra il surreale e ciò che ci può essere di più reale, come la tazza del wc.

  2. Inoltre nel racconto, scritto tra l’altro in modo magistrale, c’è anche una sorta di suggerimento o di morale: a volte accade che indirizziamo senza risultato la nostra forza verso un obiettivo egoistico, allungando lo sguardo e uscendo fuori di noi, la stessa forza può essere utilizzata per compiere azioni che salvano gli altri, anche se questi ultimi sono ignari della fatica che si è fatta per evitare che venga giù tutto. Se cortesemente l’amministratore può sostituire il precedente commento pieno di refusi. Grazie

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davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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